Il portafoglio prestiti delle banche è esposto alle esternalità ambientali

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Nell’erogare il credito le banche tengono conto delle prestazioni ambientali delle imprese e dei rischi finanziari delle esternalità connesse alla loro attività? Dai risultati di un'indagine di ECBA Project, che ha valutato la sostenibilità ambientale del settore bancario nel contesto dell’economia nazionale, sembrerebbe esattamente il contrario.

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Le banche in Italia quando prestano denaro conoscono i rischi legati ai costi esterni e ambientali delle aziende a cui hanno erogato il credito? Da una ricerca di ECBA Project sembrerebbe proprio di no (Ambiente chiama, Banca risponde? I costi esterni ambientali a supporto della valutazione del merito di credito). In sintesi risulta che le banche nell’erogare i finanziamenti siano molto sbilanciate a favore di  attività in settori con elevate esternalità ambientali.

Un indice, l’Environmental Cost-Benefit Index (ECBI), ci dice che in media i costi esterni (sanitari e ambientali) del portafoglio prestiti del sistema creditizio, sono pari a 45 euro ogni 1.000 di valore aggiunto generato dalle imprese. Un valore molto più elevato per il complesso delle imprese italiane che, secondo l’indagine di ECBA Project, risulta pari a circa 24 euro (vedi figura). Sul sito è disponibile anche un tool per il calcolo dell’ECBI settoriale.

Cosa vuol dire tutto ciò? Significa che, secondo gli autori del rapporto, il sistema creditizio impiega le risorse dei risparmiatori in maniera selettivamente più insostenibile sotto il profilo ambientale rispetto alla media della realtà produttiva nazionale, contribuendo indirettamente (appunto attraverso lo strumento del credito) alla generazione di danni, per unità di valore aggiunto, pari quasi al doppio di quelli mediamente attribuibili al complesso delle imprese dell’economia.

Donatello Aspromonte e Andrea Molocchi, partner di ECBA Project e co-autori dell’indagine, spiegano che le banche nella propria funzione di credito sottovalutano “l’esposizione dell’impresa alle esternalità ambientali”; un rischio che può incidere sulle capacità finanziaria dell’impresa e così compromettere la restituzione del prestito.  

Si fanno quattro esempi per capire in che modo:

  1. per il rischio di azioni di responsabilità ad opera della magistratura come multe, risarcimenti per danni o sequestri preventivi;
  2. per la difficoltà e incertezza delle garanzie reali offerte dalle imprese affidate a coprire i rischi ambientali;
  3. per l’auspicata introduzione di nuove tasse ambientali per ridurre il carico fiscale sul lavoro a parità di gettito (misura attualmente all’esame del Governo in virtù della delega fiscale di marzo 2014);
  4. per il rischio d’immagine della banca nei confronti di cittadini sempre più attenti a impiegare i propri risparmi in forme di finanza sicura e al contempo etica.

Per questo motivo, si spiega nello studio, la banca dovrebbe poter gestire queste incertezze e definire la propria collocazione nella matrice di posizionamento del sistema bancario (vedi figura).

Ovviamente, si tratta di un percorso graduale, che una banca può iniziare a intraprendere avviando dei progetti di valutazione monetaria delle esternalità ambientali delle proprie attività, sia dirette che di fornitura, per poi iniziare ad effettuare valutazioni di sostenibilità ambientale del proprio portafoglio di impieghi, coinvolgendo le imprese più esposte.”, dicono Aspromonte e Molocchi.

A completamento di questa analisi, pubblicata su Nuova Energia (4/2014), sono stati anche analizzate le possibili relazioni fra sostenibilità ambientale (valore dell’ECBI) e tassi sui prestiti nei diversi settori dell’economia (nel primo trimestre 2013 oscillanti fra il 2,3% e 5,0%, con un  valore medio pari a 3,3%).

Ebbene, non pare che ci sia una correlazione premiante fra efficienza ambientale di settore e livello medio del tasso d’interesse settoriale (vedi figura sotto). Al contrario, molti dei settori ritenuti dalle banche più solidi dal punto di vista finanziario sono in realtà molto esposti alle esternalità ambientali, e viceversa.

Qualche esempio: il settore “Coke e prodotti petroliferi” con 821 euro di esternalità generate per 1000 di valore aggiunto creato, beneficia di un tasso fra i più bassi (TAEG 3,0%), il settore “Energia elettrica e gas” con 172 euro di esternalità generate per 1000 di valore aggiunto, ha un tasso del 2,9%, la “Metallurgia” con 155 euro, ha un tasso del 3,3%.

Al contrario, settori più virtuosi sotto il profilo ambientale (valori ECBI inferiori alla media nazionale di 24 euro per 1000 di valore aggiunto) sono tendenzialmente gravati da tassi elevati (molti settori ‘made in Italy’ come tessile, mobili, alimentare, ecc.).

Crediamo che questa analisi sia fondamentale in un processo di ricerca della sostenibilità ambientale da parte degli istituti di credito, ma anche per i piccoli e grandi risparmiatori. Sono concetti di non facile acquisizione da parte dell’opinione pubblica, ma anche una minima consapevolezza da parte di una ristretta nicchia di investitori potrebbe dare segnali importanti alle banche così come alla politica. Un esempio di azione concreta e dal basso che va in questo senso, è la campagna “Divest Fossil Fuel”, che sicuramente non inciderà sulle finanze dei big dell’energia, ma può avere un peso comunicativo non indifferente per far cambiare abitudini nell’impiego delle risorse finanziarie di banche e risparmiatori.

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