Politiche per il clima e prezzo della CO2, ecco le utility più a rischio

Un report di CDP mostra quali tra le grandi compagnie elettriche europee sono più preparate alle sfide poste dalle politiche sul clima. La nostra Enel è tra quelle messe meglio, al quarto posto tra le più pronte all'adattamento, pur restando la quinta utility in Europa per produzione da carbone.

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C’è grande disparità tra le modalità con cui le utility europee stanno iniziando ad affrontare i costi e le opportunità legati al cambiamento climatico. Lo rivela un’indagine sul settore condotta da CPD, Carbon Disclosure Project, organizzazione no profit internazionale che fornisce a imprese, governi e istituzioni un sistema globale di misurazione e rendicontazione ambientale.

Nel report ‘Flicking the switch: are electric utilities prepared for a low carbon future’ (allegato in basso), CDP rende nota la classifica delle utility europee, redatta sulla base di numerosi parametri legati alle loro performance ambientali.

Parametri che potrebbero avere un impatto significativo sui conti delle varie compagnie, in un mercato altamente regolato e in cui l’UE si pone l’obiettivo di tagliare le emissioni di gas serra del 40% entro il 2030 (e dell’80% entro il 2050) rispetto ai livelli del 1990. Per raggiungere l’obiettivo, entro il 2030 oltre il 45% della produzione elettrica a livello europeo dovrà provenire da energie rinnovabili (crescendo del 25% rispetto al 2013). Sarà inoltre necessario lo sviluppo di un rinnovato sistema europeo di emission trading con un prezzo della CO2 più alto rispetto a quello odierno, nell’ambito della direttiva EU ETS.

Il report CDP indaga sulle aziende che producono l’80% di energia elettrica a livello europeo e fornisce informazioni in merito alla loro vulnerabilità nei confronti della variazione del prezzo della CO2, il rischio idrico a cui sono esposte e la capacità di beneficiare delle rinnovabili.

L’obiettivo della ricerca – si spiega – non è definire il migliore, ma fornire indicazioni di business su come il settore delle utility sta predisponendo soluzioni per affrontare un possibile aumento del prezzo della CO2. “Queste società sono presenti nei portafogli dei maggiori fondi istituzionali del mondo e il modo in cui si stanno adeguando alla regolamentazione e in cui stanno implementando nuove tecnologie energetiche avrà un impatto sulle scelte di investimento future”, spiega Paul Dickinson, Executive Chairman di CDP. La ricerca, si spiega, fornisce informazioni rilevanti per gli investitori, ed è stata pensata infatti appositamente per consentire una valutazione puntuale degli aspetti ambientali nelle loro decisioni.

La spagnola Iberdrola si posiziona primo posto (con un punteggio complessivo di 2,15). È stata l’unica a raggiungere valutazioni A e B in tutti i settori dell’analisi. Si tratta di un leader mondiale nelle fonti rinnovabili (26% della produzione nel 2013) e dipende in maniera marginale dal petrolio (9% della produzione nel 2013). Il buon risultato è dovuto alla progressivo impiego del gas e delle energie rinnovabili;

La maggiore utility più vicina è Enel, al quarto posto (punteggio complessivo di 5,70). Il buon risultato è stato determinato dall’impiego di fonti rinnovabili (in terza posizione a livello europeo) e dalla positiva performance globale nell’ambito del rischio idrico e del carbon risk: Enel infatti si posiziona ben al di sotto dell’esposizione media agli ETS dell’UE (circa 60% contro il 75% delle utility considerate dal rapporto). Enel è ancora la quinta utility europea per produzione di elettricità da carbone, tuttavia l’azienda sta riducendo la capacità installata da questa fonte energetica. 

La società britannica Centrica è al secondo posto e Verbund, l’utility austriaca, è al terzo. Sono tra le più piccole utility per produzione di energia elettrica, ma sono entrambe leader nella gestione delle emissioni e nel ridotto impiego di combustibili fossili (Centrica non li utilizza, Verbund solo per il 7%).

Le utilities tedesche occupano la parte bassa della classifica con tre aziende su cinque. RWE, E.ON e EnBW sono ancora troppo legate alla produzione di elettricità da fonti non rinnovabili e di conseguenza vulnerabili nei confronti di un aumento della prezzo della CO2. Anche a fronte di un prezzo della CO2 basso di 4.35€ a tonnellata nel 2013, il costo totale per RWE è stato di 680 milioni di euro, pari al 10% del suo utile operativo.

L’utility portoghese EDP ha sostituito parte della produzione di energia da gas (46% nel triennio 2010-13), con il carbone (19% annuo nel triennio 2010-13), così come parte delle energie rinnovabili. Questo ha influito sulla sua valutazione a causa dell’aumento delle emissioni rispetto agli anni precedenti.

EDF, la maggiore tra le utility considerate che produce da sola il 25% di energia totale, riporta buone performance in merito alle emissioni, ma dipende ancora troppo dai combustibili fossili. Il risultato è legato al fatto che le metriche considerate da CDP e più rilevanti nella valutazione si basano unicamente sui parametri della direttiva europea sull’Emission Trading, su cui EDF si basa per il 95%, contro una media di settore del 75%.

L’impiego di carbone, a causa dei bassi costi di approvvigionamento, ha ripreso ad aumentare e costituisce il 70% delle emissioni delle utilities, nonostante rappresenti un rischio per la loro redditività futura.

L’eolico è la fonte rinnovabile più diffusa, pari all’87% del totale delle rinnovabili (escludendo l’idroelettrico). Il fotovoltaico, è diffuso soprattutto nel mercato privato. Ecco la classifica di CDP:

L’executive summary del report ‘Flicking the switch: are electric utilities prepared for a low carbon future’ (pdf)

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