Verso lo smart building: l’evoluzione dell’edilizia

L'evoluzione della progettazione edilizia fino all'attuale esigenza di utilizzare una gestione informatica integrata dell’edificio. Oggi la difficoltà sta nel diffondere la cultura della progettazione integrata e non subire la mera installazione di un gadget tecnologico per quanto “intelligente”. Un articolo di Mario Butera pubblicato sulla rivista bimestrale QualEnergia.

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La maggior parte dei manuali recentemente pubblicati in diverse parti del mondo, che dovrebbero fornire le “regole” per una progettazione energeticamente corretta, altro non sono che una riedizione – adeguata ai tempi – di una parte di un manuale scritto duemila anni fa da un architetto romano, Marco Vitruvio Pollione. L’architettura sostenibile, sempre più diffusa, si basa sulla riscoperta di criteri progettuali che Vitruvio, non definendoli ovviamente sostenibili, affermava già allora. Per esempio ciò che Vitruvio chiama “temperamento dei luoghi” e “aspetti del cielo” corrisponde a ciò che noi oggi potremo definire caratteristiche climatiche di un’area e genius loci ossia rispetto dei caratteri e delle risorse locali. L’ambiente confinato, concepito inizialmente solo come riparo e/o difesa, si evolve, nei millenni, guadagnando funzioni sempre più complesse e sofisticate.

Se consideriamo come punto di partenza una lettura “biologica” dell’edificio, implicitamente assumiamo che lo sviluppo tecnologico della specie umana possa essere visto come una forma di evoluzionismo exosomatico. Invece di “aspettare” la mutazione che facesse crescere la pelliccia, la specie umana ha conquistato nuovi territori, più freddi, proteggendosi con pelli di altri animali, con il fuoco e costruendosi un rifugio. Pelli animali, fuoco e rifugio sono pure “protesi” tecnologiche che rendono l’uomo più adatto all’ambiente in cui vive. L’evoluzione exosomatica è molto più rapida e ha portato la specie uomo a essere più forte di qualsiasi altro animale grazie alle macchine, più veloce grazie agli aerei, di udito più fine e di vista più acuta grazie a sistemi di riproduzione audio-visivi di ogni genere, di memoria più estesa grazie ai computer, ecc. Procedendo in questo modello interpretativo, la casa può essere vista come una seconda pelle che garantisce alcune condizioni ambientali richieste dalla prima pelle.

Questa seconda pelle si evolve assumendo caratteristiche diverse in relazione all’ambiente fisico in cui l’uomo vive, esattamente come si evolvono per adattamento le specie biologiche. Questa evoluzione, che va dalla caverna alla cabina di un modulo orbitante, può essere analizzata da numerosi punti di vista; fra questi ce n’è uno piuttosto insolito, ma utile ed efficace. Si tratta di quello che vede l’ambiente confinato come un sistema aperto. Un sistema, cioè, i cui confini sono attraversati da materia, energia e informazione.

Possiamo allora distinguere due fasi abbastanza ben delineate, successive a quella primordiale di rifugio. Nella prima la costruzione ha la funzione di filtro delle condizioni esterne non desiderate. È la fase chiamata dell’architettura spontanea. Il riparo che l’uomo si costruisce filtra le condizioni climatiche esterne, cioè lascia passare quello che serve e intercetta quello che non serve, in relazione alla domanda di benessere ambientale, al livello tecnologico e ai materiali disponibili. Il tipo di conoscenza utilizzata è relativa al comportamento dei materiali soggetti a sollecitazioni esterne, quali luce, temperatura, vento, umidità, ecc. Tale conoscenza è utilizzata per ottenere le prestazioni volute attraverso un intelligente impiego della forma, degli spessori, della esposizione, e così via. Per lunghi secoli questo è il principale tipo di intelligenza che viene posto nella realizzazione degli ambienti confinati, e mediante questa intelligenza i flussi di energia, materia e informazione che attraversavano l’involucro venivano modulati per renderli più adatti alle esigenze di chi in questo involucro viveva.

Poi vengono le macchine. Il controllo dei flussi di materia/energia/informazione viene effettuato con un uso sempre più massiccio di “protesi” dell’involucro. Così la fine del XIX secolo vede affermarsi una nuova visione dell’ambiente confinato, che viene costruito con materiali nuovi e si arricchisce di servizi e di macchine. Fanno il loro ingresso pompe per il sollevamento dell’acqua, motori elettrici per gli ascensori, caldaie per il riscaldamento, frigoriferi e ventole per il raffrescamento.

L’ambiente costruito dell’ultima parte del secolo scorso, e il modo di viverlo e abitarlo, è, per molti aspetti, poco confrontabile con quella di soli cento anni fa. Basti pensare alla presenza degli elettrodomestici che, se da una parte costituiscono sorgenti interne di calore, dall’altra riducono l’attività fisica casalinga, provocando come conseguenza la necessità di temperature più alte o più basse – in funzione delle stagioni – affinché si realizzino le condizioni di benessere termico.

Un’altra sostanziale differenza sta nel fatto che l’edilizia non residenziale aveva un ruolo del tutto marginale nelle società del passato o – nel presente – nelle società rurali. L’edilizia non residenziale cresce al crescere della terziarizzazione del nostro sistema sociale, e assorbe sempre più risorse, a parte il fatto che ormai ciascuno di noi spende almeno un terzo della sua giornata in un edificio diverso dalla “casa”.

In origine l’ufficio, l’ospedale, il magazzino, il negozio, venivano costruiti con criteri non molto diversi – per quanto riguarda le tecnologie utilizzate – da quelli impiegati per costruire le abitazioni. Oggi ciò non è più possibile: la specializzazione di ogni singolo edificio lo ha sempre più allontanato dal suo archetipo originario, del quale non è più parente. L’edificio è una somma di sistemi, ciascuno dei quali diventa sempre più sofisticato, ma chiuso in se stesso. L’intelligenza – se c’è – è tutta nei sottosistemi tecnologici, e non pervade il sistema nel suo complesso. Questa mancanza di integrazione si riflette in tutta la sua evidenza nello spazio-ufficio, al servizio del quale tutti i marchingegni sono stati pensati, costruiti e installati.

Lo Smart Building, ultimo stadio di questa storia evolutiva, nasce dalla necessità di gestire e controllare enormi strutture edilizie piene di tecnologia (basti pensare alla complessità di un grattacielo a uso terziario) e dalla possibilità di creare una sovrastruttura informatica per controllare il sistema edificio-impianti tecnologici.

Riprendendo la metafora biologica, la teoria generale dei sistemi e la cibernetica mostrano che i sistemi capaci di mantenere condizioni interne costanti, o poco variabili, quando immersi in un ambiente variabile, richiedono di essere attraversati da un flusso continuo di energia e di materia. Inoltre, se questi sono sottosistemi di un sistema più grande, essi trasformano materia, energia e informazione (input) in un output utilizzabile da un altro sottosistema. Questo output può essere ancora energia, materia o/e informazione.

La prima analogia fra gli edifici (intendendo qui il sistema edificio, che include quindi anche gli uomini e la loro organizzazione) e i sistemi biologici si riscontra nella comune necessità di alimentarsi di energia, materia e informazione allo scopo non solo di mantenere o migliorare la propria organizzazione interna, ma anche per migliorare l’integrazione nell’ambiente (mercato/ecosistema), attraverso l’occupazione di una nicchia sempre più grande.

La seconda analogia si può trovare nella comune capacità di mantenere l’ordine interno pur sollecitati da un ambiente variabile. Un sistema che presenta questa capacità viene chiamato omeostatico. Affinché si abbia l’omeostasi attraverso retroazioni negative il sistema deve essere dotato di sensori, stati o valori di riferimento, algoritmi decisionali e meccanismi capaci di apportare cambiamenti, detti effettori o attuatori. I sensori forniscono informazioni sullo stato del sistema e dell’ambiente; queste informazioni vengono confrontate con lo stato di riferimento. Se lo stato interno del sistema si allontana dallo stato di riferimento, gli algoritmi decisionali attivano gli attuatori, che operano nella direzione di riportare il sistema allo stato di riferimento. Nei casi più semplici gli stati di riferimento sono costanti, più spesso e in generale sono invece funzione dell’ambiente e della storia del sistema.

Una terza analogia si può identificare nell’involucro che, sia negli individui biologici sia negli edifici, ha la funzione di membrana semi-permeabile, che circoscrive selettivamente il sistema nell’ambiente in cui è immerso.

Una quarta si può trovare nella capacità di apprendimento, cioè la capacità di modificare il proprio comportamento a seguito dell’accumulo dell’esperienza/informazione.

È ovvio che un sistema con questa articolazione e complessità non può fare a meno di un’intelligenza che governi i processi, in uno smart building queste funzioni sono gestite da software programmati per garantire la gestione e il controllo.

Informatica e Smart Building

I sistemi di monitoraggio e controllo – nei più grandi ed evoluti edifici per ufficio – già da qualche anno sono protagonisti della gestione degli impianti. In quest’area, il software gestionale svolge diverse funzioni:

  • riceve informazioni dai componenti degli impianti
  • converte le informazioni in forma adatta al successivo uso
  • confronta continuamente le informazioni ricevute con valori di riferimento
  • genera segnali di controllo in risposta a programmi predefiniti
  • verifica che i segnali siano stati trasformati in azione dai componenti a cui erano diretti
  • genera segnali per l’interfaccia uomo-macchina
  • riceve comandi e informazioni dall’interfaccia
  • accumula informazioni attraverso algoritmi di interpretazione dei dati invia comandi al sistema.

L’articolazione di tutte queste funzioni permette così un controllo centralizzato e integrato sulle condizioni ambientali (comfort termoigrometrico, luminoso, ambientale); sui sistemi di sicurezza e protezione; sui sistemi di comunicazione, informazione e trasporto, sui sistemi anti-incendio, sulle operazioni di manutenzione programmata e sull’individuazione di manutenzioni straordinarie e sulla gestione dei costi delle singole aree funzionali dell’edificio.

La progettazione

Sia i progettisti sia i committenti spesso non sono in grado di conoscere e/o riconoscere tutte le esigenze degli occupanti e tutte le funzioni da controllare in un edificio. Tale tipo di informazione è solitamente di costoso e difficile reperimento; diventa un importante sotto-prodotto quasi automatico di un edificio informatizzato. Grazie all’informatizzazione è infatti possibile seguire nel dettaglio l’evolversi delle esigenze e le soluzioni adottate relativamente alla modifica dei sottosistemi. I sistemi tecnologici e il sistema organizzativo dovrebbero essere integrati in modo da creare un ambiente adatto alla realizzazione del “comfort” fisiologico e psicologico.

Uno smart building è un sistema formato dall’integrazione di tre sottosistemi-base: l’ambiente (interno ed esterno); l’organizzazione delle funzioni e i sistemi tecnologici. La sua progettazione, quindi, vede coinvolte discipline quali: ergonomia, psicologia, fisiologia, sociologia, fisica, informatica, elettrotecnica; oltre a quelle “tradizionali” (architettura, ingegneria ed economia).

L’edificio informatizzato, quindi, integrato in quello che è stato chiamato Smart Building, sembra proprio non abbia difetti, ma come per qualsiasi innovazione, anche in questo caso vale la regola secondo la quale la diffusione è favorita dalla possibilità di introdurre il nuovo a piccole dosi, in modo da non sconvolgere improvvisamente il consolidato sistema precedente.

Nelle nuove costruzioni, soprattutto nei grandi edifici del terziario e in tutta l’architettura high-tech, la gestione informatica integrata dell’edificio è una esigenza riconosciuta, la difficoltà sta nel diffondere la cultura della progettazione integrata e non subire l’installazione di un gadget tecnologico per quanto “intelligente”. Questo, forse, è l’ostacolo più consistente che si presenta alla trasformazione dell’edificio da meccanico a organico, e che fa presupporre che l’intelligenza degli edifici (soprattutto nell’enorme patrimonio edilizio già esistente), si diffonderà prima in quelli in cui i sottosistemi sono già evoluti e quindi nelle nuove costruzioni.

Del resto anche il processo evolutivo biologico è prima passato attraverso la formazione di un sistema nervoso rudimentale che sovrintendeva a riflessi condizionati “di settore”. Il cervello è nato per ultimo, con lo scopo di integrare il tutto, e facendo fare un salto di qualità a ciascun sottosistema controllato, per il solo fatto che ha cominciato a operare all’interno di un sistema più complesso ed efficiente. Basti pensare alle evoluzioni che l’impianto elettrico di qualsiasi edificio deve subire per adattarsi a un sistema informatizzato per rendersi conto della complessità dell’evoluzione.

L’articolo di Mario Butera, responsabile tecnico Exalto, è stato pubblicato sul n.4/2014 della rivista bimestrale QualEnergia, con il titolo “L’edilizia che si evolve”

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