Prevedere la producibilità delle turbine eoliche. Uno studio CNR-Ibimet

  • 10 Marzo 2015

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Giovanni Gualtieri dell’Istituto di biometeorologia del CNR di Firenze ha presentato uno studio i cui risultati consistono nel prevedere l’andamento del vento a quote difficilmente raggiungibili con strumentazione dai costi contenuti a partire da semplici misure a terra.

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Per sfruttare il vento serve un attento calcolo delle sue potenzialità in modo da definire precisamente localizzazione e struttura degli impianti eolici. A questo proposito c’è un importante contributo di Giovanni Gualtieri dell’Istituto di biometeorologia del Consiglio nazionale delle ricerche (Ibimet-Cnr) di Firenze, con lo studio Surface turbulence intensity as a predictor of extrapolated wind resource to the turbine hub height”, pubblicato su Renewable Energy.

L’intensita di turbolenza (I) di un sito è data dal rapporto tra la deviazione standard della velocità del vento (su) e il valore medio della velocità del vento (v), cioè dalla misura di quanto il valore istantaneo di v si discosti da quello medio – spiega Gualtieri – in campo eolico è un parametro fortemente critico, in quanto al suo aumentare crescono anche i carichi sulle turbine, che ne riducono il ciclo di vita, le perdite dell’energia prodotta e l’incertezza nella stima della produttività. Non a caso, tra i requisiti costruttivi cui le turbine in commercio devono ottemperare secondo le norme europee, uno dei più importanti è proprio la resistenza all’intensità di turbolenza del sito a cui sono destinate”.

Con la ricerca dell’Ibimet-Cnr questo parametro – per la prima volta in campo eolico – è stato invece trattato come un fattore positivo. “Processando due anni di dati (2012-2013) della torre anemometrica di Cabauw (Olanda) ad altezze comprese tra 10 e 80 m, l’intensita di turbolenza (I) è risultata fortemente correlata all’esponente del “wind shear”, cioè al profilo verticale della velocità del vento – prosegue Giovanni Gualtieri – c’è da considerare che, mentre il wind shear richiede misure fino ad altezze anche superiori ad 80-100 metri, l’intensità di turbolenza è un dato di superficie per il quale sono sufficienti misure a 10-20 m. In sostanza, il risultato del nostro lavoro consiste nel prevedere l’andamento a quote difficilmente raggiungibili con strumentazione dai costi contenuti a partire da semplici misure a terra: un vantaggio evidente, in fase di progettazione di un impianto eolico”.

Il metodo proposto ha fornito buoni risultati nel calcolo sia della velocità del vento (v) sia della densità di potenza (P). “Applicato tra i 10 e gli 80 m, il metodo ha rivelato errori compresi tra il 4 e 7% per v, e tra il 3 e l’8% per P – conclude Gualtieri – su una gamma di 15 aerogeneratori tra quelli disponibili in commercio con altezze del mozzo dell’ordine di 40 m, ha fornito un errore nella stima della producibilità energetica tra il 4,1 e il 6,2%. Su un set più ampio di 40 turbine con altezze del mozzo a 80 m, l’errore è risultato compreso tra il 6,2 e il 14,5%. Si tratta di risultati di grande interesse a livello applicativo, progettuale e industriale”.

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