Il mito di quel “lato oscuro” dell’Energiewende tedesca

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La crescita della produzione elettrica da carbone e lignite, e delle emissioni, in Germania non è la conseguenza dell'accelerazione del Paese nell'abbandonare l'atomo, come hanno sostenuto alcuni osservatori ma, come spiegano Kunze e Lehmann del Helmholtz Centre for Environmental Research, è stata favorita da altri fattori esterni.

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Tra le recenti critiche mosse all’Energiewende, la svolta della Germania verso le rinnovabili, c’è quella che l’abbandono progressivo del nucleare, accelerato nel 2011, avrebbe causato un aumento della produzione di elettricità da carbone e lignite, con relative pessime ricadute su clima e ambiente. La stampa internazionale, specialmente quella di paesi nuclearisti come Francia e Regno Unito, ha spesso parlato di “lato oscuro della Energiewende”. A guardare bene i fatti, però, la tesi di un rapporto causa-effetto tra calo della produzione dall’atomo e aumento delle emissioni sembra infondata. A sostenerlo è un recente intervento di Conrad Kunze e Paul Lehmann del Helmholtz Centre for Environmental Research – UFZ apparso di recente su Energy Post.

Centro della discussione è l’aumento delle emissioni tedesche registrato nel 2012 e nel 2013 (ma sostanzialmente arrestatosi nel 2014). Come si vede dal grafico sotto, ad esempio nel 2013, nonostante la crescita della produzione energetica da fonti rinnovabili, le emissioni di gas sera (comunque inferiori ai livelli del 1990) sono cresciute dell’1,5% e questo è avvenuto soprattutto perché è aumentata la produzione elettrica da carbone e lignite.

La vulgata diffusa da molta stampa ha collegato questo aumento nell’uso del carbone alla decisione tedesca di chiudere “troppo in fretta” con l’atomo, lasciando un gap di produzione colmato appunto dalle fossili più inquinanti. Invece non è affatto così.

Intanto è importante mettere in un contesto più ampio l’aumento che si è registrato nella produzione da carbone e lignite. A crescere è stata anche la produzione elettrica tedesca in generale, passata dai 613 TWh del 2011 ai 633 del 2013, e questo è accaduto mentre i consumi domestici erano in calo. La Germania già dal 2002 esporta più energia di quanta ne importi ma, dopo la pausa del 2011 (anno in cui l’energia esportata ha comunque superato di significativamente le importazioni), negli ultimi due anni l’export sta crescendo molto più rapidamente, nonostante il vuoto lasciato dal nucleare (vedi grafico sotto).

Altro grafico significativo è quello che segue: qui la linea gialla mostra il declino della produzione da nucleare, accelerato nel 2011 con il decommissioning anticipato di alcune centrali; quella verde traccia la produzione da rinnovabili, in crescita costante fino a superare il 29% della generazione nel 2014.

Come si vede, a livello meramente contabile la produzione da fonti pulite ha compensato ampiamente il calo di quella da nucleareOvviamente va considerato che la generazione da rinnovabili è per gran parte una produzione non programmabile: se su base annuale riempie lo spazio lasciato dal nucleare non è detto che compensi sempre i vuoti lasciati dall’atomo, che ha una produzione continua, che andrebbero parzialmente compensati con altre fonti.

Nocciolo della questione è il motivo perché tra le fonti sostitutive hanno guadagnato quote di mercato proprio carbone e lignite: gli impianti a gas, relativamente meno inquinanti e molto più flessibili sarebbero, infatti, molto più adatti a compensare gli sbalzi di eolico e fotovoltaico. Secondo Kunze e Lehmann le ragioni non vanno cercate nell’Energiewende, ma nella dinamica dei mercati internazionali.

Dal 2011 ad oggi infatti i costi della generazione elettrica da carbone sono calati del 30%, spinti dall’oversupply della materia prima, legato anche al boom dello shale-gas negli Usa (che ha portato gli States ad esportare più carbone) e alla maggiore produzione in Asia. E a rendere ancora più competitivo il carbone rispetto al gas si è aggiunto il crollo del prezzo della CO2, nel sistema EU-ETS passato dai 15-17 euro/tonnellata del 2011 a 5-7 nel 2014.

Entrambe queste dinamiche – crollo dei prezzi del carbone e dei permessi ad emettere – sottolineano gli studiosi, si sono manifestate proprio a partire dal 2011, anno dell’accelerazione tedesca nella fuga dal nucleare. In questo contesto è chiaro che la produzione da carbone tedesca sia cresciuta, ma ciò non è affatto dipeso dalla chiusura anticipata di alcune centrali nucleari.

Che la crescita del carbone sia “il lato oscuro dell’Energiewende”, insomma, non è che un mito.

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