Gli investimenti in petrolio sono a rischio anche con prezzi alti del barile

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Nuovo avvertimento di una banca d'investimento sugli asset fossili. Gli investimenti in nuove riserve oil, prevede un report di Kepler Chevreux, rischiano di non ripagarsi anche con elevati prezzi del barile necessari per mantenere a livelli costanti una produzione sempre più costosa. Colpa di rinnovabili e mobilità elettrica, sempre più competitive.

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Quale che sia l’evoluzione dei prezzi del barile, nel prossimo decennio gli investitori farebbero bene a iniziare a spostare già adesso i loro investimenti dal petrolio alle fonti rinnovabili. Il rischio che gli asset oil perdano di valore sia molto alto in uno scenario con prezzi bassi è ben noto, ma, investendo in nuovi pozzi, il pericolo di fare buchi nell’acqua è concreto anche in uno scenario con il petrolio a prezzi alti. Mentre estrarre idrocarburi costa sempre di più, infatti, le rinnovabili sono sempre più competitive e prezzi del barile salati sul medio termine non faranno che accelerare la diffusione delle fonti e delle tecnologie alternative.

La battaglia si combatterà soprattutto sulla strada: è dal trasporto su gomma e specialmente dalla sua crescita nei veicoli leggeri dei paesi emergenti che viene gran parte dell’aumento della domanda di greggio prevista per i prossimi decenni. Questa domanda di mobilità però potrebbe essere soddisfatta in larga parte dai veicoli elettrici alimentati a energie rinnovabili: la quota di mercato di questa tecnologia crescerà tanto più rapidamente quanto più il barile costerà caro. Già adesso investendo in nuovo petrolio si ha un ritorno in termini di energia netta, da usare nei trasporti, inferiore rispetto all’ipotesi di investimento della stessa quantità di denaro in eolico o fotovoltaico. E nel tempo il rapporto di forza sarà sempre più sbilanciato a favore delle energie pulite. A proporre questa analisi è un nuovo report intitolato Toil for Oil (vedi allegato in basso) della banca d’investimento Kepler Chevreux, scritto dall’analista Mark Lewis (ex Global Head of Energy Research di Deutesche Bank).

Come detto, quello degli stranded asset, cioè degli investimenti “incagliati”, per le fossili è un rischio di cui si parla da tempo (e al quale abbiamo dedicato diversi articoli). L’industria petrolifera sta investendo ingenti capitali per sfruttare riserve spesso molto costose da estrarre – come nel caso delle sabbie bituminose e delle trivellazioni in acque profonde – e, secondo diversi analisti, tali impieghi non si ripagheranno in uno scenario di prezzi del barile relativamente bassi  magari collegati alle politiche per il contenimento delle emissioni.

La nuova analisi di Kepler Chevreux si discosta dalle altre in quadro prevedibile di prezzi del petrolio – che si stimano in rialzo sul medio termine – ma arriva alle stesse conclusioni: molto investimenti nell’estrazione del petrolio non si ripagheranno nel corso del loro ciclo di vita, con le relative conseguenze economiche.

In assenza di un accordo sul clima significativo e vincolante o di una recessione prolungata dell’economia mondiale (entrambi i casi vengono ritenuti improbabile dal report), la previsione della banca d’investimento è che i prezzi del barile continuino a crescere nei prossimi due decenni addirittura in maniera superiore a quanto previsto dalla International Energy Agency. Ma, come detto, ciò non mette affatto al sicuro i soldi di chi sta investendo in petrolio.

Prezzi alti del barile nel prossimo decennio – condizione essenzale per mantenere a livelli costanti una produzione di petrolio sempre più costosa – non farebbero che accelerare lo sviluppo delle fonti alternative, tanto che dal 2025 la sostenibilità economica dei progetti di estrazione sarebbe messa in dubbio.

Sarà soprattutto il settore dei trasporti ad essere cruciale: un terzo dell’incremento della domanda di petrolio previsto dalla IEA per il 2035 viene dalla diffusione dei veicoli leggeri a gasolio e benzina, specie nei mercati emergenti. Ma questa stima – osserva il report – non tiene in considerazione la crescente competitività delle rinnovabili e dei veicoli elettrici su quali ad esempio sta puntando tantissimo la Cina, il mercato che dovrebbe contribuire di più alla crescita prevista.

Mentre la capital intensity dei nuovi progetti petroliferi, cioè la quantità di investimenti necessari ad estrarre un barile da un nuovo giacimento, sta crescendo da un decennio e già dal 2011 è superiore al prezzo di vendita, il prezzo dell’energia da rinnovabili elettriche è in calo. Meglio delle parole parlano i calcoli esposti dal report (vedi tabella).

Se guardiamo all’energia netta utilizzabile nei trasporti (ultima colonna a destra), tenendo conto sia delle perdite di rete per i veicoli elettrici che della dispersione termica per i motori a combustione, già oggi 100 miliardi di dollari investiti in solare o eolico danno, nel ciclo di vita dell’investimento, più energia rispetto allo stesso denaro impiegato in progetti di estrazione di petrolio relativamente costosi (con break-even intorno a 100 $/barile).

In futuro (tabella sotto) i conti saranno ancora più favorevoli alle fonti rinnovabili: nel suo ciclo di vita un investimento in rinnovabili fatto nel 2020 darà da 2 a 6,5 volte più energia di uno in ‘nuovo petrolio‘. Insomma, non c’è storia. Chi investe adesso in infrastrutture energetiche che hanno costi enormi e una vita utile di decenni farebbe bene ad essere lungimirante per quel che riguarda la transizione in atto nel mondo dell’energia.

Il report Toil for Oil di Kepler Chevreux (pdf)

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