Piccoli indizi di un cambiamento per il clima

L'incontro Enel-Greenpeace e le implicazioni per le utility vecchio stampo, l'appello di The Guardian per disinvestire dai fossili, Obama batte Unione Europa 2 a 1 sull’edilizia governativa. Eventi ancora marginali, ma che danno l'idea che si possa accelerare nella battaglia contro i cambiamenti climatici. L'editoriale di Gianni Silvestrini.

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Il comunicato congiunto di Greenpeace ed Enel dei giorni scorsi rappresenta un segnale forte di rottura e la conferma di un cambio di strategia con l’ambizione di diventare un attore della transizione energetica. Un gesto non scontato che, peraltro, avrà riflessi internazionali. Alcune utility seguiranno infatti la strada di Enel e E.On. Altre invece spariranno, non riuscendo a trasformare in modo sufficientemente rapido il loro modello di business.

Ma finché parliamo del comparto elettrico le scelte delle aziende risultano quasi obbligate. Ben più impegnativa e lontana da effettivi cambiamenti è la riflessione strategica delle multinazionali petrolifere e del carbone. Nel loro caso le alternative sono, infatti, molto limitate. Si tratta di vita o di morte, o meglio di come prolungare la vita grazie a soluzioni come il sequestro della CO2, le rinnovabili (magari i biocarburanti o l’eolico off-shore) l’efficienza, la mobilità sostenibile.

Uno “scenario 2 °C” comporterebbe la riduzione di un terzo della produzione di petrolio nei prossimi 25 anni. Come dice l’ex amministratore della Bp, John Browne, “questa conclusione non è accettata da molti nella nostra industria, perché non vogliono riconoscere questa minaccia esistenziale al proprio business”. Per questo è interessante analizzare l’evoluzione di Statoil, la compagnia petrolifera per due terzi proprietà del governo norvegese. La società riconosce l’importanza dell’obiettivo dei 2 °C ma, come tutte le multinazionali del settore, ritiene che la domanda crescerà e che quindi occorre essere presenti nelle esplorazioni, incluse le aree critiche come le sabbie bituminose del Canada e quelle nell’oceano Artico. Vedremo nei prossimi mesi e anni come si modificheranno le strategie di Statoil, come quelle di altre compagnie petrolifere, ad iniziare dall’Eni.

Anche perché sta crescendo rapidamente il movimento che punta a convincere a disinvestire dal mondo dei fossili. Dopo la presa di posizione delle Nazioni Unite attraverso l’UNFCCC, un’importante accelerazione della campagna viene dal mondo dei media, con la scesa in campo del Guardian. Il suo direttore, Alan Rusbridger, non solo ha deciso di dedicare ampio spazio alla sfida climatica, ma sta supportando attivamente il movimento “Divest Fossil” incitando a vendere le azioni delle compagnie impegnate nel settore fossile. Per questo, tra l’altro, ha raccolto già oltre 120.000 firme per stimolare alcune importanti fondazioni, a cominciare da quella di Bill e Melinda Gates che ha investito 1,4 miliardi $ nel comparto dei fossili, ad abbandonare queste industrie.

Infine, l’ultima mossa di Obama conferma che la leadership dell’azione sul clima sta passando oltre oceano, con un’efficace battaglia tra Usa e Cina. Il presidente americano ha firmato una legge che impone che entro il 2025 gli edifici governativi taglino le loro emissioni climalteranti del 40% rispetto ai valori del 2008 e che le rinnovabili soddisfino il 30% della domanda elettrica. In pratica questo impegno comporta una riduzione annua dei consumi energetici dell’intero parco di edifici governativi (che include anche le forze armate) del 2,5%. Fatti quattro conti, si tratta di un impegno doppio rispetto a quello previsto con la riqualificazione annua del 3% dell’edilizia governativa europea. Inoltre i consumi di acqua dovranno ridursi annualmente del 2%, mentre le emissioni specifiche dei veicoli governativi dovranno essere tagliate del 30% entro il 2025.

Europa, Italia datevi una mossa!

Consulta anche www.duegradi.it

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