Dal biogas a biometano: un nuovo metodo promette grandi risparmi

Si tratta di una novità appena annunciata dall’Università di Milano Bicocca: lo «Smart Upgrading», un progetto per la messa a punto di un sistema di purificazione del biogas tutto italiano che offre notevoli risparmi di energia e, quindi, di costo rispetto ai metodi già commercializzati. Il fisico Maurizio Acciari ci spiega come funziona.

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Come scritto più volte su QualEnergia.it, il metano di origine biologica, o biometano, potrebbe arrivare a soddisfare fino al 10% dei consumi italiani (8 miliardi di metri cubi), sostituendo il metano fossile nella produzione elettrica, nel riscaldamento e nei trasporti.

Per produrre biometano occorre prima ottenere biogas, cioè la miscela di gas prodotti da batteri anaerobi, che scompongono materia organica, come rifiuti, fanghi di depurazione, scarti agricoli o prodotti coltivati a questo scopo, in speciali digestori. Il biogas ha un rendimento termico piuttosto basso e può essere usato solo per produrre calore ed elettricità presso il produttore, il biometano è invece indistinguibile da quello fossile, può essere quindi immesso nei gasdotti e usato per tutti gli impieghi del metano, anche come combustibile per i motori a scoppio, garantendo rese economiche migliori, grazie anche ai nuovi incentivi.

Naturale quindi che ora che sono stati pubblicati dalla Autorità per l’Energia i regolamenti tecnici per la conversione di biogas in biometano, centinaia di produttori di biogas stiano valutando l’installazione presso i loro impianti di sistemi per rimuovere dal gas proveniente dai digestori quel 40% circa di CO2 che contiene e ottenere puro biometano.

A tutti loro interesserà molto una novità appena annunciata dall’Università di Milano Bicocca: si tratta dello «Smart Upgrading» un progetto per la messa a punto di un sistema di purificazione del biogas tutto italiano, che offre notevoli risparmi di energia e quindi di costo rispetto ai metodi già commercializzati.

«I sistemi esistenti – ci spiega il fisico Maurizio Acciari – sono per lo più di costruzione tedesca o americana e usano vari metodi. Si può pompare il biogas attraverso membrane che trattengono la CO2, ma che richiedono poi la loro sostituzione periodica, sistemi criogenici, che fanno assorbire CO2 da solventi tenuti a bassa temperatura, usando però sostanze tossiche e spendendo molta energia, o sistemi di lavaggio del biogas con acqua e ammine, sostanze organiche che si legano alla CO2, rilasciandola poi quando la soluzione viene riscaldata a 90-120 °C: un metodo che, di nuovo, richiede tanta energia

Si tratta di tecnologie derivate da quelle usate per la purificazione di idrocarburi fossili, un settore dove, notoriamente, non c’è carenza di soldi o di energia, e quindi poco attento all’ottimizzazione dei costi di queste tecnologie “periferiche”. Ma i produttori di biometano, se vorranno essere competitivi, avranno bisogno di sistemi di purificazione del biogas in cui si riducano al minimo i costi di impianti, energetici e di manutenzione.

«E proprio per questo abbiamo pensato a Smart Upgrade – continua Acciari – in realtà il nostro gruppo stava elaborando sistemi innovativi di cattura della CO2 dall’aria o dai fumi di centrali, per ricavarne combustibili, unendola all’idrogeno ricavato da energie rinnovabili. Ma poi abbiamo realizzato che una applicazione più pratica e con un prossimo, vasto mercato, sarebbe stato l’impiego delle stesse tecniche per il passaggio da biogas a biometano. Abbiamo quindi preso accordi con la società CEM Ambiente S.p.A, che gestisce lo smaltimento rifiuti per 450.000 lombardi, per testare un primo prototipo usando il gas estratto dalla loro discarica, oggi chiusa, di Cavenago Brianza, sperimentando così in condizioni reali il nostro sistema. Il prototipo, che tratta un metro cubo all’ora di biogas, ha avuto risultati così buoni che adesso CEM ha finanziato al 50% un impianto pilota da 100 mc/ora sulla stessa discarica, in vista di utilizzarne ulteriori versioni su altre loro discariche e vendere il biometano ricavato.»

Ma qual è la differenza con i metodi esistenti?

Non posso entrare troppo nei dettagli per motivi brevettuali, ma posso dire il nostro è un sistema a lavaggio dei fumi, che invece di utilizzare soluzioni acquose di ammine, impiega liquidi ionici. I liquidi ionici sono sostanze, per lo più organiche, liquide a temperatura ambiente, che contengono ioni, come le soluzioni di acqua e sali, ma senza bisogno di un solvente. Ne esiste una gamma vastissima, ognuna con caratteristiche diverse, e in questa gamma noi abbiamo identificato i più adatti all’assorbimento di CO2, modificandoli per ottimizzarli per questo scopo.

E il vantaggio rispetto al lavaggio con ammine?

«Semplice. I liquidi da noi utilizzati non contengono acqua, che è un grande ‘assorbitore’ di calore. Separano la CO2 dal biogas con la stessa efficacia delle ammine sciolte in acqua, ma la riemettono a temperature molto più basse. Il nostro impianto pilota funzionerà a 70 °C, ma già stiamo testando nuovi composti che funzionano anche a 60 °C. Inoltre, usando variazioni di pressione nelle colonne di assorbimento e rilascio della CO2 e una pompa di calore per scaldare la colonna di rilascio, otteniamo ulteriori risparmi energetici. In totale, il nostro sistema, fra costo iniziale, consumi e manutenzione, dovrebbe risultare almeno del 30% più economico di quelli in commercio. Una differenza decisiva per chi vorrà produrre biometano. E visto che i liquidi ionici usati sono innocui e biodegradabili, non ci sono neanche preoccupazioni ambientali in caso di eventuali guasti e fuoriuscite».

L’impianto pilota dovrebbe cominciare a funzionare entro settembre e se per la fine dell’anno avrà prodotto i risultati sperati, i ricercatori dell’Università Milano-Bicocca costituiranno una start up per la commercializzazione della tecnologia.

Resta però un punto in sospeso: che si fa con tutta la CO2 ricavata? Se la si immette in aria non si contribuisce a ridurre il cambiamento climatico.

«Ci sono varie opzioni. La prima è tornare alla nostra vecchia idea: produrre presso l’impianto del biometano idrogeno da fotovoltaico, combinarlo con la CO2 e produrre un 40% in più circa di metano, o altri combustibili o fertilizzanti o precursori per plastiche. Per far questo, però, occorrerà migliorare di molto la fase dell’elettrolisi, rendendola più efficiente pur facendo a meno di catalizzatori molto costosi, come il platino. Ma visto che la CO2 del biogas è quella assorbita dall’atmosfera dalle piante, se in futuro fossero previsti incentivi per la sua rimozione definitiva, si potrebbe anche pensare a pomparla nel sottosuolo o trasformarla in carbonati, così da ridurre quella totale in atmosfera ed aiutare a scongiurare la catastrofe climatica.»

Oppure si potrebbe utilizzarla per l’accumulo di energia rinnovabile in eccesso, come ha immaginato l’ingegnere Tom Buscheck del Lawrence Livermore National Laboratory. L’idea di Buscheck prevede il pompaggio, usando energia rinnovabile in eccesso, di CO2 liquida proveniente da centrali termiche, in acquiferi salini molto profondi, e poi, quando serve energia, la sua rigassificazione, per utilizzarla in turbine a vapore, ottenendo efficienze del 50% superiori a quando si usa il molto più leggero vapore acqueo.

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