Bolla del carbonio, metà dei fondi pensione non si sta tutelando dal rischio

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Un nuovo report sui 500 più grandi fondi di investimento al mondo mostra che solo una minoranza sta agendo adeguatamente per proteggere il proprio portafoglio dai rischi associati al global warming e alle politiche necessarie a combatterlo. Poco meno della metà, invece, non sta facendo nulla e continua ad investire in fonti fossili.

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La vostra pensione dipende dall’ENPAM, da Generali Pensioni o da Arca Previdenza? Sappiate che il fondo di investimento su cui poggia sta facendo poco o niente per tutelare i propri investimenti dai rischi associati al global warming e alle politiche necessarie a combatterlo. Ma probabilmente non vi andrebbe meglio con molti altri: tra i 500 fondi più grandi al mondo si contano sulle dita di due mani quelli che stanno affrontando il problema in maniera adeguata, ad esempio disinvestendo in fretta dagli asset fossili. Ma poco meno della metà non sta agendo per nulla. È questo il preoccupante panorama che emerge dall’ultima edizione del report di Asset Owners Disclosure Project (allegato in basso).

Il progetto va ad esaminare gli investimenti dei 500 più grandi fondi di investimento al mondo, compagnie assicurative, fondi pensione e fondi sovrani, per monitorare un rischio ben noto ai lettori di QualEnergia.it, quello della cosiddetta bolla del carbonio.

Se vogliamo evitare gli effetti più disastrosi del global warming dobbiamo lasciare sotto terra gran parte delle riserve di carbone, petrolio e gas: per stare sotto ai 2 °C almeno due terzi, secondo la IEA. A rischio, oltre al clima, sono anche i soldi di chi investe: le politiche per il clima e la transizione energetica  impediranno di far fruttare adeguatamente gran parte degli asset in miniere e trivelle. Se si adottassero le politiche necessarie a fermare il riscaldamento globale, mostrano le stime del gruppo bancario HSBC, il valore di gran parte delle aziende delle fossili crollerebbe del 40-60%.

Sta forse proprio qui lo scontro in atto tra produzione di energia convenzionale e centralizzata e fonti rinnovabili-distribuite.

Se non ci si muove già ora per cercare un atterraggio morbido – disinvestendo dagli asset fossili – gli effetti economici potrebbero essere disastrosi visto che nel settore delle fonti fossili hanno investito e continuano ad investire moltissimo Stati, enti locali e grandi fondi pensione: circa il 72% delle riserve mondiali di petrolio, il 73% di quelle di gas e il 61% di quelle di carbone sono possedute o controllate indirettamente dalle nazioni.

Questo rischio è stato denunciato più volte, oltre che da gruppi di investitori attenti al problema (come i 60 che negli Usa di recente hanno chiesto l’intervento della SEC), anche da voci autorevoli del mondo delle finanza come Citigroup, Deutsche Bank, Kepler Chevreux e Moody’s. Ma, come si vede sfogliando il nuovo report, sembra che sia ancora sottovalutato dalla maggior parte dei grandi fondi di investimento.

Secondo AODP, infatti, tra i 500 censiti ben 232 non stanno facendo assolutamente nulla per tutelarsi e continuano ad investire, senza invertire la rotta, in fonti fossili. Il progetto dà un rating ai vari fondi in base alla serietà con la quale stanno affrontando il problema (tabella sotto) e, seppure in aumento rispetto all’edizione precedente dell’indagine, sono ancora pochissimi ad aggiudicarsi l‘AAA: 9 fondi  e cioè Local Government Super (Australia); KLP (Norvegia); CalPERS (USA), ABP (Paesi Bassi); Environment Agency Pension Fund (Regno Unito) New York State Common Retirement Fund (USA); Australian Super; PZW (Paesi Bassi) and AP4 (Svezia).

Nella classifica i fondi italiani sono solo 3: se il fondo pensioni di Generali Assicurazioni è nella terzultima fascia, con rating C,  ENPAM, l’ente previdenziale dei medici e dei dentisti è nell’ultima, con la X, cioè tra quelli che non stanno prendendo alcuna precauzione contro il rischio, categoria in cui è presente anche l’altro fondo italiano, Arca Previdenza.

Ai gestori di questi fondi sembra destinato l’avvertimento del coordinatore del progetto AODP, John Hewson: “I proprietari di asset che sperano che sia la politica a tutelarli dal rischio clima, devono fare un reality check. Questi fondi hanno il dovere di mitigare il rischio per il loro portafoglio contro politiche intransigenti.”

Il 26 aprile AODP e lo studio legale specializzato in questioni ambientali ClientEarth hanno annunciato una campagna per tutelare gli interessi dei risparmiatori chiedendo che chi gestisce i fondi assolva al proprio obbligo legale di proteggere gli investimenti dal rischio clima-bolla del carbonio.

Se tutti facessero come i fondi leader della classifica AODP, che stanno progressivamente riducendo il peso degli asset ad alta intensità di carbonio nei loro portafogli, fa notare Hewson, “saremmo a buon punto nel risolvere il problema del global warming.”

I 500 fondi censiti gestiscono assieme 40.000 miliardi di dollari e, come si vede dal grafico sopra, metà di questi investimenti sono esposti al rischio clima, mentre solo il 2% sono in tecnologie low carbon. Per rallentare il riscaldamento globale e tutelare i soldi dei risparmiatori queste proporzioni vanno capovolte.

Il report (pdf)

La classifica

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