Barile low-cost, dà più risultati delle campagne contro le perforazioni

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La retromarcia di Shell sulle sabbie bituminose di Pierre River è l'ultima di una serie di rinunce di Big Oil. Il petrolio a prezzi stracciati sta riuscendo dove le campagne su clima e bolla del carbonio hanno avuto scarsi effetti: frena il ritmo con cui si investe per estrarre petrolio non convenzionale.

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La settimana scorsa Shell ha annunciato il suo ritiro dal progetto di estrazione di greggio da sabbie bituminose di Pierre River, in Alberta, il più grande dell’area. Si tratta di riserve fossili che oltre ad essere tra le più inquinanti e climalteranti sono anche tra le più costose da estrarre. Ma quello di Shell è solo l’ultimo di una serie di retromarce dagli investimenti più impegnativi che le grandi del petrolio stanno compiendo.

Guardando a quel che hanno fatto 19 tra le major del settore oil & gas, dal primo trimestre 2013 gli investimenti pianificati per il 2015 sono stati tagliati di 32,7 miliardi di $, circa il 10% del totale. Ma più di un terzo dei tagli sugli investimenti del 2015 è stata decisa nell’ultimo trimestre del 2014: nel complesso una revisione al ribasso di 12,4 miliardi.

Pare proprio che il barile a prezzi stracciati stia riuscendo (in parte) dove le campagne di sensibilizzazione su rischio clima e bolla del carbonio hanno avuto effetti quasi nulli: sta finalmente frenando il ritmo con cui Big Oil investe per estrarre dal sottosuolo il carbonio immagazzinato sotto forma di idrocarburi. Carbonio che se rilasciato in atmosfera sotto forma di CO2 darebbe il colpo di grazia al già compromesso equilibrio climatico.

Il dato sulle revisioni sui progetti di investimento (sintetizzato nel grafico sopra) arriva da Carbon Tracker Initiative, think-thank britannico impegnato a sensibilizzare sulla cosiddetta bolla del carbonio. CTI ha messo appunto un nuovo strumento, battezzato Capex Tracker, che serve appunto a monitorare gli investimenti in nuove riserve dell’industria, qui accorpata in industra petrolifera e del gas (vedi allegato in basso).

Nel grafico qui sotto gli investimenti oil & gas del 2014 e quelli previsti per l’anno in corso. Come si vede sono decisamente più contenuti:

Il freno è dunque sui progetti con i costi più alti, che, coincidenza fortunata, sono spesso anche i più pericolosi, inquinanti e climalteranti: in ordine quelli nelle sabbie bituminose canadesi e venezuelane, seguiti dai giacimenti in mare più profondi e costosi. D’altra parte tra questi ci sono progetti che anche con un barile a 120 dollari non sarebbero convenienti, e oggi il barile è a meno di 50 dollari.

In particolare con questi prezzi una doccia gelata è arrivata sul settore delle sabbie bituminose. Secondo Wood Mackenzie nei prossimi anni gli investimenti in queste riserve caleranno di due terzi e i progetti esistenti nel loro ciclo di vita renderanno nel complesso 121 miliardi di dollari in meno rispetto a quanto previsto quando li si è realizzati.

Lo stesso Carbon Tracker Initiative in un report precedente stimava che per i progetti futuri in sabbie bituminose un prezzo del barile sotto ai 95 $  renderebbe non convenienti da estrarre i nove decimi delle riserve. Se le compagnie proseguissero con i loro piani, nei prossimi 10 anni rischierebbero di creare un buco da 271 miliardi di dollari. Un rischio di cui le aziende del settore sembrano però aver preso coscienza, visto il ripensamento che stanno avendo su molti progetti.

A dicembre la società di consulenza Rystad Energy, prevedendo che il prezzo del barile si attesti per il 2015 sugli 82,5 $/b, stimava essere a rischio di eliminazione o congelamento più di un quinto dei progetti di ricerca ed estrazione oil & gas ancora in attesa di una decisione finale di investimento. Nel corso del 2015 le compagnie dovranno decidere su 800 progetti per un totale di 500 miliardi di dollari e 60 miliardi di barili: secondo Rystad con i prezzi previsti, circa 150 miliardi di investimenti, per 12 miliardi di barili, saranno stoppati. Se poi le quotazioni dovessero attestarsi sui 70 dollari, spiegava a Reuters il capo economista della società di consulenza norvegese, Magnus Nysveen, potrebbero essere bloccati addirittura metà dei volumi in questione. A rischio in questo caso sarebbero tutti i progetti dai costi di sviluppo superiori ai 30 $/b. 

La presentazione del Capex Tracker di CTI (pdf)

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