Il verde urbano come ‘rifiuto’: un paradosso che ci costa molto caro

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Una definizione del Ministero dell'Ambiente costringe a smaltire in discarica o all'inceneritore le potature e gli altri scarti della gestione del verde urbano. Trasformando in un costo quella che per i Comuni potrebbe essere una risorsa da utilizzare anche per mettere in sicurezza il territorio. Uno spreco da diverse centinaia di milioni di euro.

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Mettiamo un Comune che taglia le siepi del parco. In un paese diverso potrebbe vendere le potature a un impianto a biomassa, guadagnandoci. In Italia è costretto a pagare per smaltirle in discarica o all’inceneritore. Un paradosso che costa ai nostri enti locali diverse centinaia di milioni di euro all’anno. La colpa è di norme e definizioni in contrasto tra loro: il Ministero dello Sviluppo Economico definisce queste biomasse “sottoprodotti” e quindi utilizzabili ai fini energetici, con tanto di specifico incentivo maggiorato. Il Ministero dell’Ambiente, e precisamente della Direzione Generale dei Rifiuti, invece, ha stabilito che queste biomasse sono da considerare “rifiuti”.

Insomma, le potature del verde urbano vanno in discarica o all’inceneritore, utilizzarle diversamente vuol dire smaltire rifiuti in maniera illegale: con tutte le conseguenze del caso. Solo una modifica successiva al decreto legge Terra dei fuochi (il comma 6, articolo 5 del D.L. 136 del 2013, convertito con la legge 6 del 2014) fa sì che chi brucia “rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali”, pur essendo questi considerati “rifiuti urbani” vada incontro a sanzioni amministrative anziché commettere un reato penale.

“Ogni giorno – ci spiega Walter Righini, presidente di Fiper – amministratori di piccoli e medi comuni ci contattano perché vorrebbero poter vendere questi sottoprodotti e quindi trasformare un costo in una voce di ricavo nel bilancio comunale, soggetto al rispetto del patto di stabilità. Per fornire un ordine di grandezza economico, solo sulla partita del verde pubblico il quantitativo disponibile si attesta intorno ai 3-4 milioni di tonnellate/anno con un costo di smaltimento di circa 180-240 milioni di euro a fronte di un possibile ricavo, in caso di utilizzo energetico, di 80-120 milioni. Il beneficio economico complessivo per l’Amministrazione pubblica italiana potrebbe aggirarsi tra 240-360 milioni di euro all’anno, senza contare la biomassa proveniente dalla gestione del territorio, ovvero pulizia degli alvei e argini fluviali, mareggiate e altri eventi atmosferici.”

Con il decreto 6 luglio 2012, sugli incentivi alla rinnovabili elettriche, infatti, si è riconosciuto un bonus sulla tariffa incentivante per la produzione di energia, se l’operatore utilizza, quali biomasse, i cosiddetti “sottoprodotti”: dagli avanzi di ristorazione e dell’industria agroalimentare, alle potature del verde urbano sino agli scarti di lavorazione del legno. Peccato che, come detto, questi materiali siano contemporaneamente anche “rifiuti” con le complicazioni del caso. Per chiarire la situazione si attende un decreto apposito, il cosiddetto “decreto sottoprodotti”.

Si era iniziato a lavorarci con il governo Letta, ma poi tutto si è incagliato. Al ministero dell’Ambiente si era istituito un tavolo di confronto tecnico con gli operatori per definire i requisiti in ottemperanza dell’art. 184 bis del Testo Unico Ambientale, attraverso cui un materiale può essere considerato sottoprodotto nel rispetto dell’ambiente e della salute. Poi, cambiato governo, il silenzio.

Intanto lo spreco continua: si paga per smaltire materiali che potrebbero essere valorizzati direttamente, e le potature del verde urbano non sono l’unico caso. “Ad esempio se la frazione organica dei rifiuti potesse essere valorizzata direttamente, ristoratori e albergatori potrebbero risparmiare il 30-40% sulla Tares. In Svizzera si fa così, trasformando gli avanzi di ristorazione di alberghi e ristoranti in biogas naturale”, spiega Righini.

“Sulla questione degli scarti alimentari – ribatte Marino Berton, segretario uscente si AIEL, l’associazione italiana energia dal legno – la questione è più complicata, bisognerebbe istituire un sistema di certificazione terzo, per garantire che l’albergatore, o chi per lui, faccia correttamente la differenziata. Ma per il verde urbano basterebbe veramente inserire una frase nella norma: ‘la frazione legnosa (dei residui di gestione del verde urbano, ndr) è sottoprodotto utilizzabile a fini energetici’.”

Altro tassello su cui Berton insiste è quello del riconoscimento dello status di sottoprodotto, e dunque dell’incentivazione maggiorata, anche per il cippato da gestione forestale: “E’ chiaro che si tratti di un sottoprodotto, perché è lo scarto di un processo per ottenere legname da costruzione o legna da ardere, che hanno comunque un valore commerciale superiore. Premiare il cippato da gestione forestale renderebbe economicamente più sostenibile la gestione dei boschi, con evidenti ricadute per la sicurezza del territorio”.

“Anche la pulizia degli alvei, dei margini fluviali e degli altri corsi d’acqua presenti sul territorio potrebbe essere garantita attraverso il recupero della biomassa legnosa da impiegare a fini energetici – aggiunge Righini – e sarebbe una buona idea dato che investire in misure per ridurre le inondazioni rappresenta una soluzione estremamente efficace, con un costo dalle 6 alle 8 volte più basso rispetto a quello per rimediare ai danni causati dalle alluvioni. Lo dice uno studio pubblicato nei giorni scorsi dalla Commissione Europea. Da tempo abbiamo segnalato l’importanza della filiera legno-energia per garantire a costo zero la gestione del territorio. Negli ultimi 5 anni, infatti, le centrali di teleriscaldamento a biomassa legnosa, hanno iniziato ad approvvigionarsi di biomassa locale proveniente dalla manutenzione boschiva, garantendo un valore economico alla gestione dei boschi incendiati, affetti da parassiti o abbandonati.”

Risolvere il paradosso dei sottoprodotti considerati rifiuti o non valorizzati, oltre a dare una boccata di ossigeno ai bilanci delle amministrazioni comunali, sarebbe un ottimo investimento anche per difendere il nostro fragile territorio. D’altra parte la “valorizzazione delle biomasse legnose” è anche una delle proposte del Commissario straordinario per la revisione delle spese per ridurre la spesa pubblica.

Cosa aspettiamo?

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