Una riforma ineludibile per il mercato elettrico

Dopo 15 anni ai meccanismi di funzionamento del mercato elettrico occorre una profonda revisione, soprattutto con la crescente presenza di rinnovabili non programmabili. Un contributo alla programmabilità può venire dall’aggregazione delle produzioni esistenti in ambiti territoriali omogenei. E poi adottando contratti di compravendita a lungo termine.

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La liberalizzazione del mercato elettrico è stata concepita non tenendo adeguatamente conto di tutte le sue specificità rispetto ad altri prodotti o servizi. I sistemi elettrici sono infatti caratterizzati da alta intensità di capitale, redditività differita, lunghi tempi di vita degli investimenti, grande rigidità delle soluzioni adottate e, finora, dalla non economicità dell’immagazzinamento dell’energia prodotta.

Il parametro dominante per gli investimenti nei sistemi elettrici è dunque il lungo termine, mentre per determinare il prezzo di vendita all’ingrosso dell’energia elettrica, che è l’indicatore principe sulla disponibilità o scarsità di una merce, si è privilegiata la contrattazione a breve. Risultato: in Gran Bretagna, cioè nel Paese che ha introdotto la liberalizzazione con dieci anni di anticipo, si è arrivati prossimi al collasso, con un parco centrali vecchio e investimenti insufficienti a far fronte alla prevedibile, futura domanda. La riforma recentemente introdotta per evitare inconvenienti maggiori rappresenta un sostanziale ritorno ai prezzi amministrati.

Il caso britannico, sia perché si trattava della liberalizzazione sperimentata più a lungo in Europa, sia per il peso più ridotto di altre variabili, come l’incidenza delle rinnovabili elettriche sulla produzione, è quindi ideale per mettere in evidenza alcuni limiti della contrattazione a breve. Oggi è peraltro possibile riformare il mercato elettrico, sia introducendo la contrattazione bilaterale di lungo periodo, senza in alcun modo marginalizzare il mercato a pronti (MGP), sia con soluzioni organizzative che risolvano i problemi posti dalla penetrazione delle rinnovabili (FER) elettriche.

Questa è stata particolarmente rapida in Germania e in Italia, ma era altrettanto prevedibile. Per onorare gli impegni assunti nel 1997 dall’Italia nel quadro del Protocollo di Kyoto, già nel 1998 e nel 1999 due delibere CIPE fissavano per il 2010 l’obiettivo di 76 TWh prodotti da FER elettriche.

Ebbene, il consuntivo 2010 (Fig. 1) mette in evidenza che la generazione da FER nel 2010 è stata superiore solo dell’1% agli obiettivi fissati più di dieci anni prima, che erano limitati al raggiungimento degli obiettivi di Kyoto, mentre nel frattempo si sono aggiunti quelli al 2020 previsti dal Pacchetto clima-energia. Purtroppo, a valle delle decisioni assunte nel 1998 e nel 1999:

  • a livello governativo ha prevalso il convincimento che non si sarebbe raggiunto il quorum di ratifiche del Protocollo di Kyoto da parte degli Stati firmatari, necessario per la sua entrata in vigore; di conseguenza, quando, nel febbraio 2005, la ratifica della Russia ha fatto superare il quorum, si sono dovute tardivamente approntare alcune misure a favore delle rinnovabili, ma in modo affrettato, disordinato, spesso contradditorio, senza una vera politica (anche industriale) di settore;
  • in troppi hanno condiviso la leggenda metropolitana, secondo la quale in realtà le nuove FER non erano in grado di produrre quantità significative di elettricità, per cui molti decisori politici ed economici rimasero sorpresi dal loro effetto, ovviamente aggravato dal calo della domanda di energia, indubbiamente un’importante concausa della situazione attuale che, tuttavia, se pur in modo attenuato, si sarebbe comunque verificata.

Le FER elettriche non sono pertanto cresciute eccessivamente, semmai male e in alcuni casi in modo troppo oneroso. Siamo comunque ancora lontani dall’obiettivo 2020 fissato dalla SEN, come mette in evidenza il documento del Coordinamento FREE, presentato il 26 gennaio 2015 al convegno “Per un nuovo assetto del mercato elettrico” (disponibile in www.free-energia.it).

La programmabilità

Su questo tema le considerazioni svolte il 15 ottobre 2014 dall’Amministratore Delegato di Enel nel corso dell’audizione presso la X Commissione del Senato hanno introdotto due novità di non poco conto. Secondo l’ing. Starace, la crescente digitalizzazione delle reti italiane possedute da Enel, che la pone all’avanguardia a livello internazionale, ha, fra l’altro, reso possibile assorbire in modo non traumatico la veloce penetrazione delle rinnovabili, soprattutto del fotovoltaico. I flussi di energia provenienti da questi impianti, che sono essenzialmente allacciati alla media e bassa tensione delle reti di distribuzione, vengono quindi gestiti in modo tale da non creare particolari problemi al sistema elettrico; le cosiddette non programmabili lo sono sempre meno, perché i sistemi previsionali anche nel caso più complesso (l’eolico) hanno progressivamente ridotto l’errore medio, portandolo praticamente in linea con l’errore previsionale della domanda elettrica.

Un rapporto tedesco (“Electricity Storage in the German Energy Transition” dell’istituto di ricerca Agora) arriva ad analoghe conclusioni: l’introduzione di accumuli elettrochimici sarà necessario solo quando la generazione elettrica fornita da fonti rinnovabili supererà il 60%, purché le reti elettriche siano tecnologicamente adeguate e meglio interconnesse, si attui un’efficace flessibilizzazione della domanda e i mercati elettrici europei siano effettivamente integrati. Conclusioni dello stesso tenore sono presenti anche in un rapporto americano (“Renewable Electricity Futures Study” del National Renewable Energy Laboratory).

A ogni modo un ulteriore contributo alla programmabilità può venire dall’aggregazione delle produzioni FER esistenti in ambiti territoriali omogenei. L’aggregatore (consorzio fra operatori nell’ambito territoriale, utility, trader) avrebbe il compito di gestire l’insieme degli impianti, partecipando al mercato elettrico su mandato e per conto dei singoli operatori e, successivamente, governarne la produzione in modo da soddisfare gli impegni contrattuali. Fra le funzioni dell’aggregatore quasi automaticamente rientrerebbe anche la gestione attiva della domanda. In simili aggregazioni, come dimostrato da studi in materia, per la legge dei grandi numeri l’effetto della stocasticità di alcune fonti rinnovabili sulla generazione elettrica diminuirebbe al crescere del numero di impianti integrati e della loro distribuzione territoriale, fino a rendere le caratteristiche della produzione non dissimili (in termini di qualità e quantità) da quelle della produzione tradizionale.

L’aggiunta di back-up (oggi cicli combinati, domani accumuli) renderebbe ancora più prevedibile l’offerta, con il vantaggio di rimunerare la capacità dei cicli combinati sulla base del loro contributo effettivo alla flessibilità del sistema, e le consentirebbe di partecipare a pieno titolo sia al mercato del giorno prima, che a quello infragiornaliero e ai servizi di dispacciamento.

Questa soluzione, da tempo sollecitata dal Coordinamento FREE, rientra ora fra quelle previste dal Decreto Legislativo 102/2014 di recepimento della Direttiva europea sull’efficienza energetica, mentre la relativa delibera dell’AEEGSI è prevista nel corso del 2015. Per promuovere con efficacia quanto previsto dal DL 102, sarebbe sufficiente, come è logico, calcolare gli eventuali oneri di sbilanciamento per l’aggregato e non per il singolo impianto che, se non si aggregasse, risulterebbe penalizzato.

Poiché con la normativa attuale Terna non può però dispacciare insieme impianti allacciati in punti diversi della rete di trasmissione, rendendo impraticabile l’integrazione di una parte degli impianti eolici, che sono connessi direttamente in alta tensione, va modificato l’odierno modus operandi, rendendolo analogo a quello in essere nel Regno Unito, tenendo conto delle differenze esistenti (per esempio in UK non esistono le zone).

La gestione aggregata di impianti contenenti FER non programmabili sarà enormemente facilitata dall’utilizzo esteso di accumuli elettrochimici, i quali, anche se il loro contributo energetico è limitato rispetto agli impianti tradizionali, in compenso hanno una risposta pressoché istantanea, che rende il servizio di regolazione primaria da loro erogato particolarmente interessante. Recenti delibere dell’AEEGSI (del 20.11.2014 n. 574/2014/R/EEL e del 18.12.2014 n. 642/2014/R/EEL) contengono stimoli importanti alla diffusione di queste soluzioni che, come mette in evidenza il citato documento presentato al convegno del 26 gennaio, potrebbe diventare economicamente accettabile in tempi più brevi di quanto si pensi.

I contratti a lungo termine

Ogni qual volta vi siano associati in misura significativa impianti di generazione a costo marginale non nullo (bioenergie, cicli combinati), le ipotesi di aggregazione per ambiti omogenei possono aiutare a superare due problemi posti oggi dalla presenza crescente di FER a costo marginale pressoché nullo: il peak shaving e le fasce orarie, per ora limitate, in cui l’elettricità viene offerta a costo zero.

I problemi sono però destinati a riproporsi, se nel pacchetto saranno presenti esclusivamente o in misura preponderante soltanto impianti FER a costo marginale nullo: eventualità destinata a manifestarsi in misura crescente in futuro (maggiore penetrazione FER per realizzare gli obiettivi al 2030), ma possono trovare soluzione adottando contratti di compravendita a lungo termine (da due fino a una decina d’anni), i quali obbligano a offerte che, nel prezzo, includano tutte le voci del costo di produzione. Sulla carta le attuali normative consentono di stipulare contratti bilaterali di qualsiasi durata, ma di fatto questi hanno scadenze ravvicinate, in quanto alcune delibere dell’Autorità per l’energia (delibere AEEG 123/03 e 144/07) autorizzano il compratore a disdire senza alcuna penalità questo tipo di contratto con preavvisi molto brevi, grazie a un’interpretazione estensiva delle indicazioni del Regolamento europeo sulla concorrenza del 2003. Si trattava però di precauzioni giustificate nella fase iniziale di apertura dei mercati, quando erano ancora presenti elevati livelli di concentrazione, mentre oggi in Italia la situazione è radicalmente diversa, con il problema opposto, di sovraccapacità produttiva.

È quindi opportuno sostituire la norma attuale con una che ovviamente contempli le consuete garanzie commerciali applicate ai contratti di lunga durata. Oltre a evitare le distorsioni dei prezzi, provocate dalla presenza sul MGP di offerte a costo marginale praticamente nullo, il contratto a lungo termine consentirebbe a produttori e consumatori di tenere conto nelle loro decisioni di un più ampio ventaglio di fattori. Questi contratti offrono infatti il vantaggio di ridurre l’imprevedibilità dei ritorni economici (che scoraggia gli investimenti), di orientare in modo più corretto investimenti per loro natura ad alta intensità di capitale e con ritorni molto differiti nel tempo, di favorirne la bancabilità, di proteggere produttori e consumatori dalla volatilità dei mercati.

Per promuovere i contratti di lungo termine occorre però superare la comprensibile diffidenza di venditori e compratori a impegnarsi a prezzi fissi per un periodo prolungato (salvo adeguamenti, come la variazione del costo della vita). Almeno in una prima fase andrebbero quindi identificati strumenti per promuovere sul lato domanda controparti credibili delle utility, dei grandi trader, degli aggregatori di impianti FER. A titolo esemplificativo, si indicano qui i consorzi di acquisto e le Energy Community, cioè comunità di utenze (private, pubbliche, o miste) localizzate in una determinata area di riferimento: Germania e Danimarca offrono già oggi molteplici e importanti esperienze di Energy Community. Un ruolo altrettanto importante sul lato dell’offerta potrebbe essere svolto dalle utility, se offrissero contratti che prevedono opportune revisioni al verificarsi di determinati eventi.

Un ulteriore contributo nella medesima direzione potrebbe venire se nel mercato del giorno prima, oltre a offrire l’energia per ogni singola ora del giorno successivo, fosse possibile formulare offerte anche per fasce orarie più lunghe (se del caso accompagnate da profili di potenza), opzione che ridurrebbe la probabilità di compravendite dell’energia a prezzo nullo o prossimo allo zero. Le tutto sommato fattibili modifiche da apportare ai criteri e alle norme che attualmente governano il mercato elettrico, per adeguarlo in modo non traumatico al mutato contesto in cui opera, meritano quindi di essere esaminate con attenzione.

L’articolo è stato pubblicato sul n.1/2015 della rivista bimestrale QualEnergia, con il titolo “Una riforma ineludibile”

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