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Quanto è fondato l’allarme dell’Autorità sull’autoconsumo da fotovoltaico?

Tutti gli impianti fotovoltaici incentivati in conto energia fino a 400 kW non peserebbero che per meno del 3% del consumo elettrico italiano, ma solo nel caso, inverosimile, di un autoconsumo al 100%. L’allarme dell’Autorità per l'Energia è ingiustificato. Anzi, questo quadro giustificherebbe maggiori facilitazioni, ad esempio, per le potenze inferiori a 20 kW.

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L’Autorità per l’Energia il 17 luglio (pdf) ha rilanciato l’allarme circa la possibilità che il proliferare futuro di iniziative in autoconsumo, promosse dai privati per contenere i loro costi in bolletta e garantirsi contro possibili futuri incrementi, possa generare un “progressivo disallineamento tra l’energia elettrica prelevata da rete pubblica e l’energia elettrica consumata” dagli stessi soggetti per le loro esigenze.

Secondo l’Aeeg ciò potrebbe “alterare ingiustificatamente” la competizione tra impianti (ad esempio tra la centrale a turbogas dell’operatore elettrico tradizionale e l’impianto domestico) o tra tecnologie (la generazione da gas naturale e il fotovoltaico) oppure tra “consumatori industriali operanti con diversi assetti produttivi” (cioè tra quelli che hanno fatto l’investimento per l’autoconsumo e quelli che non lo hanno fatto).

Lo scopo espresso del richiamo dell’Autorità è di non promuovere configurazioni impiantistiche inefficienti (il che è giusto), limitando l’esenzione dagli oneri. Esenzione, lo ricordo, che si giustifica in ragione della necessità di bilanciare esternalità negative indotte dalla generazione e distribuzione di energia da fonte fossile. L’Autorità dice, in altre parole, che l’esenzione, per non alterare in modo ingiustificato la concorrenza, deve essere strettamente commisurata ai benefici apportati al sistema (tra i quali cita la riduzione delle emissioni e la riduzione della dipendenza energetica).

Questo criterio in sé appare giustificato, coerente con la normativa più recente (Comunicazione 2014/C 200/01 della Commissione europea) che peraltro cita, è ragionevole. Peccato che già nella nota a pagina 2 (nota 1) l’Autorità superi il suo stesso criterio, indicando che “dette esenzioni vanno limitate al valore delle esternalità per il sistema elettrico, e quindi, dovrebbero essere parametrate al costo evitato delle tecnologie più efficienti per raggiungerle”.

Se capisco bene l’involuta frase, ciò significherebbe parametrare l’esenzione alla differenza tra i vantaggi della tecnologia in oggetto (ad esempio il fotovoltaico alla taglia inferiore a 20 kW) e la migliore alternativa disponibile per generare la stessa energia, indipendentemente dalla sua effettiva presenza e incidenza sul mercato elettrico concreto (cioè alla più efficiente centrale a ciclo combinato). Questa interpretazione, non supportata dal citato documento della Commissione Europea, riduce significativamente l’impatto positivo effettivo del sistema di autoconsumo, che evita emissioni pari alla media del mix energetico disponibile, nel quale sono presenti anche sistemi meno efficienti. Può sembrare che queste siano questioni secondarie, ma negli appropriati sistemi informativi (ad esempio in un modello LCA) fanno la differenza.

Ma la paura dell’Autorità va ben oltre: di seguito individua il rischio che al crescere dei soggetti esentati dagli oneri di sistema, in quanto autoconsumatori dell’energia da fonti rinnovabili che producono da sé, la riduzione dell’energia prelevata dalla rete, sulla quale si distribuisce il monte degli oneri, attivi un effetto capace di autorafforzarsi e prendere velocità. Un sempre minore numero di soggetti tenuti nella rete sarebbe gravato da sempre maggiori oneri unitari; una circostanza che aumenterebbe la motivazione a distaccarsi dalla rete.

Invece di leggere in questa possibilità un potente motore (come vedremo per ora del tutto potenziale) di modernizzazione e di efficientamento, l’Autorità vede il rischio per la rete di perdere troppi “clienti”.

Reiterando un argomento che dimentica completamente la ragione per la quale, come dice la Comunicazione 200/01 (par. 90) “gli aiuti per fini ambientali tendono, per loro natura, a favorire prodotti e tecnologie ecocompatibili a discapito di alternative più inquinanti e questo effetto dell’aiuto, in linea di principio, non è considerato alla stregua di una distorsione della concorrenza”, l’Autorità afferma che l’incentivo ‘implicito’, determinato dall’esenzione, indurrebbe alla realizzazione di impianti scarsamente efficienti e costosi rispetto ad altre soluzioni. Impianti che altrimenti non sarebbero realizzati. Questo modo di argomentare da parte dell’Autorità contraddice apertamente la logica stessa del sistema di incentivazione che deve precisamente indurre a comportamenti che altrimenti non si sarebbero presi Comunicazione 200/01 (par. 27).

Con questo modo di presentare la situazione si arriva fino a definire i sistemi di accumulo come assetti “non necessariamente efficienti, e quindi a chiedere una “completa e omogenea” redistribuzione degli oneri. Si arriva, a pag. 9, fino al punto di chiedere al Parlamento di valutare l’esclusione degli impianti con accumuli dai SEU (vanificandoli) (Qualenergia.it, L’Autorità e quell’interpretazione forzata che ucciderebbe lo storage).

Ma facciamo un passo indietro. Nella tabella in basso (clicca per ingrandire) sono riportati tutti gli impianti fotovoltaici incentivati in Italia (tra 1 e 1000 kW), divisi per “Conto Energia” e per totale (Fonte: Atlasole, giugno 2014).

  • Si vede come tutti gli impianti inferiori o uguali a 3 kW (consumo monofamiliare) siano 165.000 e complessivamente, se autoconsumassero il 100% dell’energia prodotta (cosa impossibile), varrebbero l’esenzione dello 0,18% dell’energia ritirata dalla rete italiana (circa 310 TWh).
  • Gli impianti tra 3 e 20 kW (consumo a livello di piccola palazzina) sono quasi 300.000 e sottraggono un altro 0,87% del consumo elettrico.
  • Quelli tra 20 e 100 kW (consumo di un artigiano o ufficio) sono solo 37.000, ma ‘pesano’ quasi quanto i due precedenti (circa un altro 1%).
  • Gli impianti di taglia piccola industria (tra 100 e 400 kW), che è l’ultima ragionevolmente coinvolta nel fenomeno potenziale dell’autoconsumo, sono 11.000 e sottraggono un altro 0,87%.

Insomma, tutti insieme gli impianti fotovoltaici alle taglie che possono essere coinvolte nel ‘temibile’ fenomeno descritto dall’Autorità (da 1 a 400 kWp), fino ad ora peserebbero per meno del 3% del consumo italiano, ma solo nel caso, inverosimile, di un autoconsumo al 100%. Se venissero inclusi anche quelli fino a 1000 kW ci si attesterebbe su una quota del 5,5% dei consumi elettrici nazionali. Con una elevata quota di autocosumo (cioè 60%) tutta la produzione degli impianti considerati (1-1000 kW) non peserebbe per oltre il 3%.

Non sembra, sinceramente, che questo sia un numero capace di far saltare i conti del 97% dei consumatori italiani. E non sembra che sia prevedibile, ragionevolmente, che nei prossimi anni il mercato esploda replicando, anzi moltiplicando per 4 o 5, la fortissima dinamica di crescita che il fotovoltaico ha registrato negli anni 2010-13.

L’allarme dell’Autorità per l’Energia è dunque prematuro e ingiustificato. L’analisi dei dati direbbe tutt’altro: giustificherebbe al contrario maggiori facilitazioni (ad esempio l’esenzione dagli effetti dell’art. 24 DL 91/2014) per le potenze inferiori a 20 kW, nelle quali si trovano quasi il 90% degli impianti fotovoltaici italiani, a servizio di famiglie o piccolissime realtà produttive, e solo l’1% del consumo di energia elettrica. Avrebbe significativi effetti sulle filiere produttive distribuite, impatti occupazionali importanti e genererebbe risparmi a favore dei più deboli, con un aggravio per i consumatori non soggetti del tutto irrilevante.

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