Elettrificare i consumi, quando e perché conviene

Pompe di calore, auto elettriche e altre elettrotecnologie che sostituiscono gas e benzina fanno bene al clima solo in Paesi che producono l'elettricità emettendo meno di 600 gr di CO2 per kWh, come l'Italia. Ma l'elettrificazione ha altri vantaggi: diminuisce l'inquinamento locale e può spianare la strada alle rinnovabili. Uno studio dell’Università di Toronto.

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Ridurre le emissioni di CO2 per evitare un disastro climatico è, almeno a parole, nelle intenzioni di tutti o quasi i Paesi del mondo. Per farlo, in genere, si punta sulla sostituzione delle fossili con le rinnovabili, alla diminuzione dei consumi energetici e alla riduzione o inversione della deforestazione. Ma c’è una quarta strada per ora molto meno praticata: l’elettrificazione di consumi energetici affidati oggi alle fossili. Esempi classici sono l’uso di vetture elettriche o ibride plug-in in sostituzione di quelle con solo motore a scoppio, la creazione di reti di treni ad alta velocità che sostituiscano i voli di breve e media lunghezza o l’impiego di pompe di calore per il riscaldamento al posto di caldaie alimentate a metano, gasolio o gpl.

Tutti questi impieghi hanno il grande vantaggio di usare l’energia con molta maggiore efficienza. Per esempio l’elettricità nella batteria di un’auto elettrica viene impiegata al 70-80% nel far muovere le ruote, contro appena il 30-35% dell’energia della benzina. E, anche se l’efficienza delle caldaie a gas è molto alta, non può certo competere con quella di una pompa di calore, che da un kWh di elettricità ne fa apparire per “magia termodinamica” anche 3 o 4 di calore.

Eppure l’adozione di alcune di queste tecnologie stenta a decollare. Le ragioni principali sono il loro costo relativamente alto e alcuni difetti rispetto alle tecnologie che vanno a sostituire. Ma c’è anche un altro fattore: spesso si accusano auto elettriche e pompe di calore di emettere più o meno tanta CO2 quanto le analoghe tecnologie a fossili. In fondo – è la tesi dell’accusa – gran parte dell’elettricità oggi deriva da fossili e quindi usare elettricità per produrre calore o movimento è solo una partita di giro rispetto a usare le stesse fonti fossili direttamente.

Per questo l’ingegnere Chris Kennedy dell’Università di Toronto ha deciso di andare a vedere in quali condizioni sia veramente inutile, da un punto di vista ambientale, procedere all’elettrificazione dei consumi energetici. Con i suoi colleghi Nadine Ibrahim e Daniel Hoornweg, ha compiuto un’analisi delle emissioni complessive di CO2 di un mix di tecnologie elettriche in grado di sostituirne altre a combustibili fossili, durante i loro rispettivi cicli di vita e in presenza di diversi scenari di intensità di CO2 emessa per ogni kWh elettrico prodotto.

Il risultato, pubblicato su Nature Climate Change (abstract in basso), è decisamente confortante: elettrificare trasporti e riscaldamento diventa conveniente quando il kWh viene prodotto con meno di 600 gr di CO2: un livello che è quasi il doppio di quello attuale dell’Italia e dell’Unione Europea. «In realtà – spiega Kennedy – quello che si ottiene con i nostri calcoli è piuttosto un range di convenienza che varia fra 500 a 700 grCO2/kWh, a seconda se nel mix si considerano tecnologie elettriche più o meno convenienti rispetto a quelle a fossili che sostituiscono. Diciamo però che 600 grCO2/kWh è una buona media, che potrebbe essere adottata dai paesi che ancora non lo conseguono, come obbiettivo chiaro e facile da misurare, sulla strada della sostenibilità energetica e da conseguire in tempi relativamente brevi, cioè entro il 2020-2030.»

Nel loro lavoro Kennedy e colleghi riportano molti dati (aggiornati al 2011) sull’intensità di CO2 nella produzione elettrica nel mondo: si va dal record dei 1787 grCO2/kWh del Botswana agli 0 grammi dell’Islanda (che va tutta a geotermico e idroelettrico). Ma forse i dati più significativi sono quelli dei 15 maggiori emettitori di gas serra del mondo (vedi grafico sotto).

Come si vede, di questi già dieci sono sotto il limite dei 600 grCO2/kWh, anche se tre di loro, Iran, Usa e Corea del Sud sono ancora sopra i 500. Dei cinque con l’intensità di CO2 più alta, sopra i 700 grCO2/kWh, Cina e India (rispettivamente primo e terzo emettitore mondiale), la stanno diminuendo, come l’Australia, mentre restano più o meno costanti Arabia Saudita e Indonesia.

Il fatto che 10 dei 15 maggiori emettitori mondiali siano già sotto al limite dei 600 grCO2/kWh vuole comunque dire che in quei Paesi l’elettrificazione dei consumi energetici potrebbe già dare un sostanziale contributo alla riduzione delle emissioni. Per alcuni di questi grandi emettitori, come Canada e Brasile, che hanno un’intensità di CO2 per kWh bassissima (rispettivamente 167 e 68 grCO2/kWh), il risparmio di emissioni conseguibile è enorme, ma è grande anche per la stessa Unione Europea, dove l’intensità di emissioni media è di 380 grCO2/kWh (l’Italia a 385), nonostante la Germania sciupi il quadro virtuoso, con i suoi 490 grCO2/kWh.

«Ma cominciare ad elettrificare il sistema energetico – conclude Kennedy – anche se non da un punto di vista climatico immediato, converrebbe comunque anche ai paesi che restano sopra ai 600 grCO2/kWh. Sia perché l’elettricità riduce l’inquinamento a livello dell’utente finale, sia perché è essa stessa uno stimolo a investire in fonti rinnovabili. L’elettrificazione, infatti, va spesso a sostituire l’uso dei combustibili fossili più costosi, come il petrolio e il gas naturale, e libera così risorse finanziarie che possono essere dirottate, a livello nazionale o del cittadino, verso fonti elettriche rinnovabili, con le quali alimentare i consumi appena elettrificati, contribuendo così a diminuire anche l’utilizzo del carbone per l’elettricità.» Insomma, elettrificare vuol dire innescare un circolo virtuoso fondamentale per decarbonizzare il sistema energetico.

Lo studio

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