Legambiente a Renzi: ecco le prime 101 opere #sbloccafuturo

  • 20 Giugno 2014

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Legambiente ha individuato nel territorio italiano 101 cantieri bloccati per responsabilità di vario genere. Trasporti, riqualificazione urbana e rischio idrogeologico sono i settore più coinvolti. I dati sono raccolti nel dossier #sbloccafuturo. Riportiamo il comunicato dell'associazione.

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Centouno piccole e medie opere incompiute, utili al territorio e ai cittadini raccolte nel dossier #sbloccafuturo, così Legambiente risponde alla sfida lanciata dal Premier Renzi ai sindaci d’Italia per individuare procedimenti fermi da anni, per ritardi o inconcludenze di settori diversi della Pubblica Amministrazione.

L’associazione ha individuato nel territorio italiano un primo blocco di 101 cantieri che ancora non hanno visto la luce per responsabilità diverse. La voce più consistente riguarda il sistema dei trasporti (ferrovie, trasporti urbani, mobilità dolce), insieme alla messa in sicurezza del territorio dal rischio idrogeologico. A seguire, bonifiche, depurazione, riqualificazione urbana, sicurezza sismica, abbattimento di manufatti abusivi, impianti per chiudere il ciclo dei rifiuti. 

Le opere individuate da Legambiente sono tra di loro molto diverse, sia per impegno finanziario che per consistenza dell’intervento. La più drammatica è senza dubbio la situazione che si sta determinando a L’Aquila e negli altri 56 Comuni colpiti dal terremoto 2009, dove il finanziamento di centinaia di progetti, già approvati e pari circa ad un miliardo di euro, sono bloccati dal patto di stabilità europeo. Ma l’oscar del paradosso se lo aggiudicano a pari merito il progetto dell’idrovia Padova-Venezia, avviato nel lontano 1963, e l’abbattimento dell’albergo sulla scogliera di Alimuri, a Vico Equense, la cui procedura di abbattimento è partita anch’essa nel 1963. Mentre il premio per la ‘follia’ più contraddittoria spetta a due progetti siciliani, due impianti di compostaggio a Ragusa e Vittoria bloccati l’uno dalla mancanza di personale per farlo funzionare e l’altro dalla mancanza della cabina elettrica, proprio in una delle regioni maggiormente martoriate dalla disoccupazione e che ha ancora la quota di raccolta differenziata più bassa d’Italia.

Ma al di là delle situazioni paradossali ed estreme, il viaggio per l’Italia bloccata conferma alcuni ostacoli noti. E’ il caso del patto di stabilità interno che blocca opere di ogni tipo e di differenti livelli di impegno tecnico e finanziario, dalla bonifica dall’eternit di Casale Monferrato, una delle bonifiche simbolo della nostra era, alla ristrutturazione della Circumvesuviana, al risanamento della galleria cittadina Montebello–piazza Foraggi a Trieste. Non mancano neanche esempi di opere necessarie e previste, ma per le quali il problema è rappresentato dalle risorse finanziarie. Risorse che mancano e impediscono l’ammodernamento della linea ferroviaria Torino-Cuneo-Ventimiglia-Nizza o la chiusura dell’anello ferroviario di Roma, dove dal 1990 si aspettano 5 km di collegamento ferroviario per “chiudere il cerchio”.

Ci sono casi in cui le risorse vengono spostate da un progetto all’altro, come a Torino, dove i fondi stanziati per migliorare il sistema ferroviario metropolitano sono stati utilizzati per coprire gli extracosti legati al completamento della linea 1 della metropolitana, o a Bologna, dove sono stati puntualmente stornati su altri progetti i fondi destinati inizialmente al completamento del Servizio Ferroviario Metropolitano (SFM). Non mancano ovviamente risorse finanziarie perse o a rischio, soprattutto quelle di origine europea. Come nel caso della ferrovia Roma–Nettuno, dove sono ad alto rischio i fondi del POR 2007-2013, o, ancora più drammatico, se possibile, il rischio che in Sicilia si perda quasi un miliardo di fondi europei per fogne e depuratori. In questi casi ci si scontra spesso con l’incapacità progettuale degli enti locali e con la confusione istituzionale. Lo stesso avviene in Basilicata dove, sempre per responsabilità della Regione, è bloccata la bonifica della Val Basento.

Sotto il titolo di “inadempienze” della pubblica amministrazione si nascondono molteplici tipologie di blocco. Spesso è l’inerzia degli enti locali che dovrebbero progettare, coordinarsi, impegnare i fondi come in Valle d’Aosta per il collegamento ferroviario con il Piemonte, o nell’area delle Olimpiadi invernali di Torino, dove i comuni non si accordano su come impegnare i fondi per la riqualificazione energetica delle strutture, o nel Conero dove l’inerzia per il risanamento di un percorso turistico è dettata dalla totale indifferenza del Comune. Non mancano i casi in cui le opere sono bloccate dalla mancanza delle autorizzazioni ministeriali, come per la bonifica di Porto Torres (Ministero dell’Ambiente), o a Taranto dove non si riescono a costruire i 750 metri che mancano per collegare il porto alla rete ferroviaria nazionale perché il soggetto attuatore (RFI) è in attesa di sapere dai ministeri competenti (Ministero dello sviluppo economico e delle Infrastrutture) se per tale opera si debba o meno chiedere la Notifica sugli aiuti di stato da parte della UE. Ma sul terreno dell’inerzia la situazione più paradossale è forse quella del Mar Piccolo a Taranto, dove la bonifica prevista da anni rischia di rimanere congelata dal pensionamento del Commissario, una situazione facilmente prevedibile, ma per risolvere la quale non si è fatto assolutamente nulla nei tempi utili.

Ma più spesso ci si trova di fronte alla guerra delle competenze e al gioco dei rimpalli. In alcuni casi l’opera è bloccata dal passaggio di competenze da un livello istituzionale all’altro, come per la bonifica de La Maddalena, abbandonata dallo Stato con il trasferimento del G8 a L’Aquila ed ora in carico al Comune. Il problema più diffuso sono le competenze che si sovrappongono, non si coordinano, entrano in conflitto tra un livello e l’altro, come per la ciclovia abruzzese, bloccata dalla mancanza di coordinamento tra comuni, province e regione, o il collegamento ferroviario del porto di Gioia Tauro con la rete ferroviaria nazionale, dove l’opera è bloccata dai contrasti tra RFI, autorità portuale, comune, provincia e regione. Oppure si consuma un conflitto suicida tra livelli paralleli, come tra i comuni salentini in guerra per lo sbocco finale di un sistema di depurazione intercomunale ormai completato.

Infine c’è il grande blocco provocato da contenziosi infiniti tra ditte e pubblica amministrazione, dove a farne le spese sono i cittadini o l’ambiente. A Lampedusa i lavori di ammodernamento del depuratore sono bloccati dal contenzioso della vecchia ditta che gestiva l’impianto con il Comune, a Posada il contenzioso tra la Maltauro (la ditta recentemente coinvolta nello scandalo Expo 2015) e l’ente appaltante, il Consorzio di Bonifica della Sardegna Centrale, blocca ormai da più di tre anni la diga Maccheronis per l’ampliamento del lago sul Rio Posada, o, risalendo lungo la Penisola, in Liguria è bloccato il rifacimento della tratta ferroviaria Genova–Ventimiglia, che si sarebbe dovuto concludere nel 2010 ed i cui lavori sono stati interrotti per anni per un contenzioso fra l’ente appaltante (Italferr) e l’impresa spagnola Ferrovial Agroman, che ha portato al sequestro preventivo dei cantieri.

Non mancano ovviamente opere bloccate dall’intervento della magistratura, come a Bagnoli, o dalle Soprintendenze, ma forse l’oscar dell’incongruenza lo vince l’impianto eolico off-shore di Termoli previsto a 6 km dalla costa e bloccato da veti e ricorsi di soprintendenza, comuni e regione, contro un impianto che solo con un buon binocolo sarebbe possibile apprezzare dalla costa.

“Da questo racconto dell’Italia contemporanea, ma non moderna, emerge una vera e propria giungla di veti incrociati, di inadempienze, rimpalli e contenziosi, di pessima progettazione, che davvero mette la questione delle risorse all’ultimo posto della graduatoria degli impedimenti –sottolinea il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza-. Eppure questa macchina così efficace nel perseguire l’obiettivo del ‘blocco ad oltranza’ non è riuscita a risparmiare al Paese le assurdità del Mose o delle grandi navi nella Laguna di Venezia, del moltiplicarsi delle centrali a carbone o di autostrade inutili. Le fallimentari esperienze della legge sblocca centrali e della legge obiettivo hanno dimostrato che non servono leggi ‘liberatutti’. Serve piuttosto un disegno lungimirante ed innovativo capace di costruire intorno al risparmio di materia ed energia, intorno alla rigenerazione urbana, alla riduzione della dipendenza dal fossile, un new deal italiano capace di rilanciare il paese nella competizione internazionale e far recuperare il tempo perduto sul piano della ricerca, dell’innovazione, delle politiche industriali che producano lavoro qualificato. Insomma – conclude Cogliati Dezza -, perché Sblocca Italia diventi davvero #sbloccafuturo occorre che gli interventi normativi, le semplificazioni, gli standard di prestazione rispondano ad un chiaro disegno di trasformazione del paese nella direzione dello sviluppo di un’economia circolare e low carbon”.

Nel decreto Sblocca Italia che il Governo ha annunciato per fine luglio – secondo Legambiente – dovranno trovar spazio regole e procedure per la realizzazione di opere la cui mancata realizzazione pesa negativamente sulla salute dei cittadini, sulla loro libertà di movimento, sulla possibilità di migliorare la qualità della vita, l’economia locale e nazionale.

Con la presentazione delle prime 101 opere #sbloccafuturo Legambiente propone una riflessione ed apre un tavolo di lavoro: “Chiediamo ai sindaci di aiutarci ad individuare tutti gli ostacoli che in Italia bloccano le opere utili per i cittadini ed il territorio, per proseguire insieme nella segnalazione al Governo Renzi di cosa davvero serve al Paese e apre nuove e significative prospettive di sviluppo”.

Il dossier integrale è scaricabile all’indirizzo http://www.legambiente.it/sblocca-futuro 

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