Sblocca Italia. Associazioni: “via articolo 38 o l’Italia colonia per le trivelle”

  • 28 Ottobre 2014

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In attesa del voto finale del 30 ottobre, le associazioni ambientaliste continuano a protestare contro il decreto 'Sblocca Italia'. Chiedono al Senato l'abrogazione dell'art. 38 e invitano le Regioni a impugnarlo davanti alla Corte Costituzionale. Contro anche la Regione Abruzzo.

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“Il decreto Sblocca Italia, seppur corretto su aspetti secondari alla Camera, dà carta bianca agli appetiti dei petrolieri di un’Italia trasformata in colonia per le trivelle”. Cosí Greenpeace Italia, Legambiente e WWF Italia, dopo il voto di fiducia del 23 ottobre a Montecitorio e in attesa del voto finale del 30 ottobre, continuano a protestare contro il DL 12 settembre 2014 n.133, chiedendo al Senato l’abrogazione dell’articolo 38 del decreto e invitando le Regioni a impugnare l’articolo davanti alla Corte Costituzionale.

La mobilitazione di queste settimane (si veda anche ‘Blocca lo Sblocca Italia”, QualEnergia.it) sta già dando i primi risultati. La Commissione Ambiente della Camera dei Deputati ha infatti introdotto alcune timide correzioni al testo dell’articolo 38 riconoscendo la necessità di realizzare un piano delle aree in cui consentire le attività di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi; l’esigenza di ricorrere alla procedura di ‘Valutazione di Impatto Ambientale ordinaria‘ (VIA), derivante dal Codice Ambiente, “quindi più garantista per cittadini ed enti locali, nel valutare progetti e interventi rispetto a quella derivante dal Codice Appalti”, spiegano le associazioni.

Inoltre, l’ottava Commissione ha ritenuto necessario che gli operatori dimostrino, con idonee fideiussioni bancarie e assicurative, la propria capacità tecnica e finanziaria per far fronte alle operazioni di recupero ambientale, prima che le autorizzazioni vengano rilasciate e ha quindi modificato il testo dell’articolo in tal senso.

Ma queste prime modifiche – incalzano le associazioni – non cambiano la portata negativa delle disposizioni dell’articolo 38 che, lo ricordiamo, consente di applicare le procedure semplificate e accelerate sulle infrastrutture strategiche ad una intera categoria di interventi, senza che vengano individuate le priorità, senza che venga chiarito se il “piano delle aree”, come previsto dalle leggi vigenti, e senza che si applichi la Valutazione Ambientale Strategica. Inoltre l’art. 38 stabilisce che dal marzo 2015 le procedure di VIA sulle attività a terra diventino competenza del Ministero dell’Ambiente e non più delle Regioni.

Pertanto, non prevedendo la necessità di ‘forti intese’ tra Stato e Regioni, l’articolo non rispetta il vigente Titolo V della Costituzione.

Come se non bastasse – proseguono le associazioni – il DL prevede:

  • una concessione unica per ricerca e coltivazione di gas e petrolio, in contrasto con la distinzione comunitaria tra le autorizzazioni per prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi;
  • trasforma forzosamente gli studi del Ministero dell’Ambiente sul rischio subsidenza in Alto Adriatico, derivante dalle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, in ”progetti sperimentali di coltivazione”;
  • costituisce una distorsione rispetto alla tutela estesa dell’ambiente e della biodiversità, rispetto a quanto disposto dalla Direttiva Offshore 2013/30/UE e dalla nuova direttiva 2014/52/UE sulla Valutazione di Impatto Ambientale.
  • Anche gasdotti, rigassificatori e stoccaggi di gas naturale, si dispone all’articolo 37, rivestono “carattere di interesse strategico e costituiscono una priorità a carattere nazionale e sono di pubblica utilità, nonché indifferibili e urgenti”, e di conseguenza avranno diritto a una serie di semplificazioni. (Si veda anche ‘Sblocca Italia’ in Gazzetta Ufficiale, così le norme sull’energia).

Le associazioni continueranno quindi a promuovere iniziative per opporsi alla forzatura dirigistica per le valutazioni ambientali e per il rilascio di concessione uniche per la ricerca e la coltivazione di idrocarburi voluta dal ministero dello Sviluppo Economico. A loro si uniscono anche sindaci, rappresentanti delle giunte e dei consigli regionali, parlamentari locali e rappresentanti delle Camere di Commercio.

“In tutte le regioni interessate dalla mobilitazione di questi giorni (tra cui Abruzzo, Marche, Puglia, Basilicata, Molise ed Emilia Romagna, ndr) l’Eni e le compagnie straniere – come la Northern Petroleum, la Petroceltic, la Global Petroleum, la Spectrum geo limited, la Geo Service Asia Pacific – la fanno da padroni nel mare e a terra”, commentano le associazioni.

“Il dominio del’Eni è incontrastato in tutto il nostro Paese, grazie a royalties che sono in Italia da 2 a 8 volte più basse che nel resto del mondo e a canoni di concessione ‘ridicoli‘. Si tratta di condizioni tutte a favore dei petrolieri, che consentono di mettere a rischio in Puglia zone costiere protette come Torre Guaceto o aree marine protette come le Tremiti; di porre sotto la servitù petrolifera 3/4 del territorio della Basilicata; di tenere in ostaggio il parco nazionale dell’Appennino lucano Val D’Agri, e di minacciare l’istituendo parco nazionale della Costa Teatina, con lo scellerato progetto della piattaforma e nave di stoccaggio galleggiante di Ombrina Mare”, argomentano le associazioni ambientaliste.

Valutando poi la spesa che questo provvedimento comporterà per la comunità nazionale “i conti continuano a non tornare”. “Il calcolo costi-benefici dell’impatto economico, sociale e ambientale dell’operazione caldeggiata ‘irresponsabilmente’ dal Ministero dello Sviluppo Economico è assolutamente penalizzante per il Paese – proseguono Legambiente, WWF Italia e Greenpeace Italia – basti pensare a quanto l’inquinamento sistematico e il rischio di incidente mettano a rischio aree di pregio naturalistico e paesaggistico, dove si svolgono fiorenti attività economiche legate ai settori delle pesca e del turismo per cercare di estrarre petrolio di bassa qualità che potrebbe coprire, valutando le riserve certe a terra e a mare, il fabbisogno nazionale per appena 13 mesi”.

Secondo gli ambientalisti, il Senato dovrà correggere queste disposizioni. “Non sarà una battaglia facile, ma non per questo ci tireremo indietro”, commenta l’Assessore all’Ambiente della Regione Abruzzo, Mario Mazzocca, dopo aver annunciato di aver preso contatti con Marche, Puglia e Molise per creare le condizioni necessarie per ricorrere alla Corte Costituzionale contro il decreto Sblocca Italia “che rischia di trasformare l’Abruzzo in un distretto minerario per gli idrocarburi”.

L’assessore ha poi ricordato che con la risoluzione votata all’unanimità lo scorso 30 settembre dal Consiglio regionale dell’Abruzzo, il presidente e la giunta regionale si sono impegnati ad attivare, a partire dalla Conferenza delle regioni e di concerto con i parlamentari abruzzesi, ogni azione utile a sostenere, in sede di conversione in legge del decreto, la tutela delle prerogative regionali previste dalla Costituzione e in particolare si impegnano a chiedere la modifica degli artt.37 e 38 del decreto Sblocca Italia; ad impugnare la legge di conversione del DL 133/2014, nelle parti ritenute incostituzionali; ad attivare, nel caso in cui non venissero accolte le precedenti richieste, la proposta di un referendum abrogativo in concorso con altre regioni e ad intraprendere, infine, l’iter legislativo per una proposta di legge del Consiglio regionale, finalizzata al divieto di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi”, ha spiegato l’Assessore.

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