Una roadmap per una California al 100% a fonti rinnovabili

Uno studio della Stanford University, non commissionato da enti od organizzazioni, ha sviluppato una roadmap per rendere completamente carbon-free entro il 2050 tutti i consumi energetici della California. Elettrificazione dei consumi, produzione per il 55% da solare, per il 35% da eolico e per il restante 10% da idroelettrico, geotermico ed energia del mare.

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Una superficie del 30% maggiore dell’Italia, 38 milioni di abitanti, una produzione elettrica di circa 200 TWh, di cui il 45% generata dal gas naturale; il 17% da rinnovabili, consumi elettrici sono pari a poco di 300 TWh. Stiamo parlando della California, per alcuni aspetti non così lontana dall’Italia.

Lo Stato americano avrà una scelta da fare nel futuro: essere costretta a dimezzare l’uso delle fonti fossili, sempre meno disponibili, rispetto al 20° secolo o accelerare per una copertura dei fabbisogni energetici con le fonti rinnovabili. E’ su queste basi che un recente studio della Stanford University, non commissionato da alcun ente o organizzazione, ha presentato una roadmap per rendere completamente carbon-free entro il 2050 tutti i consumi energetici della California: elettrici, termici, per il raffrescamento, per il trasporto e industriali. La produzione si baserebbe per il 55% sul solare, per il 35% sull’eolico e per il restante 10% su impianti idroelettrici, geotermici e dall’energia del mare. L’approccio WWS,  wind, water e sunlight generation.

Mark Z. Jacobson, docente di ingegneria civile e ambientale alla Stanford di Palo Alto, è il coordinatore dello studio, oltre che direttore dello Stanford’s Atmosphere/Energy Program. Un passaggio chiave alla completa conversione energetica californiana è per il 2030, anno cui almeno l’80% dei consumi energetici, per la quasi totalità elettrificati, dovranno essere coperti da rinnovabili. Anche grazie ad alcuni interventi di efficienza energetica, la domanda finale di elettricità della California verrebbe ridotta di circa il 44%, con una stabilizzazione dei prezzi visto l’utilizzo di fonti con combustibile a costo zero.

Gli autori dello studio, pubblicato sulla rivista Energy (A roadmap for repowering California for all purposes with wind, water, and sunlight – documento a pagamento), hanno anche calcolato esattamente in uno scenario un mix che prevede quali e quanti impianti di produzione potrebbe soddisfare la domanda al 100%. Ecco l’esempio:

  • 25.000 turbine eoliche da 5 MW
  • 1.200 impianti di solare a concentrazione da 100 MW
  • 15 milioni di sistemi fotovoltaici residenziali da 5 kWp su tetto
  • 72 impianti geotermici da 100 MW
  • 5.000 turbine o apparecchiature da 750 kW per lo sfruttamento dell’energia delle onde
  • 3.400 turbine da 1 MW per lo sfruttamento delle maree

La completa conversione energetica, stimano dalla Stanford University, creerebbe fino al 2050 oltre 220mila posti di lavoro in più rispetto a quelli persi, con un beneficio netto per le casse statali di 12 miliardi di dollari all’anno. Inoltre si eliminerebbero in media ogni anno 12.500 morti premature causate dall’inquinamento atmosferico e si eviterebbero da 31 a 232 miliardi di $ all’anno di costi sanitari che rappresentano attualmente, rispettivamente dall’1,5 al 11,2% del Pil della California (oltre a circa 48 miliardi/anno di contributi dello Stato al 2050 per costi relativi al global warming). In pratica questi benefici (in media 150 mld/anno di $) potrebbero consentire in circa 7 anni gli investimenti di tutte le installazioni di impianti a fonti rinnovabili necessarie, per un costo totale di circa 1.100 miliardi di $.

L’impatto sul territorio delle nuove infrastrutture energetiche, principalmente solari, sarebbe pari a circa lo 0,9% della superficie della California. Se consideriamo anche l’area fra le turbine eoliche, che comunque potrebbe essere utilizzata anche a fini agricoli e per il pascolo, va aggiunta una quota di territorio del 2,7%.

Lo scenario 100% rinnovabili californiano ipotizzato (vedi simili piani realizzati per gli Stat Uniti), prevede un trasporto con tutti veicoli elettrici alimentati con batterie e/o celle a combustibile, un massivo utilizzo di pompe di calore geotermiche ed elettriche per la climatizzazione e la produzione di acqua calda sanitaria; l’alta temperatura per i processi industriali ottenuta con l’elettricità da rinnovabili e la combustione dell’idrogeno.

Lo studio prende in considerazione anche diversi metodi di gestione intelligente, anche della domanda, per rendere affidabile la rete alimentata ovviamente da fonti intermittenti come sole e vento. Tra le strategie c’è anche il sovradimensionamento della capacità di picco al fine di minimizzare i momenti in cui la potenza è inferiore alla domanda.

Questa analisi della Stanford University arriva appena dopo la valutazione da parte della US Energy Information Administration della enorme sovrastima del giacimento di shale oil di Monterey, in California. Una sovrastima non da poco visto che nel giacimento non ci sono 13,7 miliardi di barili recuperabili, come si credeva, ma solo 600 milioni, cioè il 95% in meno. Un colpo mortale al mito del petrolio da scisti che ha pervaso anche la California. Dopo il down-writing di Monterey la bolla dello shale oil and gas, che molti osservatori annunciano da tempo, potrebbe essere ancora più vicina a causa anche del fatto che il declino della produzione di questi pozzi è troppo rapido per mantenere una produzione costante senza investimenti veramente ingenti e dal notevole impatto ambientale. Ecco perché serve il ‘piano B’, e non solo per la California.

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