I SEU e quei dubbi sugli utenti “complessi”

Quando in situazioni come un ospedale o un aeroporto ci sono altre attività, come bar, edicole o negozi, queste possono diventare clienti di un eventuale sistema efficiente di utenza? E cosa succede quando un cliente è servito da più impianti di proprietà di più soggetti diversi: è automatico che debba rinunciare? Proviamo a chiarire qualche dubbio.

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Un impianto con più utenti o un solo utente con più impianti, di proprietà di soggetti diversi. In entrambi i casi potrebbe essere impossibile ottenere la qualifica di SEU e, dunque, godere dell’esenzione dal pagamento degli oneri di rete e di sistema sull’energia autoconsumata. Vediamo di chiarire qualche dubbio, visto il grande interesse che in questo periodo suscitano i Sistemi Efficienti di Utenza, cioè quelle configurazioni, che (si veda il nostro Speciale Tecnico), permettono a un produttore di vendere l’energia a un cliente producendola direttamente a casa sua, tipicamente con un cogeneratore o un impianto fotovoltaico su tetto.

Il primo caso, quello in cui gli utenti sono più di uno, è quello che più limita la diffusione di questi business model. Come sappiamo, il SEU è definito dal decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 115 (all’articolo 2, comma 1, lettera t ) come un sistema in cui un impianto (<20MW) “alimentato da fonti rinnovabili ovvero in assetto cogenerativo ad alto rendimento (…) è direttamente connesso (…) all’impianto per il consumo di un solo cliente finale (…)“.

In generale, dunque non si possono fare SEU con più utenti (anche se nel Collegato Ambientale si stanno proponendo modifiche che potrebbero ampliare l’applicazione). Ci sono però situazioni particolari in cui non è facile capire se si sia di fronte a uno o a più clienti e se dunque si possa invece ottenere la qualifica: pensiamo ad esempio a un ospedale, all’interno del quale c’è un bar o un’edicola o a un centro commerciale o a un aeroporto che ospitano varie attività.

Come sottolineato anche da un’interrogazione parlamentare, i dubbi originano dall’interpretazione della delibera Aeegsi sui SEU (578/2013/R/eel, allegato in basso) di quanto stabilito dal decreto del 2008. La definizione di “Unità di Consumo” adottata nella delibera (articolo 1, comma 1.1, lettera pp dell’allegato), stabilisce tra le altre cose che le diverse unità immobiliari che la possono costituire, oltre ad essere “localizzate su particelle catastali contigue in un unico sito produttivo” e “nella piena disponibilità della medesima persona giuridica” siano “utilizzate per attività produttive di beni e/o servizi destinate in via esclusiva alla realizzazione, in quello stesso sito, di un unico prodotto finale e/o servizio”.

Il dubbio è che questa definizione possa escludere dai benefici tariffari spettanti ai SEU molte situazioni in centri commerciali, mercati generali, interporti, aeroporti, ospedali, fiere, ecc. Spesso questi hanno un’unica rete elettrica e un’unica bolletta, sebbene siano presenti al loro interno più attività commerciali distinte: pensiamo al bar o all’edicola dell’ospedale. Sembrerebbe, dunque, che possano divenire clienti SEU, ma resta il dubbio sul fatto che i prodotti che offrono le varie attività – il cappuccino al bar dell’ospedale o il giornale all’edicola in aeroporto – siano “destinati in via esclusiva alla realizzazione, in quello stesso sito, di un unico prodotto finale e/o servizio”.

Il chiarimento che ci forniscono fonti interne all’Autorità per l’Energia sembra confermare che in gran parte delle situazioni le attività interne non possono essere servite da SEU: “Il cliente finale, in particolare – ci scrivono – è un soggetto che acquista energia elettrica per uso proprio. La definizione di unità di consumo serve per identificare i clienti finali veri, non anche gli intermediari, facendo riferimento a quanto già esistente in ambito catastale (da qui deriva il riferimento alle unità immobiliari). Spesso invece nei centri commerciali, negli ospedali, nei quartieri residenziali sono presenti clienti finali diversi che non possono essere parte del SEU vero e proprio (alberghi o negozi autonomi).”

“In più – continua la nota informale –  come detto, l’area in cui è realizzato il SEU deve essere nella disponibilità dell’unico cliente finale, il che tra l’altro rende necessario il riferimento a particelle contigue (condizione non sempre rispettata in alcuni centri commerciali o fiere o più in generale in alcuni ambiti territoriali vasti). Anche che la stessa Commissione europea (nella nota interpretativa del 22 gennaio 2010) identifica tali realtà complesse, a fini industriali e commerciali, tra i sistemi di distribuzione chiusi che, per come sono definiti dalla direttiva 2009/72/CE, sono ben diversi dai SEU”.

Una lettura molto diversa arriva invece da Assorinnovabili: “la Deliberazione – si legge in un documento dell’associazione, allegato in basso – amplia la categoria dei sistemi qualificabili come SEU, poiché ammette esplicitamente che un sistema in cui sia presente un unico impianto di produzione di energia connesso al diverso cliente finale, possa essere qualificato come SEU anche nelle ipotesi in cui il cliente finale sia costituito da realtà composite nelle quali sia presente una pluralità di impianti per il consumo. Al contrario, sostenere che l’introduzione del concetto di unità di consumo restringa la categoria di sistemi qualificabili come SEU, da un lato, equivale a ritenere che la Deliberazione sia illegittima, in quanto in contrasto con la norma primaria, e, dall’altro, collide con il chiaro dettato della Deliberazione stessa che consente la configurazione di un SEU in cui a un cliente finale siano connessi più impianti per il consumo.”

Venendo ai casi concreti, secondo Assorinnovabili, ad esempio può essere SEU anche “un mercato rionale coperto alimentato da un unico impianto di produzione di energia: in questo caso, i singoli negozi ubicati all’interno del medesimo immobile, concorrono alla fornitura del medesimo servizio al consumatore: la possibilità di approvvigionamento di un’ampia varietà di prodotti alimentari freschi di qualità e a prezzi concorrenziali in un unico sito”. Per motivi analoghi un SEU potrebbe avere come clienti le attività che stanno in centri commerciali,  aeroporti, ospedali, fiere, strutture pubbliche, ecc.

Secondo l’avvocato Emilio Sani dello studio legale Macchi di Cellere Gangemi, invece,  per restare all’esempio del bar dell’ospedale “se questo ha una sua autonomia produttiva, è accatastato autonomamente e paga l’energia in base ai consumi” non può approvvigionarsi nell’ambito di un SEU. In questo caso – spiega – il SEU nell’ospedale si può fare lo stesso, ma il bar dovrà divenire un'”utenza virtuale” e pagherà l’energia come se la prelevasse dalla rete esterna. Se invece il bar in questione non pagasse l’energia in base ai consumi, ma, ad esempio, i gestori avessero un accordo per cui pagano un affitto ‘tutto compreso’, allora, secondo il legale, anche l’energia consumata dal bar potrebbe essere acquistata nell’ambito di un SEU.

Passiamo al secondo caso cui accennavamo, che dovrebbe tuttavia essere meno diffuso. In alcune situazioni abbiamo un unico cliente servito da due o più impianti di proprietà di due o più soggetti diversi. In quel caso il rischio è che uno o più impianti non possano ottenere la qualifica di SEU e, così, si debbano pagare oneri di rete e di sistema su tutta l’energia prodotta. È il caso segnalatoci da un lettore di un’impresa manifatturiera che ha un cogeneratore e un impianto fotovoltaico, il primo di proprietà di una ESCo (partecipata dalla stessa azienda), il secondo dell’azienda stessa. Per i volumi di produzione in gioco, sottolinea preoccupato il lettore, il non riconoscimento della qualifica SEU al cogeneratore “comporterebbe un aggravio economico sotto forma di oneri di rete e di sistema di circa 1.000.000 di euro all’anno”.

Fortunatamente però questa situazione sembra risolvibile. Come ci spiega l’avvocato Sani, il problema, in realtà non è tanto la proprietà dell’impianto, ma la titolarità della licenza di officina elettrica: come da disposizioni a pagina 30 delle regole applicative GSE (allegato in basso), si può sanare la situazione chiedendo, entro 90 giorni dall’apertura del Portale informatico (avvenuta il 3 marzo 2015), la voltura della licenza di officina del cogeneratore.

“Per usufruire di questa possibilità – spiega Sani – bisogna che almeno uno dei titoli autorizzativi del cogeneratore sia stato rilasciato al cliente. Altrimenti, se la strada sopra non è perseguibile andrà valutato come è stato incentivato l’impianto fotovoltaico; se è asservito ai consumi dell’immobile – e quindi non può andare in cessione totale – si può verificare se sia possibile una configurazione in cui il cogeneratore lavori in semplice esenzione degli oneri di rete ma non di sistema come ASE (Altri Sistemi Esistenti, ndr) e non come SEU”.

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