Riqualificazione del patrimonio edilizio pubblico: privati cercasi

Le opportunità di risparmio energetico nel patrimonio edilizio pubblico sono enormi, ma per gli enti locali, a corto di risorse, metterle a frutto è tutt'altro che semplice. Chi ci prova e quasi costretto a farlo cercando nuove forme di partnership con il privato. Se ne è parlato ieri in un convegno nell'ambito di REbuild.

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Grandi opportunità, tanti ostacoli da superare, ma anche qualche idea valida per scavalcarli. Il patrimonio edilizio pubblico è uno dei settori nei quali la riqualificazione energetica degli edifici potrebbe dare più vantaggi, ma intaccare questo giacimento neanche tanto nascosto non è semplice, specie nel contesto attuale in cui le gli enti locali devono fare i conti con una scarsità di risorse senza precedenti. Ecco che allora si studiano soluzioni nuove cercando partnership con il privato capaci di muovere investimenti con un impegno minimo di fondi pubblici. Se ne è parlato ieri in un convegno nell’ambito di REbuild, convention di Riva del Garda sulla riqualificazione e gestione sostenibile dei patrimoni immobiliari.

Da una parte abbiamo patrimoni edilizi enormi e quasi sempre vecchi e inefficienti i cui consumi energetici potrebbero essere tagliati consistentemente con la riqualificazione edilizia: solo il 17% è stato costruito dopo il 1990. Dall’altra, ci sono Comuni che non hanno i soldi per fare gli interventi necessari. Come risolvere la questione? La risposta, è quel che emerge dall’incontro, è nella partnership tra pubblico e privato.

“Le amministrazioni locali non possono più limitarsi a considerare il patrimonio pubblico come uno strumento per fare cassa. Gli immobili possono creare valore se gestiti assieme ai privati”, spiega Michele Lorusso, direttore della Fondazione Patrimonio Comune – ANCI. E di privati parla anche Tommaso Dal Bosco, Capo dipartimento sviluppo urbano e territoriale IFEL, Istituto per la Finanza e l’Economia Locale: non si può più ragionare come nell’epoca dell’abbondanza, in cui creando debito lo stato redistribuiva con la spesa pubblica – è il succo del suo intervento – ora ogni intervento deve trovare una sua giustificazione economica e il pubblico deve rendersi conto dei suoi limiti, cercando la collaborazione dei privati. “La PA e gli enti locali devono mettersi nell’ordine d’idee che non per forza devono essere proprietari dei beni che usano, ci si può affidarsi a fondi immobiliari privati, separando uso e gestione”. Certo, come osserva lo stesso Dal Bosco, “il salto culturale e politico da compiere è grande”.

Come si stanno muovendo i Comuni? Al convegno si è visto quel che si sta facendo a Torino e a Bologna per riqualificare l’edilizia pubblica popolare. Nelle case popolari italiane, in gran parte risalenti a prima degli anni ’70, gli inquilini – hanno riportato diverse testimonianze – spesso pagano molto di più per le utenze che per l’affitto: a fronte di canoni agevolati che vanno in media dai 30 ai 150 euro al mese, in questi edifici arrivano bollette anche da migliaia di euro l’anno, che spesso gli inquilini non riescono a pagare, creando morosità.

Interessante da questo punto di vista quanto si sta facendo nel capoluogo emiliano, città che deve gestire 12.500 appartamenti ex IACP. Il progetto di riqualificazione, illustrato da Alfonso Gagliano direttore area tecnica di ACER, si basa appunto sulla collaborazione tra pubblico e privato. Il Comune stanzierà 2,2 milioni, poco più del 30% dei 6,5 milioni di investimento necessari alla riqualificazione energetica di 950 alloggi, 23 fabbricati e 13 agglomerati. Al resto penserà una ESCo privata, che sarà selezionata con delle gare a valle di un ‘dialogo competitivo’, istituto disciplinato dal d.lgs. 163/2006, art. 58, che in questo caso fa sì che sia la ESCo a occuparsi di tutto, dalla diagnosi energetica al progetto.

Secondo Gagliano, questo modello, basato sul dialogo competitivo e su un investimento limitato con effetto volano da parte della pubblica amministrazione, ha diversi vantaggi. Primo fra tutti quello di lasciare al privato la massima parte del lavoro: “potrebbe funzionare per tutto il patrimonio pubblico italiano”.

Sarà così? “Se il progetto bolognese è sicuramente interessante, va detto che è ancora da realizzare. Bisognerebbe andare a vedere perché altri progetti di riqualificazione del patrimonio edilizio pubblico, pur con premesse buone, sono poi sostanzialmente falliti”, commenta un partecipante a margine del convegno. Una risposta la dà l’analista di Nomisma, Marco Marcatili. Considerando che un appalto per lavori di riqualificazione energetica vale in media 5 milioni di euro e comunque quasi mai meno di 2 milioni, l’80% delle ESCo italiane sono sottodimensionate dal punto di vista del fatturato per assolvere a questi compiti, spiega.

Altro punto critico è quel 30% circa di risorse pubbliche sull’investimento che resta necessario anche al netto del risparmio ottenibile e degli incentivi pubblici. Infine ci sono i vari fattori di rischio: legati all’aspetto gestionale, a quello contrattuale, all’incertezza normativa e a variabili come inflazione e prezzo dell’energia. Se a questo si aggiunge una consapevolezza spesso scarsa delle opportunità offerte dal retrofit energetico, si capisce quanto resti difficile attingere al potenziale di risparmio.

Un peccato perché mai come in questa fase storica – osserva l’analista di Nomisma – per l’edilizia riqualificare offre possibilità di lavoro infinitamente più grandi rispetto a costruire: i due miliardi di metri quadrati del patrimonio edilizio italiano che necessiterebbero di riqualificazione energetica “potrebbero generare 500 miliardi di euro per il settore dell’edilizia”, sottolinea Marcatili.

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