Troppa sete di acqua con le energie fossili e nucleari

Se continuiamo a puntare su nucleare e fossili entro il 2020 la scarsità idrica colpirà il 30-40% delle aree del pianeta ed entro il 2040 la situazione sarà insostenibile. Scegliere tra destinare l'acqua al raffreddamento delle centrali termoelettriche o agli altri usi essenziali. Necessaria l'efficienza energetica e il passaggio a FV ed eolico.

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Per evitare che il mondo muoia di sete è urgente spingere di più su efficienza energetica, eolico e fotovoltaico: se continuiamo ad affidarci al termoelettrico – mostra un nuovo studio – entro il 2040 nel mondo non ci sarà acqua a sufficienza. Passare alle energie rinnovabili infatti non è necessario solamente per affrontare il problema delle emissioni climalteranti, dell’inquinamento atmosferico, delle riserve di petrolio e carbone destinate ad esaurirsi e delle tensioni internazionali legate all’accesso a queste: quella della scarsità idrica è un’altra sfida che possiamo vincere solo cambiando il modo in cui produciamo energia.

Una questione spesso trascurata che una ricerca condotta da studiosi della danese Aarhus University e delle americane Vermont Law School e CNA Corporation riassume tracciando uno scenario preoccupante. Se continuiamo a contare su nucleare e fossili – è la previsione – entro il 2020 la scarsità idrica colpirà il 30-40% delle aree del Pianeta ed entro il 2040 la situazione sarà insostenibile: dovremmo cioè scegliere tra destinare l’acqua al raffreddamento delle centrali termoelettriche o agli altri usi essenziali alla sopravvivenza umana.

La ricerca è divisa in due parti (vedi allegati in basso). In una si analizza il problema in quattro contesti (Francia, Cina, India e Texas), nell’altra si traggono le conclusioni e si propongono delle soluzioni per affrontare la sfida. La questione è relativamente semplice: tutte le centrali termoelettriche, a gas o a carbone, hanno bisogno di ingenti quantità di liquido per il raffreddamento, mentre il nucleare è in assoluto il modo di produrre energia più dispendioso in termini di risorse idriche, seguito dal carbone con tecnologia per la cattura della CO2. Si veda la tabella sotto, tratta dal report, che indica per ogni MWh prodotto con le diverse tecnologie il prelievo (withdrawal) e il consumo (consumption) di acqua.

Nel 2005, si fa notare come esempio, negli Stati Uniti i prelievi di acqua per il termoelettrico hanno pesato per il 41% del totale: addirittura più di quelli destinati all’agricoltura. Che carbone e nucleare (e seppur in misura minore anche il gas) abbiano bisogno di tanta acqua è un fattore che si ripercuote sia sulla scarsità idrica in generale che sulle performance di questi impianti, che nei momenti di siccità devono ridurre la produzione o addirittura fermarsi (si veda quanto successo alle centrali nucleari francesi ad esempio nella torrida estate del 2003).

L’allarme lanciato non è nuovo. Già nel 2012, la International Energy Agency lo faceva presente, mentre in un report del 2013 Bloomberg New Energy Finance ha fatto notare come l’85% della potenza elettrica cinese sia situato in zone soggette scarsità idrica. Il carbone – mostra BNEF – in Cina tra estrazione e produzione elettrica succhia circa 98 miliardi di metri cubi di acqua l’anno (dato riferito al 2010): il 15% dell’intero prelievo idrico nazionale che potrebbe diventare il 25% se i piani di sviluppo su questa fonte verranno realizzati. Le 5 grandi dell’energia nel paese – Huaneng, Datang, Huadian, Guodian e China Power Investment – possiedono circa un centinanio di GW di potenza termoelettrica in aree soggette a carenze idriche. Per mettere queste centrali al sicuro dallo stress idrico, stima BNEF, servirebbero almeno 20 miliardi di dollari di investimenti.

Una situazione destinata a peggiorare. Nel 2040 – rileva il nuovo studio –  la domanda di elettricità nel nord della Cina potrebbe essere più che doppia rispetto al 2010 e in India più che tripla. E’ urgente affrontare il problema subito, anche perché bisogna fare i conti con l’altro braccio della tenaglia: l’aumento della popolazione mondiale e i cambiamenti climatici, che renderanno ancora più grave il problema acqua.
Secondo il 2030 Water Resources, infatti, il fabbisogno mondiale di acqua entro il 2030 salirà a 6.900 miliardi di metri cubi, dai 4.500 miliardi del 2009: per quell’anno potrebbe esserci un gap del 40% tra domanda e disponibilità di acqua.

“E’ un problema enorme è il settore elettrico al momento non monitora nemmeno quanta acqua consuma. Avendo risorse idriche limitate ciò potrebbe portare ad una crisi seria se nessuno agisce subito”, avverte uno degli autori del report, il professor Benjamin Sovacool. “Dovremmo scegliere se usare l’acqua per berla o per raffreddare le centrali: non ce ne sarà abbastanza per entrambi gli usi”, conclude.

Come uscirne? Le soluzioni proposte dai ricercatori sono diverse: innanzitutto promuovere l’efficienza energetica per contenere la domanda di energia, poi investire in ricerca su nuovi metodi di raffreddamento, che però fanno aumentare i costi del MWh termoelettrico, e, infine, abbandonare la generazione da termoelettrico in tutte le aree soggette a scarsità idrica (“cioè in metà del pianeta”, si sottolinea) e puntare di più su eolico e fotovoltaico, le uniche fonti che non hanno bisogno di acqua (come si nota dalla tabella sopra, gli 0,1 m3/MWh del FV sono imputabili alla necessità, in alcuni casi, di lavare i moduli).

Capturing Synergies Between Water Conservation and Carbon Dioxide Emissions in the Power Sector (pdf)

A Clash of Competing Necessities: Water Adequacy and Electric Reliability in China, India, France, and Texas (pdf)

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