Le energie rinnovabili oltre lo Sblocca-­Italia

Quale dovrebbe essere la nuova politica energetica per l’Italia? L'obiettivo è produrre più elettricità consumando sempre meno risorse naturali e creando più lavoro. Ma governo e istituzioni energetiche sembrano muoversi in direzione opposta. Una nota sul mercato elettrico nazionale di Roberto Meregalli dell'Associazione 'Energia Felice'.

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È molto interessante il recente rapporto di Eurelectric (gli industriali dell’elettricità europea), sull’integrazione della corrente prodotta con le fonti rinnovabili (FER) nei mercati elettrici d’Europa. In sintesi le imprese dicono che visto che sempre maggiore è la quantità di elettricità da FER disponibile, è necessario che queste fonti si adattino al mercato, tradotto nei loro termini significa: “applicare alle FER gli stessi diritti e doveri delle altre fonti” e applicare “sistemi di sostegno che tendano a minimizzare le distorsioni al mercato”.

Ma è anche necessario che il mercato si adatti alle FER. Come? Siccome queste richiedono centrali termoelettriche di back-up pronte ad entrare in servizio in caso di necessità, occorre sviluppare dei “mercati della capacità”, ossia sussidi che non remunerano elettricità prodotta ma la disponibilità delle centrali a gas ad entrare in produzione quando necessario.

Fa un po’ sorridere questa posizione, perché potremmo riassumerla così: le rinnovabili non vanno più incentivate e vanno trattate come le fonti fossili, queste ultime, siccome c’è meno spazio per loro, vanno incentivate

Il problema della variabilità delle rinnovabili

È corretto scrivere che l’aumento della produzione da rinnovabili crea qualche problema a chi lavora quotidianamente per gestire il sistema elettrico ed evitare che vada in black-out; è vero pure che alcune FER caratterizzate da variabilità richiedono capacità di back-up termoelettrica, ma il problema non è così rilevante come sostenuto. Forse solo l’eolico risulta difficile da prevedere, la generazione del solare, grazie al miglioramento delle previsioni meteo (a un giorno), si può stimare con una buona approssimazione e la sua curva di produzione durante la giornata è ormai chiara, pertanto la imprevedibilità è meno reale di quanto spesso paventato.

Qualcuno di fronte ad una Commissione parlamentare è stato ancor più esplicito: “il problema di non programmabilità della produzione da rinnovabili c’è sempre meno oggi grazie ai software e alle previsioni sempre più precise, per cui l’errore medio da un giorno all’altro è in linea con gli errori di previsione della domanda elettrica”, e questo qualcuno ministratore delegato nella maggior impresa elettrica italiana. lavora come amministratore delegato nella maggio impresa italiana.

Stop ai sussidi

Eurelectric conclude la propria analisi scrivendo che occorre eliminare in tutta Europa i sussidi alle FER entro il 2020 in modo che da quella data sia il sistema di scambio di emissioni di CO2 predisposto dall’Unione Europea (ETS) a fare da “principale driver per gli investimenti nelle tecnologie mature a basse emissioni di anidride carbonica”.

Si tratta di una posizione che oltre ad essere “fossile” nel senso di propendere per queste fonti, si caratterizza come “vecchia”. L’Europa ha bisogno di una politica europea comune perché l’attuale spezzatino di norme e di infrastrutture genera sprechi. Ci sono paesi che hanno bisogno di centrali e paesi che di centrali ne hanno troppe, se esistessero linee di trasmissione si potrebbe evitare di chiuderne da una parte per costruirle da un’altra.

Oppure si pensi al tema delle forniture di gas e al fatto che si insiste perché siano costruiti nuovi rigassificatori che ci renderebbero meno dipendenti dalla Russia: in Spagna ci sono ma sono utilizzati per un quarto della loro capacità, ci fosse qualche tubo inter-europeo in più si potrebbero utilizzare per far arrivare il gas in altri paesi europei evitando di costruirne altrove.

Troppe rinnovabili?

L’Italia è uno dei paesi più avanzati in Europa e nel mondo, quando si parla di sviluppo delle FER elettriche e questo spiega perché da tempo si discuta di mercato della capacità (anzi già è stato approvato) e di riforma del mercato, poiché risulta evidente il suo fallimento. Nei giorni scorsi, sulla testata di Confindustria “L’imprenditore” è comparso un articolo scritto dal prof. Massimo Beccarello, vicedirettore delle politiche industriali di Confindustria, intitolato “Per un nuovo mercato elettrico”, che lo conferma con parole più tecniche: “se valutiamo la relazione tra investimenti effettuati e il fabbisogno di domanda, possiamo osservare una capacità installata netta che ha raggiunto oltre i 134 GW, a fronte di una domanda massima alla punta pari a poco oltre 54 GW, considerando inoltre che dal 2008 al 2013 il consumo di energia elettrica italiano è diminuito di circa l’8%. Da questi primi dati appare evidente che la regolamentazione del mercato ha prodotto delle inefficienze in quanto il mercato ha determinato una capacità di generazione eccessiva, ovvero un uso sub-ottimale del capitale investito nel settore”.

In realtà Assoelettrica (l’associazione delle imprese elettriche italiane), difende il proprio operato, cioè quello di aver messo in piedi tra il 2002 e il 2013 21.700 MW di nuovi impianti termoelettrici, principalmente impianti a gas a ciclo combinato che attualmente soffrono di sottoutilizzazione acuta, sostenendo che le stime di Terna ancora nel 2007 giustificavano tali investimenti. Quindi a sbagliare secondo loro è chi prevedeva la crescita infinita.

La tabella che segue in effetti mostra che nel 2007 la società che gestisce il dispacciamento (e il trasporto in alta tensione) dell’elettricità prevedeva (Terna, pdf) per l’anno scorso (2013) una potenza massima richiesta di oltre 65mila MW.

Quindi le centrali andavano costruite e, secondo Assoelettrica, sarebbe scorretto utilizzare come riferimento della capacità oggi disponibile il dato dei 134 GW. Questo è vero, tale valore va preso con le pinze per due motivi: vi è un buon numero di centrali termoelettriche che non sono realmente in assetto di marcia, si pensi alle centrali ad olio combustibile di Enel; secondariamente la potenza degli impianti eolici, solari e anche idroelettrici non va considerata alla stregua degli altri impianti poiché non possono garantire funzionamenti per numeri analoghi di ore durante il giorno. Tolti gli impianti termoelettrici fermi, Terna scrive che la potenza realmente disponibile in Italia è oggi di 78.700 MW, molto meno dei 134 GW teorici ma comunque un abbondante 45% in più del picco dei consumi, quindi la sostanza del problema rimane.

Tant’è che sul blog di Assoelettrica qualcuno ha commentato che: “le previsioni sulla base delle quali un imprenditore prende le sue decisioni di investimento costituiscono l’elemento di rischio alla base del suo mestiere; a previsioni sbagliate devono seguire comportamenti coerenti alla evoluzione della realtà e non più alle previsioni errate. Osservare che impianti termoelettrici siano stati connessi alla rete elettrica ancora nel 2012, dopo quattro anni di ripetute stime al ribasso della domanda, fa dubitare della reale comprensione dei meccanismi basilari del mercato (non solo elettrico) e della reale comprensione del ruolo dell’imprenditore da parte di troppi soggetti” (commento a firma di Francesco Starace, Amministratore delegato di Enel).

Aggiungiamo che nessun imprenditore elettrico dovrebbe essere un “imprenditore elettrico fossile” per definizione, ossia a nessuna impresa elettrica è stato vietato di produrre impianti FER, quindi gli imprenditori avevano la possibilità di diversificare adeguandosi all’evoluzione in atto.

Contenere i costi

La battaglia di questi anni di Assoelettrica, condivisa dall’Autorità per l’energia elettrica e dai governi recenti, in nome del contenimento dei costi ha non solo colpito in maniera retroattiva gli incentivi ma, ed è questo il vero problema, messo in atto norme regolatorie disincentivanti rispetto alle fonti rinnovabili: sono almeno due anni che si agisce per bloccarne lo sviluppo (con successo, visti i dati dell’installato: l’Italia era il primo mercato FV nel 2011 ora è quindicesimo).

Sono tante, l’ultima solo per fare un esempio, la prescrizione degli adeguamenti agli impianti fotovoltaici ed eolici sopra i 100 kW connessi alla rete in media tensione per permettere alle società di distribuzione di tele distaccare le centrali in caso di necessità per assicurare la sicurezza del sistema (delibera Aeegsi 421/2014 del 7 agosto).

Non si vuole mettere in dubbio le esigenze di sicurezza, però alcuni interventi giustificati in questo modo appaiono nel concreto meno vitali di quanto sostenuto. Alle FER si continua a chiedere di risolvere i problemi della rete, ma sinora alla rete non si è chiesto forse abbastanza per adattarsi ai nuovi tempi. Ad esempio sul tema degli accumuli si è litigato in passato fra produttori e Terna, non è errato pensare che sviluppo dei sistemi di accumulo potrebbe risolvere senza particolari patemi per la sicurezza nazionale, considerando che anche i bacini idroelettrici e le centrali di pompaggio dovrebbero essere impiegati per questo scopo. In Germania l’accumulo casalingo è stato incentivato con effetti positivi che hanno fatto scendere i prezzi a un buon ritmo, nel 2013 sono stati installati seimila sistemi, nel 2018 le stime di HSBC (pdf) parlano di centomila installazioni.

Alla critica che le FER hanno creato maggiori costi alla rete, l’amministratore delegato di Enel ha risposto affermando che “il vero problema è che i codici di rete per le rinnovabili non prevedono servizi per l’adeguamento al carico della rete, semplicemente perché nessuno li ha mai chiesti. I servizi di rete per il dispacciamento oggi sono appannaggio degli impianti termoelettrici. Noi vogliamo che possano farli tutti, così si riducono i problemi”. Il mondo imprenditoriale e politico italiano non è abituato ad affermazioni di questo tipo, certamente il segnale di discontinuità rispetto alla precedente gestione di Fulvio Conti è evidente. Sulla stessa linea un intervento di Giulio Volpi, della Direzione Energia della Commissione Europea, ad un convegno organizzato da Terna il 15 ottobre: “Nostri studi mostrano che se le rinnovabili partecipano attivamente (al mercato dei servizi di dispacciamento, ndr) si può arrivare a una penetrazione del 68% risparmiando sui costi di rete”. Perché i nostri regolatori fanno orecchie da mercante?

Orientati al passato

Confindustria rimane ostinatamente orientata al passato. Dopo aver sostenuto la fine degli incentivi ora tuona contro le aziende che hanno deciso, dopo averlo esplicitato ancor prima dell’approvazione delle misure, di ricorrere alle vie legali, sostenendo che “Il mercato elettrico non può essere ostaggio dei ricorsi” (Quotidiano Energia, 15/10/2014), questo il commento del presidente del Tavolo della Domanda di Confindustria, Agostino Conte. “Non possiamo ipotizzare che l’Italia sia un Paese non riformabile”, ha aggiunto ripetendo la nenia per cui gli elevati costi a carico delle imprese sarebbero ascrivibili al fotovoltaico. “Certo la crisi industriale mondiale, ma soprattutto europea, ha esacerbato le criticità, ma il peso delle rendite regalate in nome della economia green sono parte importante nella crisi industriale italiana. In questa situazione appare intollerabile la posizione delle associazioni delle cosiddette aziende green, che la scorsa settimana hanno concordato di attaccare il decreto del Governo in tutte le sedi possibili, addirittura in sede comunitaria. Per le aziende energivore sarebbe davvero una beffa, drammaticamente intollerabile: alla fine sarebbero le uniche a contribuire per il decreto taglia-bollette”.

Taglia-bollette che ha sancito il taglio retroattivo degli incentivi al solare (il relativo decreto è stato firmato dalla ministra Guidi il 20 ottobre) e stabilito che anche l’autoconsumo di elettricità prodotta col fotovoltaico pagherà una (piccola per ora), parte degli oneri di rete, anche se la rete non la utilizza.

Nel frattempo il prezzo dell’elettricità è aumentato (dal 1 ottobre) e non per colpa delle rinnovabili, come ha scritto l’Autorità. Il fattore principale che ha determinato l’aumento del prezzo dell’energia è l’aumento del prezzo del gas naturale dovuto principalmente alle tensioni in Ucraina. Nel dettaglio un’altra causa dell’aumento è il nucleare, anche se il nucleare non centra nulla perché l’aumento di 200 milioni del relativo onere (A2) è dovuto al decreto del 29 agosto scorso con cui il Ministero dell’Economia ha richiesto il pagamento dei 100 milioni per il 2012 e il 2013 e gli anni successivi. Si tratta dell’attuazione di quanto previsto dall’articolo 1, comma 298, della legge finanziaria 2005 e dell’articolo 1, comma 493, della legge finanziaria 2006 con cui Tremonti e Saccomanni trovarono nel “bancomat” delle bollette il modo di recuperare qualcosa per il bilancio sempre in crisi dello stato (una vera e propria tassa occulta che nulla ha a che fare con l’energia elettrica).

Come si fa a parlare di riduzione delle bollette se prima non si tolgono dalle bollette costi che non centrano nulla con l’elettricità?

Fine della rivoluzione

Con l’approvazione del cosiddetto spalma-incentivi si è in effetti chiusa una guerra contro le rinnovabili, la cui avanzata è stata bloccata. I dati sulle installazioni negli anni 2013 e 2014 sono a disposizione di tutti. Il solare fotovoltaico nel 2013 è calato a 1,7 GW per le code residue del conto energia, per questo 2014 la previsione è di meno di metà di questa cifra. Per l’eolico il sistema delle aste ha colpito prima e se nel 2012 c’è stato un installato record di 1.239 MW, nel 2013 sono crollate a 444 MW e nella prima metà nel 2014 siamo a soli 30 MW. Le curve dei grafici che seguono valgono meglio di tante parole.

I risultati delle aste dell’eolico sono stati fallimentari perché le regole hanno permesso la partecipazione a un sacco di società parassite, lasciando fuori le imprese che davvero volevano costruire impianti. Risultato: gran parte dei vincitori non hanno messo in piedi nulla perché per vincere hanno abbassato i prezzo sotto i valori reali, così dei vincitori delle aste del 2012 il 46% dei progetti è rimasto sulla carta, di quelli del 2013 addirittura il 75%. Entro la fine di questo 2014 è prevista una revisione del meccanismo, chissà se si vorrà farlo in termini propositivi.

Autorità ostile

Anche perché a guidare la crociata è nientemeno che Guido Bortoni, presidente dell’Autorità per l’energia che risulta il massimo conservatore in tema di energia. Nei suoi discorsi appare più ostile alle rinnovabili persino dei rappresentanti di Eurelectric! Bortoni si considera in missione per conto dei consumatori e oggi le rinnovabili sono il maggior nemico perché hanno rivoluzionato un sistema stabile. In un convegno a Roma il 15 ottobre, ha chiarito per l’ennesima volta la sua posizione: le rinnovabili hanno creato difficoltà a bilanciare il sistema elettrico e questo onere devono pagarlo. Chissà se quando le auto misero in crisi le carrozze, qualcuno ragionò allo stesso modo. Sull’integrazione delle rinnovabili nel mercato elettrico, l’Autorità ha da dire solo che devono pagare.

Sole = prezzi giù

La rivoluzione delle FER appena terminata ha comunque cambiato per sempre le cose. Per prima cosa la quantità di energia elettrica prodotta con le FER è rilevante. Nel 2008 incideva per il 18% sul totale della produzione lorda nazionale (senza considerare quindi l’import) ed era essenzialmente di natura idroelettrica, nel 2013 questa percentuale è salita oltre il 38%.

La produzione eolica ha raggiunto i 14,9 miliardi di kWh (+11,1%), la produzione fotovoltaica ha raggiunto i 21,6 miliardi di kWh (+14,5%), quella da bioenergie ha raggiunto i 17,1 miliardi di kWh (+36,9%). Aggiungendo il geotermico e l’idroelettrico (produzione record nel 2013) si ottiene la cifra di 112 miliardi di kWh, rispetto ai 175,9 di carbone, gas e olio combustibile.

Nei primi nove mesi del 2014 il termoelettrico è calato ulteriormente di quasi il 10% come mostra la tabella di Terna che segue, mentre tutte le rinnovabili hanno aumentato la quantità di elettricità prodotta.

L’impatto sul termoelettrico è stato enorme, soprattutto sulle centrali a gas (intendiamo i cicli combinati) che se nel 2006 lavoravano per 5.100 ore l’anno, nel 2013 hanno lavorato mediamente 2.100 ore, il 60% in meno (dati presentati da Terna il 15 ottobre 2014).

L’effetto del solare è rilevante rispetto al suo valore assoluto che non è certo grande (21,6 su 330 TWh) perché produce nelle ore di maggior consumo. Nel sud d’Italia e nelle isole è accaduto che in questi orari la produzione delle rinnovabili ha talvolta superato la domanda totale. Per questo il solare ha influito sul prezzo all’ingrosso dell’elettricità. Le analisi statistiche dell’Autorità indicano che confrontando i prezzi nel periodo precedente alla rivoluzione delle FER e l’anno 2013 si evince che “nelle ore fuori picco mattutino e nelle ore serali, in cui la produzione fotovoltaica è assente o estremamente ridotta, i prezzi dell’energia elettrica nel 2013 sono superiori ai prezzi del 2009 rispettivamente del 26% e dell’11%; nelle ore centrali della giornata (10-18), al contrario, grazie all’apporto significativo della produzione fotovoltaica, i prezzi medi del 2013 risultano inferiori del 23% rispetto al 2009” (Rapporto annuale dell’Autorità in materia di monitoraggio dei mercati elettrici a pronti, a termine e dei servizi di dispacciamento, 7/8/2014).

Il prezzo medio (PUN) della Borsa elettrica italiana nel 2013 è sceso del 16% rispetto all’anno precedente e la media dei primi 9 mesi del 2014 è scesa di un ulteriore 20% anche se il futuro dipenderà dal gas poiché nel mese di settembre il prezzo dell’elettricità all’ingrosso è salito del 10% rispetto a settembre per l’aumento del metano.

Cosa serve oggi al mercato

Le regole del mercato elettrico vanno cambiate con l’obiettivo di produrre sempre più elettricità consumando sempre meno risorse naturali, emettendo sempre meno anidride carbonica e altri inquinanti. Questo deve essere l’obiettivo della politica energetica e non una sterile guerra fra rinnovabili e fossili da cui tutti hanno solo da perdere.

Che collima con quello di essere meno dipendenti dall’estero, proteggere il clima e creare lavoro. E’ un discorso non solo italiano ed è paradossale che in una situazione di insicurezza energetica l’Unione non decida di sfruttare al massimo le proprie risorse rinnovabili in un orizzonte che unisca lavoro, ambiente, clima e politica estera.

Alcune cose si possono fare in fretta, ad esempio ridurre l’anticipo per cui le imprese devono comunicare le stime di produzione, questo ridurrebbe gli sbilanciamenti, siamo i soli in Europa a chiedere una giornata di anticipo, in Inghilterra siamo a una sola ora! A questa conclusione è giunto di recente anche lo studio REserviceS.

Secondo, far partecipare le FER ai mercati dei servizi ancillari (necessari a garantire la sicurezza dell’intero sistema elettrico, ndr), come chiedono i produttori stessi; terzo, creare un mercato a lungo termine, come accade oltreoceano, poiché solo la possibilità di stabilire contratti di fornitura di energia elettrica di lunga durata (decennali o ventennali), può facilitare la costruzione di impianti FER e stabilizzare i prezzi. Fuori dall’Europa è così che accade, una società costruisce una centrale eolica dopo che ha trovato qualcuno che comprerà l’elettricità prodotta per vent’anni.

Tutte queste regole però vanno definite in modo che valgano a livello europeo. Per allinearsi all’Europa il nostro paese ha bisogno anche di modificare le proprie regole tariffarie che si discostano dal resto del continente per essere quelle che favoriscono il risparmio dei consumi. Questo in linea di principio va sempre bene però se oggi è possibile anziché consumare gas, consumare elettricità prodotta in casa con le FER conviene questa seconda soluzione e pertanto conviene un allentamento alla progressività dei costi, detto in parole forse più comprensibili se una persona oggi vorrebbe togliere il contatore del gas per passare a una piastra a induzione per cucinare e a una pompa di calore per scaldarsi spende una iperbole di elettricità perché le tariffe oltre un certo consumo si impennano. L’Autorità sta timidamente sperimentando una nuova tariffa per chi usa solo pompe di calore per scaldarsi ma occorre più coraggio e rapidità.

L’Italia ha fatto molto per ridurre i propri consumi di fossili nella generazione di elettricità. Se la prima rivoluzione delle rinnovabili è terminata non è di restaurazione che abbiamo bisogno, ma di avviare una seconda fase facendo tesoro dell’esperienza maturata.

L’articolo è stato pubblicato su www.martinbuber.eu

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