Mercato elettrico europeo, l’allarme di Eurelectric

In Europa più della metà dell'elettricità viene da rinnovabili e nucleare. Ma i nuovi investimenti in tecnologie low-carbon e in flessibilità sono messi a rischio da un mercato inadeguato. La denuncia è della lobby europea dei produttori elettrici, che chiede di intervenire sul sistema ETS e di accelerare i meccanismi di capacity payment.

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Il sistema elettrico europeo in questi anni ha cambiato volto, soprattutto per la crescita delle energie rinnovabili non programmabili e per il calo della domanda. Ma il mercato non è adeguato a gestire la transizione: gli investimenti necessari in tecnologie low-carbon e in potenza flessibile non si ripagano per via dei prezzi troppo bassi dell’elettricità all’ingrosso. Bisogna intervenire, in un’ottica di neutralità tecnologica, magari garantendo che la CO2 abbia un prezzo adeguato e che la flessibilità venga remunerata. Nel messaggio che arriva dall’ultimo report di Eurelectric, la lobby europea dei produttori elettrici “convenzionali” riecheggiano diverse constatazioni che abbiamo sentito anche nell’ambito del dibattito sul mercato elettrico italiano (si veda qui e qui).

Il rapporto dal titolo “A sector in transformation: Electricity industry trends and figures” (allegato in basso), riassume i più recenti dati statistici disponibili (riferiti al 2013) su domanda, generazione, capacità e investimenti in 34 Paesi europei cioè l’UE a 28 più Norvegia, Svizzera, Islanda, Turchia, Serbia e Ucraina. Sfogliarlo è molto interessante per cogliere soprattutto la portata del cambiamento in atto.

Nel 2013, per il secondo anno di fila, più della metà dei consumi elettrici europei è stato prodotto da fonti low-carbon: circa il 27% dalle rinnovabili (contro il 24% del 2012) e un’altra fetta equivalente dal nucleare.

E poi c’è da registrare una domanda in continuo calo: è arrivata a 3.101 TWh, cioè un ritorno ai livelli del 2005, nonostante sia aumentata in alcuni Stati come quelli dell’Est (qui il dato di gennaio 2015 per l’Italia). Alcuni grafici mostrano bene la notevole crescita della potenza da rinnovabili non programmabili.

Come il parco elettrico europeo stia cambiando volto lo si capisce ancora meglio se si guarda al bilancio tra nuova potenza e centrali mandate in pensione nel 2013, anno nel quale, si sottolinea, sono state le grandi utility a installare l’80% della nuova potenza da rinnovabili.

In alcuni Paesi, tra cui l’Italia (si vedano anche i dati 2014), le nuove rinnovabili non programmabili hanno ormai fette del mix di generazione elettrica che si avvicinano al 20% (in Italia, ad esempio, eolico + fotovoltaico rappresentano nel 2014 il 14,3% della produzione elettrica nazionale):

Tuttavia gli investimenti in fonti rinnovabili dal 2011 sono calati vistosamente:

Secondo l’associazione dei produttori elettrici europei c’è un investment gap che colpisce le fonti più flessibili e costose. I prezzi elettrici sul mercato all’ingrosso non sono sufficienti a remunerare gli investimenti in alcune tecnologie: il grafico qui in basso che confronta il prezzo medio del MWh alla Borsa elettrica con il costo di produzione tutto compreso delle varie tecnologie lo mostra chiaramente.

Non è invece calato, in media, il prezzo del kWh in bolletta. Come si vede nei grafici sotto, la flessione della componente energia in media è stata compensata dalla crescita degli oneri di rete e di sistema, oltre che delle tasse. Per inciso, si noti come in Italia queste voci pesino più della media per i consumatori industriali, mentre le famiglie italiane pagano leggermente meno della media europea.

Tornando al gap tra costi è prezzi all’ingrosso, emblematica è la crisi dei cicli combinati a gas, particolarmente sentita in mercati come quello italiano e quello tedesco, dove la concorrenza del fotovoltaico e dell’eolico, spingendo in basso i prezzi all’ingrosso, mette fuori mercato questi impianti sicuramente flessibili, ma più costosi.

È allora chiaro che Eurelectric invochi, allarmata, una soluzione. Questa, secondo l’associazione, deve esseremarket-based e technology-neutral. Per la lobby elettrica il modo migliore per riequilibrare il mercato sarebbe di garantire un prezzo della CO2 adeguato tale da motivare gli investimenti low-carbon, intervenendo sul sistema ETS. Altro pilastro, il capacity payment: bisogna che la flessibilità sia “adeguatamente valorizzata”, dicono.

“Gli obiettivi di decarbonizzazione dell’Europa presuppongono 740 GW di capacità di generazione aggiuntiva al 2035, rendendo così l’UE la seconda più grande economia dopo la Cina per portata del suo intervento di revamping del parco elettrico. Ma questi interventi potranno essere realizzati solo se i decisori politici europei riconosceranno l’urgenza di un quadro regolatorio che permetta alle aziende di centrare gli obiettivi in modo efficiente dal punto di vista dei costi“, avverte il presidente del comitato Energy Policy & Generation di Eurelectric, Oluf Ulseth, secondo il quale deve essere in particolare rafforzato il sistema emission trading, al fine ottenere un segnale di prezzo in grado di stimolare gli investimenti nelle tecnologie low-carbon.

Tra  le azioni da intraprendere secono Eurelectric, l’integrazione dei mercati all’ingrosso, anche per quanto concerne l’infragiornaliero e i servizi di bilanciamento, affiancati dallo sviluppo dei mercati della capacità. In un sistema elettrico caratterizzato da quote crescenti di produzione non programmalbile, Eurelectric mette l’accento sull’importanza di avere impianti più flessibili,  una gestione attiva della domanda e forme di accumulo dell’energia.

Insomma, Eurelctric – questa la novità del documento – sembra essersi “rassegnata” alla transizione energetica, anche se, come è ovvio, vuole che sia accompagnata da strumenti che tutelino gli interessi dei suoi associati, come un capacity market che allievi la crisi degli impianti a gas.

Sembrano passati anni luce – commenta il presidente onorario del Coordinamento FREE, GB Zorzoli – da quando, analizzando i dati relativi al decennio 2002-2012, in un rapporto (“Locked in the past”) Greenpeace criticava le utility per gli insufficienti investimenti in rinnovabili; invece sono solo due. Si possono avere riserve e manifestare dei distinguo, tuttavia, tenuto conto che il rapporto rappresenta la mediazione fra le situazioni e i punti di vista di moltissime realtà nazionali, la sua lettura andrebbe caldamente consigliata ai nostalgici di un mondo energetico ormai tramontato”.

Il report Eurelectric “A sector in transformation: Electricity industry trends and figures” (pdf)

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