Il modulo fotovoltaico bifacciale è made in Italy

Negli stabilimenti della fallita Helios Technology si ritorna a lavorare a un prodotti nuovo. Si realizzeranno moduli fotovoltaici con celle bifacciali che promettono di produrre il 25% di elettricità in più rispetto a un pannello convenzionale. Abbiamo parlato del suo nuovo progetto con Franco Traverso, pioniere industriale del settore.

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A volte ritornano. Parliamo dei primi operatori del fotovoltaico italiano. In particolare ne è tornato uno, che è stato forse il primo: Franco Traverso, pioniere industriale del settore con la sua Helios Technology, fondata oltre 30 anni fa. Traverso, proprio al tempo del boom degli incentivi al fotovoltaico italiano, aveva mollato tutto, per ripartire da capo in Canada, ma ora, ha riacquistato parte della la sua ex Helios Technology, l’ha rinominata MegaCell e la userà per lanciare, proprio dalla ‘depressa’ Italia, un nuovo prodotto che, a suo dire, rivoluzionerà il mercato del solare nel mondo.

Dottor Traverso, perché se ne era andato nel momento del boom, e perché è tornato ora che siamo in piena crisi?

È una storia complicata. In sintesi: ho fondato Helios Technology nel 1981, a 27 anni, quando di fotovoltaico non parlava quasi nessuno, e per anni ho vissuto più in Africa che in Italia, per vendere i nostri sistemi solari stand alone a comunità isolate. Arrivati gli incentivi e la rapida crescita del mercato mondiale, ho venduto parte di Helios Technology ad altri investitori con i quali nel 2009 ho rotto per divergenze sulla strategia industriale da seguire. Sono stato liquidato e con quanto incassato mi sono trasferito in Canada dove ho fondato la Silfab, per la costruzione di celle e moduli fotovoltaici in un mercato, quello nordamericano, che già avevo intuito allora, presto avrebbe conosciuto il suo boom. Nel frattempo in Italia la Helios Technology, travolta dallo tsunami del boom e poi della fine degli incentivi, era fallita.

E così se l’è ricomprata.

Solo una parte, in realtà, cioè le linee di produzione, per tre milioni di euro. Ho riassunto poi 75 operai della Helios Technology, per metterli al lavoro nella nuova MegaCell su un prodotto innovativo, la cella BiSoN (Bifacial Solar Cell on N-type), una cella bifacciale monocristallina, con efficienza superiore al 20%. Questa cella innovativa, elaborata con l’istituto di ricerca tedesco ISC Konstanz, non ha, come le attuali, un retro inattivo, ma due superfici ugualmente sensibili alla luce (l’idea non è solo di Traverso, anche la società californiana Sunpreme, ha annunciato un modulo bifacciale con un +20% di produzione su un analogo convenzionale, ndr). Ne produrremo, per ora, 80 MW l’anno a partire dal 2015, usandone parte direttamente alla Silfab, e parte vendendoli a chi vorrà costruire moduli che producano molto di più degli attuali. Questi moduli non avranno il retro coperto da un foglio di plastica opaco, ma da una seconda lastra di vetro.

Ma a che serve avere il retro del modulo attivo? Non resta in ombra?

Negli impianti a terra, il retro del modulo viene comunque illuminato dalla luce riflessa dall’ambiente, consentendo al modulo di produrre in media il 25% di elettricità in più rispetto a un pannello convenzionale con lo stesso numero di celle, se si tratta di un impianto fisso, e il 50% in più con impianti ad inseguimento solare. In ambienti particolari, come sabbia chiara o neve, poi, si può arrivare anche al 40% di produzione in più, con il modulo fisso. Il costo della cella è poco più alto di quelle convenzionali, perché la quantità di materiale usato è la stessa e la sua costruzione è compatibile con le linee già esistenti: 60 celle di questo tipo, consentono di ottenere un modulo di potenza complessiva di 350 watt, con una riflettività ambientale di solo il 20%, a un costo simile a quello di un attuale modulo da 265 Watt.

Però allora il modulo bifacciale non può essere posizionato, come avviene oggi, quasi orizzontale rispetto al suolo, per sfruttare al meglio l’alto sole estivo, e tanto meno sui tetti.

Sì, il modulo va messo a terra a circa 45°, ma, come abbiamo constatato nelle nostre prove condotte in Egitto, quanto si perde per la maggiore inclinazione rispetto al sole viene più che compensato dalla produzione aggiuntiva dal retro del modulo, con un rendimento complessivo superiore di circa un quarto rispetto ad un modulo convenzionale equivalente. Con i moduli bifacciali diventa poi vantaggioso un tipo di orientamento molto particolare, con le facce poste verso est e ovest: in questo caso si ha una produzione maggiorata rispetto alla convenzionale esposizione a sud e una curva di produzione più allargata, con due picchi, uno a metà mattinata e uno a metà pomeriggio, invece di un unico picco a mezzogiorno. Tenere i moduli a 45° rispetto al terreno dà anche un altro vantaggio: si riducono drasticamente gli accumuli di sabbia e polvere, che sono un problema notevole negli ambienti aridi. Per quanto riguarda i tetti, stiamo studiando delle possibili soluzioni con dei riflettori posteriori, ma intanto i moduli BiSoN, grazie alla loro maggiore trasparenza rispetto a quelli tradizionali, possono servire anche per vetrate verticali ombreggianti.

Avere il vetro posteriore, invece della plastica, rende il pannello più o meno durevole?

Le due lastre di vetro aumentano decisamente la vita utile del modulo, fino a raddoppiarla. Eviteremo, insomma, quanto si sta verificando con molti dei moduli economici montati in questi anni, che rivelano un carente isolamento elettrico sulla parte posteriore dovuto all’infiltrazione dell’umidità attraverso il foglio di plastica. Temo che tanti impianti realizzati con moduli costruiti in modo approssimativo per approfittare del boom degli incentivi alla fine produrranno molto meno di quanto promesso. Con il vetro, invece, questi problemi vengono evitati.

Perché avete scelto per le celle la configurazione N-type, con un drogaggio del silicio (la “destabilizzazione” della sua struttura elettronica, per aumentarne l’efficienza) a base di fosforo, invece che la più consueta P-type, che usa boro come drogante?

L’ N-type permette di evitare il poco conosciuto effetto LID (Light Induced Degradation). Nelle celle P-type, finora le più usate, ma più per consuetudine che per reali vantaggi, la prima esposizione alla luce, provoca una reazione fra boro e ossigeno che porta alla rapida perdita di un 3% di efficienza. Sembra poco, ma moltiplicatelo per la vita del pannello e vedrete che si tratta di una perdita considerevole di produzione elettrica complessiva. Oltre a evitare il LID, l’N-type perde poi solo lo 0,25% annuo di efficienza contro lo 0,6% del P-type. Infine l’N-type, permette di raggiungere efficienze maggiori, a parità di qualità del silicio di partenza.

Bifaccialità, N-type, sigillaggio in vetro. Cè un filo conduttore in queste innovazioni?

Sì, ed è molto semplice: se l’industria del solare vuole veramente diventare competitiva rispetto alla produzione elettrica da combustibili fossili deve evitare di valutare solo il costo del kW dei pannelli e cominciare invece a pensare al costo reale del kWh prodotto. In altre parole, occorre smetterla di comprare pannelli di scarsa qualità e bassa efficienza, che poi finiranno per vivere meno e produrre meno di quanto promesso, facendo saltare ogni preventivo fatto inizialmente. Occorre invece puntare su prodotti di alta qualità, che garantiscano un’alta efficienza per una durata di vita che sia almeno doppia rispetto a quella dei prodotti scadenti. Solo così il fotovoltaico potrà vincere la sua sfida globale. Noi siamo convinti che il nostro BiSoN sia un passo decisivo in questa direzione. Una nostra simulazione, basata sull’ipotesi di una produzione industriale massiva di moduli bifacciali e il loro uso in grandi impianti dotati di inseguimento solare e posti in aree ad alta insolazione, indica un costo dell’elettricità sui 5 centesimi di euro al kWh, competitivo con gran parte dei fossili.

Ma, mi scusi, visto i costi stracciati dei prodotti di bassa gamma, un produttore non fa prima a installare tanti pannelli economici, piuttosto che pochi di alta qualità?

No, questo è proprio un esempio di quella mentalità anomala che ha dominato fino ad ora: più pannelli scadenti vuol dire più spazio occupato, più costi di manutenzione, più connessioni, vita più breve. Tutti fattori che erodono rapidamente quanto risparmiato, aumentando il costo reale del kWh.

Però fra la competitività del solare e quella dei fossili, c’è da superare la montagna della intermittenza …

Sono più che certo che nei prossimi anni i sistemi di accumulo seguiranno la stessa curva di sviluppo dei pannelli, crollando di costo in parallelo all’aumentare della loro produzione, fino a diventare convenienti per massimizzare l’autoconsumo e rendere programmabile la produzione solare. Ne sono sicuro perché la mia società possiede 16 MW di impianti fotovoltaici nel Sud Italia nei quali avremmo già installato più che volentieri dei sistemi di accumulo al fine di trasferire l’energia prodotta nelle ore di metà giornata alla sera, quando viene pagata di più. Solo le assurde regole del GSE, che prevedono la decadenza degli incentivi per chi usa gli accumuli, ce lo impediscono: da una parte si dice che l’intermittenza del solare è un problema e dall’altra si impedisce di porvi rimedio.

Molti penseranno che abbiate avuto un bel coraggio a tornare a produrre nell’ormai anemico mercato fotovoltaico italiano, nel bel mezzo di una gravissima crisi economica. Non crede?

Sono tornato perché sono convinto che in Italia ci siano tutte le condizioni per poter fare un ottimo prodotto a costi competitivi. Certo, non contiamo di venderlo qui. I nostri mercati saranno soprattutto le Americhe e l’Africa, dove il solare sta per conoscere un boom travolgente e dove il bifacciale si rivelerà particolarmente adatto, per esempio anche abbinando il fotovoltaico a sistemi di desalinizzazione dell’acqua marina. Il mercato italiano non è certo l’obiettivo di MegaCell, essendo ormai quasi paralizzato sia per la pessima gestione degli incentivi, sia per i continui cambi di normative, che per l’evidente ostilità dei regolatori tecnici. Ma le cose stanno cambiando, basti vedere il terremoto al vertice di Enel. Sono convinto che se si lascerà l’Italia del solare tranquilla per qualche anno, il mercato del fotovoltaico riprenderà anche da noi.

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