Mercato elettrico e gas di maggior tutela o libero? L’importante è tutelare i consumatori

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Quali sono le implicazioni legate alla proposta di eliminare la 'maggior tutela', nel mercato elettrico e del gas, ossia del regime accessibile ai clienti che non vogliono passare al mercato libero? Finora il passaggio al mercato libero è costato fino al 20% in più per l'elettrico e fino al 10% in più per il gas. Un articolo di Roberto Meregalli dell'Associazione 'Energia Felice'.

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Da tempo fra gli addetti ai lavori si parla dell’eliminazione della “maggior tutela”, ossia del regime accessibile ai clienti domestici (e non solo) che non vogliono passare al mercato libero. Nei giorni scorsi la norma era apparsa nelle bozze del DDL Concorrenza scatenando diversi commenti, soprattutto perché indicava una data molto vicina per la fine della maggior tutela: giugno del 2016. Venerdì 20 febbraio il governo ha approvato un testo che conferma la proposta di eliminare la maggior tutela ma con tempi dilatati.

In parole comprensibili ai comuni mortali, i tre articoli che riguardano l’energia indicano che a partire dal 1 gennaio 2018 non ci saranno più i prezzi di riferimento per gas ed elettricità attualmente stabiliti dall’Autorità (AEEGSI) e tutti i consumatori dovranno scegliere nuovi contratti sul libero mercato.

Due mercati diversi

Va premesso che i due mercati non sono identici, nel caso dell’elettricità esiste una società di totale controllo statale, l’Acquirente Unico (AU), che in prima persona provvede all’acquisto sul mercato all’ingrosso dell’elettricità venduta ai clienti finali. In base ai suoi costi di approvvigionamento l’Autorità fissa trimestralmente il prezzo dell’energia e gli altri costi che finiscono in bolletta.

Per quanto attiene, invece, il settore del gas naturale la completa liberalizzazione del mercato è avvenuta già dal 1° gennaio 2003, non esiste un acquirente unico e la separazione delle attività di vendita e di distribuzione è stata imposta a tutte le imprese distributrici, a prescindere dal numero di punti di riconsegna serviti.

La tutela esistente è costituita solo dalle condizioni economiche definite dall’Autorità che tutti i venditori hanno l’obbligo di offrire a coloro che non hanno scelto il mercato libero. Queste condizioni economiche sono determinate dall’Autorità secondo una logica analoga a quella su cui è basata la determinazione dei prezzi del servizio di maggior tutela nel settore elettrico, cioè in modo da riflettere le condizioni di costo di un operatore efficiente del mercato. L’algoritmo di calcolo è stato aggiornato nel corso del 2013 prendendo in considerazione il prezzo del gas spot (mercato all’ingrosso a breve termine) favorendo così la discesa dei prezzi del 7% nel periodo aprile-dicembre 2013.

Situazione attuale

Sono quasi 29 milioni i punti serviti dal mercato elettrico e il 25% di questi ha optato per il mercato libero (pari al 29% dell’elettricità totale), la rimanente parte è finora rimasta nel servizio di maggior tutela. Per il gas il numero di punti serviti dal mercato libero è del 22% (23% del gas totale).

Il servizio di tutela costituisce quindi la modalità di fornitura largamente prevalente per i clienti finali che ne hanno diritto, sia nell’elettrico che nel gas. Una anomalia? Non proprio poiché la stessa Autorità ha dimostrato – con i dati che si riferiscono agli anni 2012 e 2013 – che nel settore elettrico passare al mercato libero può arrivare a costare fino al 20% in più, mentre per il gas fino al 10%. Conviene, quindi restare sotto il mercato di “tutela”.

Va anche specificato che facendo un confronto europeo, il tasso di cambio di mercato, ossia il passaggio da tutela a quello libero e viceversa (tasso di switching), è superiore a quello registrato in media nei paesi europei: 7,6% nel 2013 rispetto al 5,6% europeo, e ciò costituisce indice di buona dinamicità.

Quindi non è che la situazione italiana sia così ‘brutta’. Bortoni, presidente dell’AEEGSI, lo avevo detto a chiare lettere, mettendo in guardia il governo dal prendere decisioni affrettate:

“Nell’ambito del processo di completa liberalizzazione è fondamentale evitare che l’accelerazione della transizione al mercato libero dei clienti di massa sia caratterizzata da massicci trasferimenti di ricchezza dai clienti finali ai venditori del mercato libero. Questo potrebbe accadere qualora la rimozione dei sistemi di tutela avvenisse in modo repentino, consentendo ai venditori esistenti di innalzare i prezzi senza che i clienti finali possano reagire tempestivamente” (Monitoraggio Retail, 2012-2013 – pdf – del 5/2/2015)

Ma perché eliminare il servizio di tutela? Per avere più concorrenza e con essa prezzi più bassi, questa la tesi tradizionale dei sostenitori. Guardando la bolletta è bene notare che attualmente la parte denominata “servizi di vendita” che non sarà più fissata dall’Autorità, è pari – sia nel gas che nell’elettrico – al 46% di quanto paghiamo (vedi grafici sotto). Questo primo dato è importante per chiarire che quando parliamo di liberalizzazione parliamo comunque di una quota pari al 46% del costo dell’energia, tutte le discussioni sulla concorrenza devono partire da questo dato per non essere velleitarie.

Cosa potrebbe cambiare e chi è a favore della completa liberalizzazione?

Cominciamo col notare che i più convinti assertori sono i trader, cioè coloro che acquistano energia e la rivendono alle società di vendita (quelle che ci mandano le bollette a casa). Riuniti nell’associazione di categoria Aiget (Associazione Italiana di Grossisti di Energia e Trader), sostengono che l’Acquirente Unico pratichi una concorrenza sleale. L’AU, ricordiamolo, è la società che acquista sul mercato all’ingrosso l’elettricità che serve a tutti i consumatori che non hanno scelto il mercato libero, opera con criteri di economicità e trasparenza come grossista per un settore di mercato regolamentato dall’AEEGSI e, pertanto, i risultati delle sue attività sono pubblici.

Come riportato nelle sue relazioni di bilancio annuali, l’AU opera sui settori di mercato disponibili con l’obiettivo di diversificare le modalità di approvvigionamento per contenere il rischio e agisce come una normale società di mercato tant’è che ha avuto l’ok della Commissione Europea nel 2012, ma a detta di Aiget ha le spalle coperte, ossia, per dirla con le parole di Massimo Bello vicepresidente di Aiget “le spese generali di AU sono coperte dal sistema”. In questo schema si nota come l’AU opera “in concorrenza” ai traders e lo fa alla luce del sole poiché rende pubblico il suo operato e i suoi costi.

La tabella in basso mostra l’evoluzione dei costi sostenuti per l’approvvigionamento dell’energia dal 2009 al 2013, evidenziando il costo medio unitario di acquisto confrontato con la media, ponderata per le quantità, del prezzo unico nazionale (PUN) del mercato elettrico. Il costo medio risulta leggermente più elevato rispetto al prezzo di Borsa perché l’AU non acquista (come tutti i traders) l’intera quota di energia in Borsa, ma anche tramite contratti bilaterali, detti anche Over The Counter, e con prodotti standard a termine (MTE) in cui vengono negoziati contratti con consegna a tre, sei o dodici mesi con prezzi e quantità predeterminati. Questo aumento di costo rispetto al PUN è quindi il prezzo pagato per cercare di tenere il prezzo di acquisto al riparo dalle volatilità di Borsa: si paga un prezzo un po’ più alto, ma sicuro (che potrebbe nascondere un’inefficienza, si veda QualEnergia.itIl mistero del risparmio generato dalle rinnovabili che non arriva in bolletta, ndr).

Inoltre, Aiget vuole subito il cosiddetto “brand unbundling”, ossia il cambio di nome e logo delle società di vendita finali che fanno parte di società integrate, tipo Enel, Acea, eccetera, che oltre che società di vendita posseggono società di distribuzione. “Enel Energia” dovrebbe rinominarsi in “Energia Pinco Pallino” e non riportare più il logo Enel. Questo secondo Aiget sarebbe un passo avanti verso una migliore concorrenza. Quanto ciò sia utile per il cliente finale è molto opinabile e detto di fronte a una platea di comuni cittadini può scatenare reazioni di ilarità.

È però vero che esiste un problema nel rapporto fra distributore e venditore relativamente ai tempi di pagamento venditori – distributori – clienti.  I venditori  devono infatti ripagare i distributori e devono ripagare il sistema elettrico per la parte degli oneri e vista la crescente morosità hanno crescenti difficoltà a farlo.

Temi e problemi

Ma aldilà delle polemiche e del groviglio di parole in cui è facile perdersi, se si vuole ragionare sulla fine della tutela, occorre partire dal fatto che finora il mercato libero è risultato più costoso di quello tutelato e che a chiedere più mercato sono solo alcuni attori. I consumatori se chiedono qualcosa è ovviamente di pagare meno. Ma attenzione, negli ultimi anni quando la bolletta è aumentata (quella elettrica) non è stato per colpa della componente ‘energia’. Inoltre non mi sembra fuori luogo segnalare che ogni materia/servizio ha un costo sotto il quale si può scendere solo ignorando dei costi o scaricandoli altrove.

Il mercato libero è risultato più oneroso negli ultimi due anni probabilmente perché i prezzi stabiliti dall’Autorità sono calati, mentre gran parte dei contratti venduti sul mercato libero sono del tipo a prezzo fisso per uno-due anni (i più facili da comprendere). Certo verrebbe da dire che un consumatore attento potrebbe cambiare, ma a parte che alcune clausole non lo rendono sempre possibile, quanti nella fatica quotidiana del vivere hanno il tempo di monitorare i loro consumi e i prezzi? Quanti banalmente sanno quanti metri cubi di gas o kWh di corrente consumano in un anno? Gran parte degli switch al mercato libero si basano su proposte che i clienti neppure riescono pienamente a valutare per mancanza di informazioni sui propri consumi (e infatti 1 su 7 torna indietro nel medesimo anno).

Questo ci dice che se vogliamo creare un vero mercato dobbiamo per prima cosa dare a tutti i consumatori la possibilità di controllare in tempo reale consumi e costi attraverso strumenti elettronici già disponibili (siamo nel campo smart grid) in campo elettrico e ancora da dispiegare nel gas dove deve ancora iniziare la sostituzione dei vecchi contatori. Se l’obiettivo è quello di abbassare i prezzi si deve lavorare sul 54% del costo in bolletta che non è costo dell’energia, ma pane per la politica nel senso che è costo di sistema, oneri e tasse, quindi materia normativa.

Nel gas qualcuno ha notato che in Europa i tre paesi in cui il prezzo è più basso sono quelli col mercato più libero, ma l’approvvigionamento di ogni paese è specifico e in Italia se nel 2013 è sceso il prezzo della materia prima in bolletta è stato grazie alla spinta dell’Autorità a calcolarne il prezzo considerando il mercato spot e non i contratti a lunga scadenza ancorati a un prezzo del petrolio che allora era stabilmente sopra i 100 $. La scelta spinse le società (Eni, Enel, eccetera) a rinegoziare i contratti con i fornitori esteri. 

L’Autorità intanto sta rivoluzionando le tariffe elettriche per suddividere in maniera diversa tutte queste voci fra i consumatori e per superare l’attuale sistema tariffario che prevede l’aumento del costo del kWh all’aumentare dei consumi. Un cambiamento necessario perché il sistema tariffario vigente fu inventato 40 anni fa, quando non c’era un mercato dell’elettricità, quando dominava un sistema monopolistico le cui leve erano integralmente nelle mani del governo, quando dominavano le fonti fossili e si era in piena crisi di approvvigionamento energetico. Certo la fine della progressività delle tariffe assume un valore positivo favorendo lo spostamento sull’elettrico di consumi di energia fossile solo se abbinato a proseguire lo sviluppo della generazione da fonti rinnovabili, ma l’atteggiamento dell’esecutivo non è schierato in questa direzione e neppure quello dell’Autorità poiché anche nella riforma delle tariffe vi sono ipotesi che non favoriscono l’autoproduzione.

Liberalizzare la parte della bolletta che riflette i costi di generazione significa porre l’attenzione su come oggi si produce elettricità e da dove ci si rifornisce di gas.

La generazione elettrica negli ultimi sei anni ha cambiato faccia, il 54% della corrente in Europa proviene da fonti non fossili e ciò ha contribuito (insieme al calo della domanda) a far scendere i prezzi. Il problema è che, per la quasi totalità delle tecnologie, gli investimenti in nuova capacità appaiono oramai antieconomici: i costi di produzione dell’energia sono su livelli troppo alti rispetto al prezzo all’ingrosso dell’energia elettrica, sceso ad una media europea di circa 50 €/MWh, con range di costo dell’energia che oscillano invece dai 100 ai 200 €/MWh per fonti quali quelle solari o da biomasse, fino a picchi che vanno dai 250 ai 350€/MWh per gli investimenti petroliferi, vale a dire ben sette volte il prezzo dell’energia (Eurelectric).

Ed infatti, nonostante ricoprano quote sempre più importanti nel mix di generazione elettrica, anche gli investimenti in rinnovabili sono in calo negli ultimi anni, con una riduzione di oltre il 50% in soli due anni (2011-2013). Anche in Italia il PUN continua a scendere, attestandosi su una media di 53,8 €/MWh nel 2014 (-17% rispetto al 2013), ma i prezzi finali non hanno beneficiato di analogo trend: urge cambiare le regole del mercato all’ingrosso perché non fornisce segnali agli operatori (un mercato che non dà segnali non serve a nulla) e potrebbe uccidere indistintamente fossili e rinnovabili.

E su questi fronti che occorre lavorare da qui al 2018. Evitando di duellare su parole simboliche, ma serve farlo per la difesa concreta dei consumatori e l’impegno per un sistema energetico il più efficiente e pulito possibile.

In effetti già oggi i prezzi di tutela indicati dal regolatore non possono dirsi ‘prezzi amministrati’, poiché riflettono le quotazioni di mercato all’ingrosso a cui l’Acquirente Unico si approvvigiona. Come dire che potremmo stabilire che per la componente energia si utilizza il prezzo medio della Borsa e già saremmo a posto.

Se il Parlamento deciderà di abbandonare il “regime di tutela” non dovrà eliminare la “tutela” dei consumatori, dovrà cambiare le modalità di vigilanza e controllo, come del resto si è fatto in diversi paesi d’Europa, dove gli organismi preposti, ad esempio, attuano una pre-valutazione delle offerte che le diverse imprese propongono, oppure lo fanno a posteriori. Ma attenzione, perché in nessun paese esiste il livello di trasparenza attualmente praticato in Italia, come ha sottolineato l’Autorità: “nei Paesi analizzati si può notare come la “safety net” comporti, da parte del regolatore, interventi meno trasparenti e più discrezionali rispetto alla disciplina vigente in Italia. Al contrario le condizioni economiche dei servizi di tutela in Italia sono determinate secondo una metodologia nota ai partecipanti al mercato, stabile nel tempo e tale da garantire il trasferimento sui prezzi finali dei prezzi di approvvigionamento prevalenti sul mercato all’ingrosso”.

In sintesi, la distinzione fra mercato libero e mercato tutelato si può superare, ma “se non viene meno il grado di tutela dello Stato dei consumatori domestici”, meglio continuare con la tutela attuale, ricordando che il mercato nel settore dell’energia non sarà mai libero come vorrebbero i manuali, proprio per la sua intrinseca natura.

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