Visioni del futuro per uscire dalla crisi italiana

Solare, accumulo, auto elettrica, illuminazione a led, edifici a 'quasi zero' energia. Con il miglioramento delle prestazioni di com­parti esistenti e la scelta di filiere tecnologiche innovative il nostro Paese potrebbe tornare a creare sviluppo ed occupazione. Un articolo di Gianni Silvestrini, pubblicato nell'ultimo numero della rivista QualEnergia.

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Come uscire dalla crisi strutturale che ha colpito l’Italia? Una domanda che si pongono tutti. Le risposte sono diversificate e riguardano gli ostacoli legati alla fiscalità, alla burocrazia, alle carenze delle infrastrutture, alle lentezze della giustizia, ecc. Tutti aspetti certamente importanti. Ma altrettanto, se non più importante, è la necessità di ritrovare una visione del futuro, individuando priorità e strumenti su cui concentrare le energie. In questo senso, l’analisi del comparto energetico-ambientale può dare un valido contributo, segnalando opzioni in grado di generare occupazione e innescare positivi processi economici.

Individuiamo quattro macro-aree: miglioramento delle prestazioni di com­parti esistenti, scelta di filiere tecnologiche innovative e vincenti, avvio di politiche keynesiane e spazio per economie informali. Iniziamo a esaminare le prime due, rimandando il completamento dell’analisi a un prossimo editoriale. La prima area da considerare con interesse riguarda i segmenti a più alta entropia che presentano i maggiori margini di risparmio. Anche perché una parte delle risorse economiche necessarie possono essere ricavate proprio dai miglioramenti introdotti. L’inefficienza del nostro patrimonio edilizio e l’irrazionalità della mobilità urbana sono due tipici settori che presentano queste caratteristiche e sui quali è possibile agire in maniera particolarmente efficace.

Finanziamenti innovativi per accedere al nostro “shale gas”

L’Italia ha un giacimento nascosto da utilizzare. Non parliamo dei combustibili non convenzionali che qualche Paese europeo sta cercando di estrarre, ma della riqualificazione dell’enorme patrimonio edilizio, per tre quarti costruito prima che fossero introdotte norme sul risparmio energetico. Nel nostro Paese un’azione incisiva e prolungata nel tempo consentirebbe di ridurre del 15% le importazioni di metano, contribuendo anche alla sicurezza energetica. Nell’edilizia i risparmi energetici possono attivare un circuito virtuoso in grado di rendere disponibili gli investimenti necessari agli interventi di riqualificazione. E l’esame dei successi e delle difficoltà registrate da programmi come lo statunitense ‘Pace’ e l’inglese ‘Green Deal’ può consentire di studiare le proposte più efficaci per fornire in anticipo i capitali.

Non si tratta certo di un meccanismo automatico. Per ottenere risultati concreti occorre un ruolo forte del Governo come garante e facilitatore del coinvolgimento di risorse private. In Danimarca è stato appena approvato un fondo per l’efficienza, pubblico-privato, che renderà disponibile 1 miliardo $. Da noi un piccolo spazio si è aperto con la creazione del Fondo nazionale per l’efficienza energetica, previsto dall’art. 15 del Decreto Legislativo 102/2014 che ha recepito la Direttiva Efficienza. Adesso si tratta di individuare adeguate proposte di ingegneria finanziaria, e vanno ridefiniti gli obiettivi da raggiungere. Oltre al proseguimento delle detrazioni fiscali, che hanno dato ottimi risultati, si deve puntare agli interventi che coinvolgano interi condomini. Per questo passaggio occorrono nuovi potenti attori, in Italia non ancora messi alla prova.

Un primo apporto potrebbe venire dal ruolo attivo delle utility, in particolare nei confronti delle abitazioni delle fasce più deboli della popolazione e per gli interventi di riqualificazione più costosi, sul modello di quanto già avvenuto in Gran Bretagna dove le società di distribuzione energetiche sono state obbligate a effettuare investimenti annui dell’ordine di 1,3 miliardi di sterline. Da noi si tratterebbe di ridisegnare le modalità di raggiungimento di una parte degli obblighi dei titoli di efficienza energetica. Altri soggetti stanno facendo la loro comparsa: parliamo di importanti fondi di investimento europei disponibili a indirizzare centinaia di milioni di euro in interventi di efficienza, in particolare per riqualificazioni del settore terziario e per complessi edilizi di grande scala. E poi ci sono le risorse europee della programmazione 2014-2020.

Reinventare la mobilità

La congestione del traffico automobilistico comporta perdita di tempo, stress, inquinamento, aumento dei consumi. Secondo l’Aci, il tempo perso nelle città italiane a causa del traffico costa agli automobilisti oltre 40 miliardi di euro all’anno. A questa cifra vanno aggiunti 10 miliardi per l’inquinamento. Dunque è chiaro il vantaggio collettivo e dei singoli nel ridurre queste inefficienze.

Due ragioni contribuiscono a spiegare il ritardo dell’Italia su questo fronte: il ruolo nelle politiche dei trasporti giocato dalla Fiat nei decenni scorsi e il fatto che le entrate dello Stato aumentano con l’impiego delle auto (fiscalità dei carburanti e tasse automobilistiche) e diminuiscono con la diffusione del trasporto pubblico (ripianamento del debito delle aziende del trasporto locale). Ma la situazione sta cambiando anche in questo settore. L’irruzione del car sharing e di altre forme di mobilità flessibile, come Uber, ha introdotto nel mercato della mobilità urbana nuovi protagonisti in grado di ridurre il numero delle auto e la congestione. E questo con guadagni sia dei privati che del settore pubblico.

Il car sharing, partito nel 2000 in Italia grazie a un’iniziativa del Ministero dell’Ambiente, è letteralmente esploso nel 2013 (+400% di utenti) grazie a investimenti privati e oggi raccoglie 250.000 iscritti. Anche soluzioni come Uber  (servizio di trasporto automobilistico privato gestito attraverso un’applicazione software mobile che mette in collegamento diretto tra passeggeri e autisti) si svilupperanno obbligando il monopolio dei taxisti a evolvere rapidamente per non scomparire. La mobilità ciclistica che in diverse città europee riesce a soddisfare un quarto degli spostamenti urbani (a Copenhagen, il 36% dei cittadini usa quotidianamente la bici per andare a scuola o al lavoro), potrebbe svilupparsi rispetto ai bassi livelli italiani in presenza di una seria politica dei Sindaci e dei Governi con costi limitati. Il futuro delle città sarà sempre più smart, consentendo ai cittadini di scegliere, grazie al cellulare, la soluzione più convincente tra mezzi pubblici, taxi collettivi, car e bike sharing, ecc.

Puntare sui settori vincenti

Negli ultimi mesi una serie di rapporti, dall’Unione delle Banche Svizzere alla Deutsche Bank, fino alle più importanti società mondiali di consulenza come Citigroup, Ernst&Young, PWC, McKinsey e Frost&Sullivan, hanno sottolineato le rivoluzioni che si profilano sui fronti dell’energia e della mobilità. Fotovoltaico, accumulo, auto elettrica, car sharing, Led, stampa3D, biomateriali sono alcune delle opzioni che vedranno una crescita esponenziale nei prossimi 10-20 anni. Se questi sono gli scenari sembrerebbe opportuna una riarticolazione delle strategie per capire come il nostro Paese intenda cogliere le nuove opportunità che si stanno aprendo.

Secondo lo studio “Will solar, batteries and electric cars reshape the electricity system?” della UBS, questa tripletta tecnologica potrebbe essere conveniente in Italia, anche senza incentivi, fra soli tre anni. Forse si tratta di una valutazione ottimistica, ma la tendenza sembra inarrestabile ed è destinata a modificare profondamente il mondo della produzione elettrica e a incidere anche nel comparto della mobilità. Certamente il fotovoltaico, l’accumulo e l’auto elettrica vedranno una rapida crescita in tutto il mondo. Che ruolo vuole giocare l’Italia nello sviluppo di queste tecnologie, anche in considerazione del ruolo importante che potranno svolgere nella trasformazione della rete in smart grid? Al momento la situazione è sconfortante. Con difficoltà resiste qualche coraggiosa impresa nei settori del solare e della mobilità elettrica e abbiamo validi presidi sul versante delle batterie. Ma non si intravede un ruolo di coordinamento e di stimolo, non esistono obiettivi e strategie di respiro. Dobbiamo considerarci fuori dai giochi? Per affrontare sfide di queste dimensioni occorre ragionare in chiave internazionale, se possibile valorizzando la a dimensione europea.

Consideriamo quindi tutte le possibili sinergie e alleanze. La produzione di moduli fotovoltaici è in questo momento monopolizzata dall’Asia (87% nel 2013). Parliamo di una tecnologia strategica, che diventerà centrale nei prossimi 10-20 anni nella generazione elettrica mondiale. Secondo le valutazioni dell’Agenzia Irena, il fotovoltaico nel 2030 potrà raggiungere una potenza di 1.250 GW, nove volte di più di quanto è stato installato cumulativamente alla fine del 2013. Di fronte a questa prospettiva gli USA hanno deciso di rilanciare, progettando mega-fabbriche di capacità dell’ordine di 1.000 MW/a. Francia e Germania stanno valutando la possibilità di riproporre l’esperienza dell’Airbus con un grande progetto innovativo nel settore del solare. E l’Italia? Perché non approfittare dell’attuale presidenza europea per verificare la possibilità di uno sforzo industriale continentale sul fotovoltaico coinvolgendo anche la rice ca e le imprese italiane?

Passando alle auto elettriche, stanno emergendo prodotti di alta qualità e a prezzi rapidamente decrescenti. Le vendite in Europa raddoppiano ogni anno e sono arrivate a quota 50.000 nel 2013. Sulla spinta degli obiettivi “climatici” è stato stimato che nel 2025 saranno 1,9 milioni le auto elettriche vendute in Europa e 5,1 milioni nel mondo. La corsa è partita. E noi? La Fiat, si sa, non ha mai voluto impegnarsi in questo settore. Ma esistono alternative. Abbiamo lo stabilimento di Termini Imerese chiuso da anni. Perché non proporre il suo utilizzo all’americana Tesla che, puntando sulla mobilità elettrica, ha raggiunto in pochi anni un valore di mercato di 33 miliardi $, pari alla metà delle quotazioni della Ford? Con buona pace di Marchionne che dichiara di perdere 10.000 $ per ogni 500 elettrica venduta negli Usa. Nei piani di Tesla, peraltro, c’è la realizzazione nei prossimi anni di uno stabilimento in Europa, e la Sicilia ha il vantaggio di essere baricentrica rispetto ai mercati dei Paesi del Golfo e di quelli europei.

Infine, i sistemi di accumulo. Questa tecnologia sta ricevendo sollecitazioni fortissime sia dal settore automobilistico sia dalle rinnovabili. Il mercato mondiale delle batterie per queste applicazioni dovrebbe passare da 200 milioni $ nel 2012 a 19 miliardi $ nel 2017. Molti Paesi si stanno attrezzando per questa sfida. Si tratta di un mondo in pieno fermento, dopo un secolo di moderato interesse. Sono decine le soluzioni tecnologiche che si stanno sperimentando per migliorare le prestazioni e ridurre i prezzi. Anche in questo campo, per reggere la sfida, occorre definire una chiara strategia e stringere alleanze internazionali.

Come già detto, oltre al terzetto tecnologico “solare+accumulo+auto elettrica” ci sono altri settori con un futuro promettente. Basti pensare alla rivoluzione dei Led e a quella delle smart grid, dei biomateriali, degli edifici a consumo quasi zero. Dopo le crisi petrolifere degli anni Settanta del secolo scorso, fu lanciato il Progetto finalizzato Energetica, proprio per raccordare le ricerche di enti pubblici e di imprese. Oggi le criticità sono anche maggiori: oltre ai problemi di sicurezza (Ucraina, Isis) abbiamo la sfida del clima che incombe. Per un Paese in difficoltà come il nostro sarebbe logico organizzarsi e definire priorità. Accanto alla “spending review” sarebbe allora saggio far partire una “innovation review”, che consenta di identificare pochi selezionati ambiti tecnologici ai quali l’Italia possa agganciare la ripresa. Ci sono tra l’altro da destinare per l’energia oltre 4 miliardi € della programmazione europea 2014-2020 e sarebbe bene non perderli. Insomma, c’è molto da fare, ma prima di tutto occorre intuire gli spazi che si aprono, selezionando settori e soluzioni vincenti in grado di fare evolvere il Paese in un mondo che sta cambiando molto in fretta.

L’articolo di Gianni Silvestrini è stato pubblicato sul n.4/2014 della rivista bimestrale QualEnergia, con il titolo “Visioni del futuro”.

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