Fotovoltaico condiviso, un ricco giacimento con ancora troppi ostacoli

Secondo il NREL il fotovoltaico condiviso al 2020 potrebbe rappresentare negli Stati Uniti il 32-49% del mercato del solare su tetto, con noteveoli vantaggi per molti consumatori. Ma per sfruttare questo potenziale servirebbero norme adeguate. In Italia c'è molto più da fare che negli States, a partire da un'estensione della definizione di SEU.

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Il solare fotovoltaico è la fonte di energia ideale per produrre energia pulita proprio dove si consuma. Tuttavia in molte situazioni non è materialmente possibile realizzare un impianto sul tetto dell’utente. La soluzione per superare questa limitazione è il cosiddetto ‘solare condiviso’. Una strada che però è resa difficoltosa dalla normativa: se la si sbloccasse gli impianti a proprietà collettiva potrebbero far aumentare anche di quasi il 50% il mercato del fotovoltaico distribuito. A dirlo è un nuovo report del National Renewable Energy Laboratory, noto centro studi governativo statunitense (allegato in basso).

Negli Usa, vi si legge (ma la situazione non dovrebbe essere molto diversa in Italia), il 49% delle abitazioni e il 48% delle imprese non sono nella condizione di dotarsi di un impianto FV proprio, per diversi motivi: mancanza di un tetto idoneo e non ombreggiato, di accesso alla copertura perché ad esempio si vive in condomino, ecc.

Se questi utenti avessero la possibilità di investire nel ‘solare condiviso’ – stima lo studio  – queste configurazioni al 2020 potrebbero pesare per il 32-49% del mercato Usa del FV su tetto (vedi grafico), portando ad un installato cumulativo nel periodo 2015-2020 che va da 5,5 a 11 GW e a investimenti per 8,2-16,3 miliardi di dollari. Un vero e proprio giacimento di energia da sfruttare portando benefici ai molti consumatori coinvolti.

Il FV condiviso permette a più utenti di ridurre le proprie bollette grazie all’energia di un singolo impianto realizzato in multiproprietà o affittato. Le declinazioni di queste configurazioni sono molte (vedi immagine sotto). Dall’investimento in crowd-funding (sul modello di Mosaic negli Usa), alle cooperative che possiedono un impianto fisicamente distante dalle utenze dei soci (il caso dei gruppi italiani come Reteenergie, Ènostra o Solar Share), fino ai casi di impianti “di vicinato” o di condominio.

Gli impianti di fotovoltaico condiviso, spiega il report, possono essere amministrati da varie entità: utility, proprietari  di condomini, enti locali, organizzazioni non profit, gruppi di cittadini. O sarebbe meglio dire “potrebbero”, viste le restrizioni legali che ci sono in molti ambiti. Per cogliere il potenziale del FV in condivisione infatti restano diversi ostacoli da rimuovere e strumenti da mettere in campo.

Nella legislazione di diversi Stati americani – si segnala – non ci sono i meccanismi che permettono di sviluppare questi modelli, come il virtual net metering, una sorta di scambio sul posto a distanza; l’accesso al tax credit non è garantito in tutte le situazioni e, per gli investimenti, ci sono le limitazioni imposte dalla Securities and Exchange Commission, il regolatore di mercato.

In Italia, aggiungiamo noi, le cose da chiarire e gli interventi normativi da fare, qualora il legislatore decidesse che per il sistema-Paese sia vantaggioso sfruttare questo giacimento, sono però ancora di più.

Da noi non esiste nulla di simile al virtual net metering e gli unici incentivi diretti, la detrazione fiscale del 50% e i certificati bianchi, sono riservati a impianti residenziali sotto ai 20 kWp. Inoltre, la normativa esclude dai benefici previsti per i SEU (esenzione dagli oneri) gli impianti destinati al consumo di più di un utente. In effetti non si può applicare appieno questa configurazione né nei condomini né, in molti casi, in situazioni nelle quali sarebbe molto conveniente come aeroporti, centri commerciali o mercati coperti (vedi QualEnergia.it).

Di modifiche normative che porterebbero a superare questo ostacolo si sta discutendo nell’ambito del cosiddetto collegato ambientale (attualmente in esame al Senato). Ad esempi ci sono alcune proposte che permetterebbero di creare SEU con più utenti,

L’Autorità per l’Energia, preoccupata per i possibili effetti sulla distribuzione degli oneri di sistema, ha fatto finora pesare il suo parere negativo all’estensione della definizione di SEU. Vedremo se, con le modifiche in discussione o con altri interventi futuri, il legislatore deciderà che le opportunità offerte dall’autoproduzione di energia pulita, anche condivisa, possano compensare i timori, sollevati dal regolatore, di produrre squilibri nell’allocazione degli oneri.

Il report NREL “Shared Solar: Current Landscape, Market Potential, and the Impact of Federal Securities Regulation” (pdf)

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