Alla ricerca della democrazia energetica perduta

Accesso garantito all’energia di cui ha bisogno; un’energia prodotta senza inquinare l’ambiente o recare danno alle persone. I mezzi di produzione devono essere socializzati; Partecipazione e decisioni della popolazione. Questa è la democrazia energetica rappresentata da diversi esempi europei raccontati in un rapporto.

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Una ex città mineraria dell’Alsazia in Francia ha trovato con successo una sua strategia di transizione socio-ecologica, rimpiazzando quella sua attività principale. Si tratta di Ungersheim, non lontana dalla discussa centrale atomica di Fessenheim che l’attuale governo vorrebbe chiudere. La cittadina di 3000 abitanti, invece di seguire le linee guida sull’energia del governo, ha cercato un suo percorso indipendente e condiviso tra i cittadini, puntando sull’autonomia energetica, sull’autosufficienza alimentare e, come ha spiegato il suo sindaco, sulla libertà di pensiero.

Obiettivo iniziale era risparmiare e produrre energia localmente per tagliare le spese pubbliche. Prima misura fu un impianto solare per il riscaldamento della piscina comunale, poi seguì una piccola rete di teleriscaldamento a legna. Da qui si è poi pensato di installare piccoli impianti fotovoltaici sugli edifici pubblici, fino ad arrivare alla realizzazione di una centrale solare posta sulle scorie della miniera di potassio in grado di produrre l’elettricità necessaria agli abitanti. La municipalità sta risparmiando sull’energia e dal 2004, a differenza della totalità delle città transalpine, le bollette della utility locale non sono più cresciute.

Le iniziative sono state poi realizzate attraverso una cooperativa fondata nel 2013, in cui investono i cittadini di Ungersheim. I profitti delle attività vanno a finanziare progetti non ancora convenienti economicamente come ad esempio una birreria organica, campagne ecologiste e progetti educativi. La cittadina, che punta anche sul turismo ecologico, ha anche creato una moneta locale accettata in alcuni negozi e resta oggi un cantiere aperto per idee e progetti che coinvolgono la popolazione attraverso un consiglio costituto da 50 cittadini.

Questo è uno dei tanti esempi avanzati e promettenti che vengono proposti nella pubblicazione “Energy Democracy in Europe” pubblicato dalla Rosa Luxembourg Foundation. Tra questi anche l’esperienza di successo della piemontese Retenergie, cooperativa ad azionariato popolare che ha già realizzato numerosi impianti a fonti rinnovabili.

Ma cos’è la democrazia energetica secondo gli autori? Possiamo provare a darne una definizione: significa che ognuno deve avere accesso garantito all’energia di cui ha bisogno; un’energia prodotta senza inquinare l’ambiente o recare danno alle persone. Ciò ha come conseguenza lasciare sotto terra le fonti fossili e che i mezzi di produzione devono essere socializzati e resi democratici attraverso la partecipazione e le decisioni della popolazione. Ma anche l’approccio verso il consumo energetico va completamente ripensato e gestito direttamente dagli stessi utenti finali, in una logica non di massimizzazione del profitto, ma di mero soddisfacimento del proprio fabbisogno.

Aspetto chiave è dunque definire chi detiene la proprietà della produzione energetica, proprio in una fase storica in cui il potere delle multinazionale dell’energia fossile e nucleare tenta i suoi colpi di coda e in cui anche molti fornitori locali di energia sono stati privatizzati spesso contro il volere della cittadinanza.

Negli esempi riportati dal libro (sotto scaricabile una versione in inglese di 68 pagine, più ridotta di quella pubblicata in tedesco) sono diversi i casi di proprietà collettiva di questi impianti o servizi energetici, come nascenti e innovative forme di proprietà comunale o semi-statale, oltre ai più classici casi di proprietà privata diffusa tra i cittadini attraverso società cooperative.

Come si è visto nel caso della cittadina francese, le annuali risorse economiche risparmiate per l’energia convenzionale potranno essere impiegate in altre attività necessarie alla comunità. La proprietà locale degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili diventa così un valore aggiunto per tutta la città o comunità. Anche la rilocalizzazione di risorse, prima investite in titoli che comprendono le attività di aziende operanti nella struttura energetica fossile e nucleare, nelle imprese del posto, fa parte di questo processo ancora in nuce, ma interessante da seguire soprattutto per il messaggio che diffonde.

In Europa ci sono tanti laboratori di autonomia energetica; piccoli esempi di alternative di sviluppo e di opportunità, anche economica, che diventano modelli anche per un più ampio cambiamento sociale e culturale.

Dietro questo concetto c’è un aspetto spesso trascurato dalla politica, dall’opinione pubblica e purtroppo anche da parte degli stessi operatori della green economy: per spingere una vera transizione energetica è necessario attivare l’enorme potenziale sociale che è a disposizione. Questo significa quanto sia fondamentale per la riuscita di un cambiamento sapere chi porta avanti un progetto energetico e chi vi aderisce. Come spiegava Hermann Scheer nel suo libro “Autonomia energetica”, la questione dei potenziali attori della transizione alle energie rinnovabili deve essere al centro di ogni discussione strategica: “Se le ipotesi di fondo di una strategia sono troppo unilaterali, di norma anche la relativa cerchia di attori è inadatta o troppo piccola”.

Il premio Nobel svedese Gunnar Myrdal riteneva che un progetto sociale può affermarsi se sostenuto con tenacia e perseveranza da solo un 5% di persone appassionate. Questi trascineranno un altro 25% della società. Una quota sufficiente di uomini e donne per operare un cambiamento, perché – spiegava – si sa che la maggioranza delle persone di solito è indifferente, ma in linea di principio è disposta a seguire le forze in movimento purché abbiano una prospettiva convincente e utile per la comunità.

Dunque, la transizione energetica verso la generazione distribuita e pulita può essere sì concettualizzata e progettata da tecnici, ma per riuscire veramente non può essere lasciata in mano ai soli esperti.

Energy democracy in Europe. A Survey and Outlook (pdf)

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