Continua il crollo del prezzo del petrolio che oggi ha segnato nuovi record negativi. In mattinata Wti e Brent sono scesi fino, rispettivamente, a 44,6 e 45,8 dollari al barile. I due benchmark per il prezzo del greggio non erano mai arrivati così in basso negli ultimi 6 anni e ora sono pari a circa il 40% dei valori registrati a giugno 2014. Giù anche le previsioni di banche e analisti: Goldman Sachs ha rivisto da 83,75 e 50,40 $/b la sua stima della media per il Brent al 2015; Deutsche Bank da 72,50 a 59,40.

Neanche i dati sulla domanda record dalla Cina, oltre 7 milioni di b/g a dicembre, hanno avuto effetto sulle quotazioni. L’ultima notizia ad effetto deprimente per i prezzi è arrivata oggi: le dichiarazioni del ministro del Petrolio degli Emirati Arabi Uniti, Suhail al-Mazrouei, che non solo ha ribadito l’intenzione di non ridurre l’output attuale, ma ha spiegato anche che il Paese, “nonostante l’instabilità delle quotazioni”, continuerà ad adoperarsi “per rispettare i target produttivi di lungo termine”.

Come ha sottolineato al-Mazrouei, l’Opec “non è più in grado di continuare a proteggere un determinato prezzo del petrolio” e che “l’eccesso di offerta è arrivato principalmente dallo shale oil e ciò doveva essere corretto”. L’organizzazione dei produttori, ricordiamo, in questa circostanza si trova divisa: mentre Iran, Venezuela e Algeria vorrebbero che si contenesse la produzione per far risalire i prezzi, al contempo Arabia Saudita, Emirati Arabi, Iraq e altri paesi del Golfo sono contrari a chiudere i rubinetti.

Tra i paesi produttori più danneggiati dai prezzi bassi ci sono Venezuela, Iran, Nigeria, Ecuador, Brasile e Russia. In difficoltà anche la produzione in molti Stati Usa, come Alaska, North Dakota, Texas, Oklahoma e Louisiana.

Secondo la società di consulenza norvegese Rystad Energy con prezzi del barile sui 70 dollari salterebbero circa la metà dei 500 miliardi di dollari di investimenti previsti per il 2015. A rischio sarebbero tutti i progetti dai costi di sviluppo superiori ai 30 $/b. I primi ad essere archiviati quelli nelle sabbie bituminose canadesi e venezuelane, seguiti dai giacimenti in mare più costosi. D’altra parte tra questi ci sono progetti che anche con un barile a 120 dollari non sarebbero convenienti.

E per le rinnovabili cosa significa un barile a prezzi stracciati? Alla domanda abbiamo risposto di recente con un report Bloomberg che parla di un effetto molto contenuto sullo sviluppo a livello mondiale. Il petrolio low-cost impatterà sui biocarburanti, ma molto poco sulle rinnovabili elettriche, come sottolinea anche l’ultimo report Deutsche Bank sul fotovoltaico.

La correlazione tra prezzo del petrolio e prezzo dell’elettricità, avevamo spiegato, in parte esiste per il mercato elettrico italiano, dove la generazione a gas ha un ruolo importante e una quota sostanziale di quello usato nel termoelettrico è indicizzato al prezzo del barile, ma non vale per altri mercati e varrà sempre meno anche da noi.