L’Italia e l’energia rinnovabile: investitori alla finestra per l’incertezza normativa

Nel mondo le rinnovabili attraggono nuovi investitori. L'Italia avrebbe ancora molto da offrire, ad esempio, nel mercato O&M del fotovoltaico in grid parity. Ma proposte come lo spalma-incentivi e quei vaghi interventi ventilati sull'autoconsumo scoraggiano investitori nazionali ed esteri. “L'incertezza normativa tiene i capitali alla finestra”, spiega Andrea Gilardoni, presidente OIR.

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Le rinnovabili in tutto il mondo stanno attirando nuovi investitori: da una parte le grandi utility si stanno sempre più rendendo conto che fonti pulite ed efficienza energetica sono il futuro, dall’altra cresce il ruolo dei soggetti finanziari, come fondi pensione e società di assicurazione. Se i mercati più attraenti sono nei paesi in via di sviluppo, anche l’Italia ha ancora molto da offrire.

Ad esempio un mercato dell’O&M da 2,8 miliardi l’anno e un potenziale molto interessante per il fotovoltaico in grid parity. Peccato ci sia questa forte incertezza normativa. Si vedano le recenti minacce di spalma-incentivi obbligatorio e l’intenzione di intervenire sugli oneri per l’autoconsumo, tutte proposte che tengono gli investitori alla finestra. In questa intervista la visione di Andrea Gilardoni, presidente di OIR, l’Osservatorio Internazionale sull’Industria e la Finanza delle Rinnovabili, che sul tema sta preparando un convegno dal titolo “I nuovi investitori nelle rinnovabili. Modelli di business in un mercato in evoluzione”, che si terrà il 1 luglio a Milano.

Professor Gilardoni, come sta cambiando a livello globale il mondo delle rinnovabili e quali sono le attività e i mercati che stanno attirando più investimenti?

A livello globale le rilevazioni dell’Osservatorio OIR mostrano come il mercato delle rinnovabili stia ancora crescendo a ritmi elevatissimi. Nel 2013, con l’entrata in funzione di 120 GW, per un investimento complessivo di 214 miliardi di dollari, è stato sfondato il tetto dei 1.500 GW di capacità installata. Nel mondo si registrano però differenze profonde. In Europa, dove i consumi calano e la sovraccapacità sembrerebbe ormai strutturale, la crescita delle installazioni sta rallentando. Al contrario, nei paesi in via di sviluppo è in atto un vero e proprio boom. Su tutti, si guardi alla Cina che nel 2013 ha fatto segnare il record storico per le installazioni idroelettriche, +29 GW, ed è stata la numero uno nel fotovoltaico con 11 GW addizionali. Nei paesi emergenti le rinnovabili sono viste come strumento efficace sia per elettrificare le aree rurali, con fotovoltaico, accumuli e piccole biomasse, che per dipendere meno dai grandi esportatori di gas, petrolio e carbone; ad esempio con l’idroelettrico, i grandi impianti eolici e il solare termodinamico.

E nella realtà italiana, quali sono i settori che continuano ad attrarre capitali? Quali sono gli aspetti del mercato italiano che più attraggono gli investitori e quali quelli che li spaventano?

In Italia la situazione è complessa. Negli anni scorsi le rinnovabili sono cresciute molto, probabilmente troppo. Oggi, anche per la situazione di sovraccapacità, è difficile immaginare spazi importanti di sviluppo, se non per impianti di piccola taglia, soprattutto fotovoltaico e biomasse. Vi è però uno spazio enorme per l’efficientemento del parco esistente che spesso è stato costruito in fretta e con tecnologie che in molti casi possono considerarsi largamente superate. Il VI Rapporto OIR calcola che il mercato O&M per gli impianti rinnovabili in Italia valga 2,8 miliardi di euro l’anno. Insomma, il messaggio potrebbe essere questo: limitiamo le nuove installazioni e miglioriamo ciò che c’è. Ciò è vero anche nelle rinnovabili “tradizionali” come l’idroelettrico. Insomma, spazi per investimenti ci sono ma le reiterate dichiarazioni governative su interventi che sembrerebbero destinati a scompaginare il mondo delle rinnovabili, come il cosiddetto spalma-incentivi, tengono gli investitori alla finestra.

Quali sono le principali tipologie di investitori che stanno mostrando interesse nel mondo dell’energia pulita a livello globale?

Se prima il mercato mondiale era dominato da tante piccole “boutique tecnologiche”, oggi il settore si sta industrializzando e concentrando. Stanno emergendo soggetti di dimensione sempre più grande, e non solo legati al mondo tradizionali dell’energia, come Enel o RWE. Sta crescendo il ruolo dei soggetti finanziari come fondi pensione e società di assicurazione. Innanzitutto, hanno una grande dotazione di liquidità: le disponibilità dei fondi pensione nel mondo ammontano a 22.000 miliardi di dollari, mentre le società di assicurazione hanno asset per 25.000 miliardi di dollari. In secondo luogo, sono sempre più interessati agli investimenti infrastrutturali di lungo periodo, come le rinnovabili, anche perché gli impieghi tradizionali ormai rendono sempre meno. Il fondo pensione danese PensionDanmark (che illustrerà operazioni e filosofia al VI Workshop Annuale OIR, ndr) ha partecipazioni in asset eolici per quasi 2 GW, mentre Allianz detiene oltre 1 GW di rinnovabili. AXA, poi, è il più grande produttore eolico indipendente della Francia. Da tenere sott’occhio anche i fondi sovrani che si stanno sempre più interessando alle fonti rinnovabili. Ciò, nella duplice ottica di far sviluppare l’industria nazionale e di diversificare il portafoglio investimenti. Il fondo norvegese Norfund, focalizzato sui paesi in via di sviluppo, oramai produce 6 TWh da rinnovabili in tutto il mondo.

E in Italia?

In Italia è in atto un importante processo di concertazione, soprattutto nell’eolico e nel fotovoltaico. Nell’eolico i poli di aggregazione sono costituiti soprattutto dai grandi produttori di energia, come ad esempio ERG. Nel fotovoltaico, il settore più frammentato, è invece il mondo della finanza che sta aggregando piccoli e medi impianti. In prima linea sono soprattutto i fondi infrastrutturali, si pensi alle acquisizioni di Antin, F2i o Terra Firma e, in misura minore, le assicurazioni. Per quanto riguarda queste ultime, bisogna purtroppo segnalare come solo i player stranieri si stiano muovendo in Italia: ad esempio AXA, Munich Re e Allianz. I fondi pensione, invece, sono alla finestra. Quelli italiani hanno delle restrizioni agli investimenti infrastrutturali e, soprattutto, non hanno le competenze per realizzarli; quelli esteri sono preoccupati dai continui mutamenti del quadro regolatorio e legislativo italiano. Purtroppo quest’ultimo punto sta scoraggiando un sempre maggior numero di investitori ed è il vero punto critico da risolvere per attrarre nuovi capitali.

Il fotovoltaico non incentivato in Italia è già conveniente con adeguati livelli di autoconsumo, ma l’ostacolo più grande è quello dei finanziamenti: come si potrebbe superare?

Come dicevamo, le risorse finanziarie non mancano ad anzi ingentissimi capitali sono alla ricerca di buoni investimenti. L’Italia comincia ad attirare un po’ di più che gli scorsi anni. Ma il problema rimane la diffusa incertezza normativa. In particolare, l’ostacolo più grande è capire quanto si pagherà per gli oneri di rete. E’ un punto che va assolutamente risolto in modo non ambiguo: terminologie quali “crescenti nel tempo” certo non aiutano a fare chiarezza (il riferimento è alla bozza di interventi uscita dal MiSE qualche settimana fa, in cui si prevede che “i titolari di Riu, Seu e Seseu verranno chiamati a contribuire ads una quota parte degli oneri – inizialmente di circa il 10%, crescente nel tempo”, ndr). Con un quadro regolatorio stabile è molto più facile spiegare nero su bianco alle banche i risparmi attesi e i ricavi derivanti dalla vendita di energia in rete, rendendo così molto più agevole il finanziamento. Si potrebbero creare poli aggregatori di domanda, specie nelle PA o nelle PMI: più soggetti che si mettono insieme per “fare massa” e ottenere così condizioni più agevoli per il finanziamento, oltre che ottenere sconti quantità con i fornitori.

Com’è il rapporto tra le grandi utility italiane e le rinnovabili? Le si vede solo come un concorrente o anche come un’opportunità?

Nelle utility italiane, ma anche nelle europee, vi è una sorta di ambivalenza. All’interno dei grandi produttori convivono ancora il “vecchio management” legato ai grandi impianti e ai combustibili fossili e il “nuovo management” che vede il futuro nelle rinnovabili e nell’efficienza energetica. Ci sembra che queste due anime siano, in un certo senso, “costrette” a convivere. La “vecchia guardia” sa bene che le rinnovabili sono quasi le uniche che crescono e generano importanti flussi di cassa, mentre la “nuova guardia” è consapevole che avere un grande gruppo alle spalle rende tutto più facile, in primis il rapporto con le banche e i fornitori. Ma il quadro sta cambiando: i nuovi vertici sia delle grandi utility italiane, sia delle maggiori ex municipalizzate potrebbero imprimere un deciso cambiamento che va di pari passo alla necessità di una profonda revisione strategica di fronte ai forti cambiamenti del mercato.

Secondo alcuni analisti sono i grandi distributori i soggetti più adatti a vendere servizi energetici, come interventi di efficienza energetica o impianti di fotovoltaico o cogenerazione in autoconsumo nei SEU. La nuova dirigenza di Enel ha dichiarato di volersi muovere in questa direzione. Ritiene che lo farà e che altre grandi aziende la seguiranno? Quale impatto potrebbe avere questo sul settore?

Altre aziende seguiranno. Questo è il futuro. In un mercato energetico con consumi in calo, sovraccapacità e aumento esponenziale della concorrenza, si pensi ai nuovi trader come Illumia o Green Network, solo per citare i più noti mediaticamente, offrire qualcosa in più è la sola strada per la customer retention e per espandere la base clienti. Enel si sta muovendo molto, e non è la sola. Pensiamo a ENI o, prendendo un esempio fuori dai patri confini, alle offerte commerciali estremamente diversificate di GDF Suez. Bisogna tuttavia sottolineare come l’estensione dell’offerta non sia cosa semplice da mettere in pratica. Occorrono strutture ad hoc, ripensare alla rete di vendita, creare nuove competenze, interagire i modo diverso con il cliente e, soprattutto, un cambio radicale di mentalità. Le utility devono ripensare al loro posizionamento strategico e porsi come full service provider e non solo erogare kWh o metri cubi a clienti con cui magari si hanno sono modestissime interazioni. La partita è aperta, anzi è già in corso. E chi non si muove bene, anche tra i grandi, nel giro di pochi anni potrà entrare in crisi ancora più gravi di quelle attuali.

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