Infrastrutture gas: con il calo della domanda diventano investimenti a rischio

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La domanda europea di gas è in calo da quattro anni, ma abbiamo sempre più gasdotti e se ne stanno realizzando di nuovi. Investimenti che rischiano di non dare ritorni economici: possibili buchi nell'acqua, stranded asset, denuncia l'associazione europea dei trader in energia. Ma se i gasdotti non si ripagheranno a chi andrà il conto?

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Con il calo dei consumi di gas gli investimenti dei Paesi europei in gasdotti e rigassificatori rischiano di non rientrare. A quel punto chi pagherà i costi enormi di quelle infrastrutture realizzate, probabilmente, senza che ce ne sia veramente bisogno? L’allarme e la relativa domanda arriva dalla European Federation of Energy Traders, l’associazione europea dei trader di energia e, precisamente, è stata lanciata dal presidente della sezione Gas dell’associazione, Doug Wood, in un’intervista a Bloomberg pubblicata l’altro ieri.

Ormai dal 2006 ricorrono tensioni con l’Ucraina che fanno tremare gli europei per l’eventualità che Mosca chiuda i rubinetti, dato che l’UE dipende dalla Russia per circa il 30% del suo fabbisogno di gas e che metà del gas russo arriva nell’Unione passando per l’Ucraina. Spinti dalla preoccupazioni per la sicurezza energetica, negli ultimi anni gli Stati europei hanno costruito nuove infrastrutture per approvvigionarsi di gas e ne stanno realizzando altre ancora: secondo i dati Eurogas, la rete gas europea è aumentata di 200mila km, da 2 a 2,2 milioni di km dal 2010 ad oggi (anche se va detto che nel frattempo un nuovo Stato membro è entrato nell’Unione) ed è in programma la realizzazioni di nuove condotte, come la Trans Atlantic Pipeline o TAP che dovrebbe approdare in Puglia (vedi mappa sotto, si ingrandisce cliccando).

Contemporaneamente però la domanda di gas europea, complice il rallentamento economico, la crisi della generazione elettrica a gas e in parte i miglioramenti nell’efficienza energetica da quattro anni è in calo: nella prima metà dell’anno si è registrato un -18% sullo stesso periodo del 2013 e i dati preliminari per il 2014 (usciti a fine dicembre su rilevazioni di settembre, vedi report Eurogas allegato in basso) fanno presumere un calo del 9% sull’anno precedente.

Conseguenza di tutto ciò: i gasdotti storici vengono e verranno usati molto meno e questo porta ad una svalutazione degli asset, che metterebbe a rischio anche gli investimenti futuri. “La sicurezza degli approvvigionamenti è molto importante per i Governi, perché non vogliono essere responsabili di eventuali black-out, ma se c’è una sovracapacità di trasporto e vengono applicate le leggi del mercato, queste ultime non possono che riflettere la sovracapacità e quindi ridurre il valore degli asset”, ammonisce Wood.

Un esempio concreto: “Vi è stata una significativa riduzione dei flussi di gas russo attraverso la Slovacchia anche prima dell’attuale crisi con l’Ucraina e la domanda è: cosa succederà agli introiti del gasdotto di transito? Eustream non può aspettarsi che i consumatori domestici slovacchi paghino per un grande gasdotto di transito internazionale”.

Che a tirare fuori i soldi per eventuali infrastrutture che non si ripaghino saranno gli utenti, d’altra parte, sembra molto probabile. Lo mostra ad esempio quanto sta succedendo con il rigassificatore OLT di Livorno. L’impianto, come sappiamo, gode di un fattore di garanzia, cioè di una sorta di assicurazione, finanziata dalle bollette che copre gran parte dei mancati incassi in caso di inattività: nel 2015 (riporta il Fatto Quotidiano da dati Aeegsi) ci costerà 83 milioni di euro, mentre per il 2013 e 2014 l’onere è stato di 45 milioni. Contro questa misura di recente il M5S ha presentato un’interrogazione alla Commissione europea.

Il rapporto 2014 di Eurogas (pdf)

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