Il taglia-bollette in arrivo e la strategia fossile del ministro Guidi

Il ministro dello Sviluppo Economico annuncia che il pacchetto taglia-bollette arriverà il 20 giugno e sarà “frutto di una consultazione con diversi stakeholders”. Ha prospettato una visione parziale sul futuro dell’energia di questo paese, rimanendo attaccata a vecchi paradigmi e agli interessi dell'industria energetica convenzionale.

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Il Ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi ha dichiarato ieri nel corso dell’assemblea di Confindustria di essere in dirittura di arrivo per la presentazione un pacchetto di norme che puntano alla riduzione del 10% della bolletta elettrica che sarà parte, nelle prossime settimane, di un complesso di misure specifiche per la competitività delle PMI. Il ministro ha specificato anche che il pacchetto energetico sarà frutto di un lavoro di consultazione con diversi stakeholders e che il piano per la riduzione della bolletta che andrà a toccare, tra l’altro, sicuramente anche gli incentivi sulle rinnovabili, dovrebbe essere pronto entro il 20 giugno.

“È mia intenzione compiere, per la prima volta, un’ampia opera di equità tariffaria, limando tutte le forme di sovra-remunerazione di cui molti attori ancora godono”, ha detto Federica Guidi, che ha dichiarato che vorrà operare “riducendo l’entità dei sussidi incrociati tra categorie di consumatori, e chiedendo a tutti di rinunciare a qualcosa per evitare che qualcuno debba rinunciare a tutto, come purtroppo è accaduto alle tante PMI che sono entrate in difficoltà anche a causa degli elevati costi energetici”. Affermazione che andrebbe chiarita visto che, se è vero che le nostre PMI pagano il 30% in più l’elettricità rispetto alla media UE, soltanto per il 3,8% delle imprese il costo dell’energia elettrica supera il 3% del proprio fatturato.

L’intervento del Ministro Guidi ha dimostrato che quel ministero continua ad avere una visione parziale sul futuro dell’energia di questo paese, ripiegata su vecchi paradigmi. Se la prende principalmente con gli oneri in bolletta. Secondo la Guidi “il combinato disposto tra sviluppo delle rinnovabili e calo della domanda, unita alla riforma del mercato gas, ha avuto un effetto di contenimento sui prezzi, ma tale riduzione della bolletta elettrica nazionale, pari a circa 3 miliardi nel 2013, è stata più che controbilanciata dall’aumento degli oneri di sistema, ormai prossimi ai 13 miliardi l’anno”. Non ci sono però indicazioni per politiche più aggressive sull’efficienza energetica (anzi su efficienza e risparmio nemmeno una parola) e sulla necessaria riduzione della componente energia; ed è qui che ci sarebbe uno dei ruoli delle energie rinnovabili, che vanno installate e non bloccate, soprattutto in autoconsumo, ora che non ci sono più incentivi o si stanno riducendo drasticamente.

La visione passatista del ministro emerge chiaramente poi sugli idrocarburi italici. “Riprendere le esplorazioni di idrocarburi è un passaggio a cui non possiamo rinunciare per arrivare a una bolletta energetica più leggera e sostenibile”, ha spiegato. “Non mi appassiona molto l’impostazione data al dibattito sulla ricchezza nel nostro sottosuolo – ha detto – il problema non è capire se le risorse disponibili sono o non sono molte. Il problema, al contrario, è sfruttarle appieno”. Qualcuno dovrebbe però spiegare al ministro che estrarre risorse all’interno del territorio nazionale, spesso anche da parte di società estere (che pagano le tasse fuori dall’Italia), non significa utilizzarle a livello domestico. Queste risorse, che sono comunque scarse (vedi Qualenergia.it), andranno offerte sul mercato internazionale.

Poi non manca una spolveratina sulla sicurezza ambientale, ‘temperata’ però da un attacco ai soliti comitati anti-tutto: “non possiamo permettere che intransigenze ambientaliste o resistenze locali blocchino esigenze nazionali di questa portata”. La portata, come sappiamo, sarebbe appena pari a 3 anni di attuali consumi nazionali per le riserve provate di petrolio (e i consumi petroliferi in Italia sono oggi pari a quelli della metà degli anni ‘60, quando c’erano 10 milioni di persone in meno) e di 9 mesi per quelle di gas.

Il ministro delle ‘energie fossili’ parla poi di investimenti infrastrutturali volti alla diversificazione delle fonti e delle rotte di approvvigionamento come il gasdotto Tap o alcuni rigassificatori programmati, tutte opere che, ha affermato, oltre a ridurre la bolletta energetica del paese, posso essere uno “stimolo straordinario per l’occupazione, soprattutto al Sud”. Peccato che molti studi sull’impatto occupazionale smentiscano questa tesi, soprattutto per il medio-lungo periodo, per non parlare dei costi legati agli impatti ambientali e sanitari di queste attività.

In merito ai rigassificatori va ricordato che al momento ce ne sono solo due, quello di Rovigo, che lavora metà della sua capacità e quello di Livorno (OLT), il più recente, che finora non ha mai funzionato. Vista la domanda di gas in contrazione da tre anni non si capisce proprio a cosa possano servire altri investimenti di questo tipo, che hanno alla fine costi tripli rispetto alla media dei rigassificatori tipo presenti nel mondo e che per buona parte potrebbero essere scaricati sulla collettività. Vedi il famigerato fattore di garanzia per l’impianto di Livorno: cioè diritto a un rimborso pari fino al 71% della loro capacità nel caso non riuscissero a vendere tutto il gas previsto. Alla faccia della libera concorrenza.

I consumi di gas, come detto, sono in calo e per una ancora piccola parte (circa 20 miliardi di metri cubi di gas) sono oggi sostituiti dalle fonti rinnovabili. Uno dei problema è il prezzo del gas russo che paghiamo una decina di centesimi al metro cubo in più dalla scoppio crisi dell’Ucraina. Tuttavia va ricordato che il totale consumo di gas rappresenta circa il 25% dei consumi energetici italiani e il gas russo è solo pari ad un terzo di questo 25 per cento. Ciò darebbe quei giusti margini di azione per un piano di medio periodo che preveda bilanciate riserve di gas, efficienza energetica e sviluppo delle rinnovabili con conseguenti benefici reali al sistema paese in termini di sicurezza, risparmio, ambiente e occupazione. La fattura energetica dell’Italia nel 2013 è stata pari a 56 miliardi di euro (di cui 51 mld per acquisto dall’estero di petrolio e gas), pari al 3,6% del Pil. Il doppio in termini assoluti e percentuali rispetto agli anni ’90 quando si consumava più energia. Forse è questo il nodo da sciogliere per affrontare la crisi e liberare risorse per la transizione energetica.

L’Italia ha bisogno di una strategia forte con un orizzonte che va al 2030 e al 2050, obiettivi per una decarbonizzazione dell’economia, come quelli di Germania e Danimarca, che orienterebbero legislazione e investimenti fin da oggi e darebbero fiato ad un’economia asfittica. E forse anche di altro ministro.

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