Lo Spalma-incentivi FV tra opzioni, banche e ricorsi

Entro domenica i proprietari di impianti fotovoltaici sopra i 200 kWp dovranno scegliere tra le varie opzioni di rimodulazione degli incentivi. Intanto gli operatori stanno assalendo le banche per chiedere una rinegoziazione del debito che li possa salvare dal fallimento. E oltre 1000 aziende stanno per depositare al Tar un ricorso che potrebbe annullare la norma, ma chissà tra quanto.

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Mancano tre giorni al termine entro il quale i proprietari di impianti fotovoltaici sopra i 200 kWp devono scegliere tra le varie opzioni offerte dallo Spalma-incentivi, ma ancora le regole dei tagli non sono state completate. Un fatto che rende difficile per gli operatori scegliere con cognizione di causa. Intanto gli impatti della normativa si stanno già facendo sentire, soprattutto con l’assalto alle banche da parte di aziende ‘a rischio’ che chiedono di rinegoziare il debito e che in gran parte dei casi non stanno trovando riscontri positivi dagli istituti di credito, che non sono attrezzati per la situazione di emergenza in corso.

Sullo sfondo ci sono le battaglie legali che hanno tempi verosimilmente lunghi, ma che potrebbero trasformare lo Spalma-incentivi in un boomerang rispetto alle finalità per cui era nato, costringendo il GSE a rimborsi a favore degli operatori ben superiori al risparmio ottenuto. Alle centinaia di investitori stranieri che hanno avviato la  procedura arbitrale prevista dal Trattato Internazionale della Carta dell’Energia si aggiungono, infatti, i ricorsi italiani che mirano a far riconoscere come incostituzionale la norma, come quelli promossi da Assorinnovabili e Confagricoltura e quelli che saranno depositati al Tar dalle PMI di Confapi Industria. Ne abbiamo parlato con Paolo Lugiato, vicepresidente di Assorinnovabili e con Lucia Bitto, legale dell’associazione.

“Tra Assorinnovabili e Confagricoltura – ci spiega Lugiato – ad oggi abbiamo raccolto l’adesione di oltre 1000 società. Il ricorso verrà depositato al Tar dallo studio della professoressa Randazzo e del professor Onida, ex presidente della Corte Costituzionale. Senza entrare nei dettagli della strategia legale, il ricorso al Tar Lazio punta ad arrivare alla Corte Costituzionale per vedere riconosciuta l’incostituzionalità della norma e chiedere una sospensiva”.

Quanto ai tempi e ai possibili esiti, ci risponde l’avvocato Lucia Bitto: “Il ricorso verrà depositato entro metà dicembre ed è difficile dire quanto tempo ci vorrà per arrivare ad una conclusione: presumibilmente 2-3 anni”. Se la norma verrà dichiarata incostituzionale, ci spiega la legale, decadrà dall’inizio e per tutti i soggetti, che abbiano fatto ricorso o meno e il GSE dovrà procedere a tutte le restituzioni. E se la Corte invece non riconoscesse l’incostituzionalità? “In quel caso non avremmo altre strade”, risponde l’avvocato.

Tra gli scenari possibili, peraltro, c’è anche quello in cui il ricorso italiano possa essere respinto, e quello quello internazionale, riservato agli operatori esteri che si sono rivolti all’Arbitrariato internazionale appellandosi Trattato Internazionale della Carta dell’Energia, venga invece accolto: in questo caso gli operatori esteri ricorrenti verrebbero rimborsati, ma gli italiani no.

“Siamo comunque molto ottimisti sull’esito del ricorso al Tar e alla Corte Costituzionale – sottolinea però Lugiato – il principio costituzionale leso è quello del legittimo affidamento; la norma ha anche caratteri di retroattività e arbitrarietà perché si applica in maniera discriminatoria a certi impianti e non ad altri”.

Aspettando la giustizia, intanto però gli operatori devono già fare i conti con la norma, che produrrà i suoi effetti dal primo gennaio 2015, a partire con l’obbligo di scegliere entro il 30 novembre tra le varie opzioni di rimodulazione previste. “Ad oggi – denuncia il vicepresidente dell’associazione – gli operatori non sono messi nella condizione di scegliere con la dovuta perizia tra le varie opzioni: non è stata rispettata la scadenza che prevedeva che l’opzione “b” fosse dettagliata entro il 30 settembre e il decreto è uscito con 23 giorni di ritardo. Pertanto gli operatori che devono decidere entro il 30 novembre non avranno i 60 giorni previsti dalla norma per decidere”. “Secondariamente – spiega Lugiato – ad oggi (al 27 novembre a due giorni lavorativi e due festivi dalla scadenza, ndr) manca ancora un pezzo importante:  la norma con la definizione dei criteri e le modalità di accesso ai finanziamenti bancari agevolati garantiti dalla Cassa Depositi e Prestiti, previsti dalla norma per ovviare alla mancanza di ricavi determinata dal taglio”.

Dove la norma si sta già facendo sentire poi è nei rapporti tra mondo bancario e operatori: “Se l’impianto è finanziato in leasing o in project financing, a seconda della leva finanziaria, ossia la percentuale di debito sul totale dell’asset, può trovarsi nella situazione in cui il taglio mette nell’impossibilità di ripagare la rata del debito. Chi è in questa situazione sta tentando di rinegoziare il debito con le banche per evitare il default. Gli operatori – ci spiega Lugiato – si stanno rivolgendo in maniera massiva al sistema bancario”. E le banche stanno venendo loro incontro? “Gli operatori più grandi stanno avendo ascolto, cioè hanno avviato un dialogo, con risposte varie; i più piccoli invece non hanno alcuna risposta e hanno serie difficoltà. Il sistema bancario, con l’eccezione di alcune banche, è assalito, intasato: non è attrezzato per dare delle risposte adeguate”.

Molti operatori, immaginiamo, saranno costretti a vendere gli impianti. Quali effetti si stanno avendo sul mercato secondario del fotovoltaico? “I tagli entrano in vigore dal primo gennaio – risponde l’esperto – per cui gli effetti non si sono ancora visti. Ad oggi, ci sono state poche transazioni e tutte di dimensioni ridotte: c’erano alcuni portafogli in vendita la cui transazione è stata temporaneamente bloccata, perché il valore degli asset si è ribassato o è incerto. La mia previsione è che in una situazione con asset in difficoltà il mercato diventerà un po’ più preda degli speculatori. Se in una situazione di ritorni contenuti e basso rischio l’investimento è attraente soprattutto per i fondi specializzati in infrastrutture, con orizzonti temporali lunghi, quando si alza il livello di rischio entrano in gioco gli hedge fund, gli speculatori: investitori con un appetito per il rischio più alto e un orizzonte temporale più corto.”

Anche di tutto questo si parlerà domani a Roma al workshop organizzato da Qualenergia.it dal titolo “Investire nel parco fotovoltaico italiano esistente“, cui seguirà uno Speciale Tecnico che sarà pubblicato a metà dicembre.

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