La Banca Mondiale continua a finanziare le fossili

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Nuovi dati mostrano l'incoerenza della World Bank: mentre si dichiara pubblicamente contro i sussidi alle fossili e a favore di un carbon tax, ha aumentato le risorse destinate a progetti legati a petrolio, gas e carbone. Nel 2014 alle fonti fossili 3,3 miliardi di $, pari al 34% del totale, la fetta più grande dei fondi per l'energia.

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Predica bene, ma razzola male: non è la prima volta che lo scriviamo parlando dell’atteggiamento verso gli investimenti in fossili della Banca Mondiale. Nuovi dati confermano l’incoerenza della World Bank. Se da una parte la Banca da tempo rilancia l’appello ad eliminare i sussidi alle fonti fossili, dall’altro, nel 2014 ha stanziato 3,3 miliardi di dollari tra prestiti, fondi di garanzia e investimenti in progetti legati alle fossili.

A denunciarlo un report pubblicato dall’ong Oil Change International, OCI, (allegato in basso). Si tratta di un record e di una crescita del 23% rispetto all’anno precedente. Nel frattempo, come si vede dal grafico, la spesa per le rinnovabili (se si escludono gli spesso discutibili progetti di grande idroelettrico) è rimasta sostanzialmente costante: le fonti pulite non hanno mai avuto una fetta così piccola della torta, il 19% degli stanziamenti, e le fossili hanno il pezzo più grande, pari al 34%.

I numeri di OCI non coincidono con quelli ufficiali forniti dalla Banca, che contesta i calcoli dell’ong e dichiara che la sua spesa per le fossili è quasi dimezzata dal 2013 al 2014, arrivando a 1,3 miliardi di $. Il problema è il metodo con cui si fa il conteggio: la Banca non comprende alcuni progetti al servizio di investimenti in fossili, ad esempio una linea elettrica fatta per servire una centrale a carbone, né i prestiti “per lo sviluppo politico e istituzionale” (triplicati a 1,6 miliardi di $) che poi in parte vanno a finire in progetti per estrarre e/o bruciare carbone, gas e petrolio.

Ad esempio i fondi “per lo sviluppo politico e istituzionale” andranno a finanziare un progetto da poco meno di 20 milioni di dollari per estrarre petrolio e gas in Ghana e uno da 24 milioni in Mozambico per migliorare l’estrazione di carbone, gas e petrolio. “Nei Paesi produttori di idrocarburi, questi devono essere considerati parte della strategia energetica. Nei Paesi in cui c’è gas naturale lo sviluppo di questa risorsa fornisce spesso un’alternativa determinante alla generazione a carbone”, si giustificano i portavoce della World Bank.

La Banca Mondiale, peraltro, in questi ultimi tempi ha dimostrato di essere ben conscia del problema climatico e delle azioni da compiere per affrontarlo. Oltre a pubblicare diversi report sugli impatti probabili del global warming, a sollecitare a più riprese l’eliminazione dei sussidi alle fossili e di recente anche l’adozione di una carbon tax, l’ente ha rivisto le proprie politiche di supporto alle fonti sporche e ha stretto leggermente i cordoni della borsa rispetto al passato. Se dal 2008 al 2010 ha erogato in media 4,7 miliardi di dollari all’anno per progetti in gas, carbone e petrolio, dal 2011 al 2013 i finanziamenti annuali alle fossili sono scesi (secondo la metodologia di calcolo World Bank) a 2,7 miliardi all’anno.

Ogni dollaro investito per aiutare i Paesi emergenti a realizzare pozzi, miniere e centrali a fossili, però, se si guarda ad una prospettiva più ampia, è di troppo. Secondo le stime dell’International Energy Agency (IEA), se vogliamo avere buone possibilità di fermare il riscaldamento globale entro a soglia critica dei 2 °C, due terzi delle riserve provate di combustibili fossili dovranno rimanere sotto terra.

Il fatto che un’istituzione, che dovrebbe promuovere uno sviluppo sostenibile come la Banca Mondiale, continui a finanziare la ricerca di nuovi giacimenti e centrali è molto pericoloso. E non solo per le conseguenze negative che può avere sul clima: dato che le politiche necessarie a rallentare il global warming richiederanno di lasciare sotto terra parte delle riserve, si rischia di finanziare investimenti economicamente disastrosi. I Pvs beneficiari di questi prestiti – spesso gli stessi che subiranno i danni più ingenti dal global warming – vengono spinti a impantanarsi nei cosiddetti stranded asset, cioè spese necessarie per sviluppare riserve che poi non potranno essere valorizzate. Questo va considerato se si vuole affrontare seriamente la questione clima.

Il report OCI “Still Funding Fossils: World Bank Group Energy Finance FY 2014” (pdf)

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