Europa, rinnovabili e obiettivi 2030: cambiare o difendere l’esistente?

Cambierà la posizione su ambiente, energia e clima del prossimo Parlamento Europeo e della nuova Commissione? Probabilmente sarà diversa rispetto all’attuale, rischiando di essere meno incisiva, anche se occorrerà vedere quali saranno i futuri equilibri e quale forza e posizioni avranno i nuovi entranti. L'editoriale di Gianni Silvestrini.

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Cambierà la posizione su ambiente, energia e clima del prossimo Parlamento Europeo e della nuova Commissione? Probabilmente sarà diversa rispetto all’attuale, rischiando di essere meno incisiva, anche se occorrerà vedere quali saranno i futuri equilibri e quale forza e  posizioni avranno i nuovi entranti.

L’ultimo periodo dell’attuale gestione aveva visto dei tentennamenti. La scelta degli obiettivi al 2030 di riduzione del 40% delle emissioni climalteranti e della quota del 27% di rinnovabili sui consumi finali (invero assai poco ambiziosa) è avvenuta dopo divisioni interne della Commissione stessa.

Nella campagna elettorale questi temi non sono stati toccati, tranne che dalle forze specificatamente ecologiste, con una grave sottovalutazione delle profonde implicazioni che queste scelte avranno non solo per il settore energetico, ma anche per quelli dell’edilizia, dei trasporti, dell’industria e dell’agricoltura.

E non stupisce che le riflessioni sulla criticità della questione ucraina si siano focalizzate sul versante della sicurezza, mettendo in secondo piano l’esigenza di un rilancio delle politiche di efficienza e rinnovabili che, come già avvenuto nel recente passato, possono concretamente e significativamente ridurre la dipendenza dal gas russo.

Il dibattito sulle rinnovabili, in particolare, è viziato da una disinformazione alimentata da campagne di stampa ostili. In realtà, il futuro globale dell’energia va in quella direzione e, per una volta, l’Italia ha imboccato la strada vincente.

Perché ormai è chiaro che, in particolare per alcune tecnologie come il fotovoltaico, la crescita sarà inarrestabile e determinerà cambiamenti profondi nelle modalità della generazione elettrica a livello mondiale. In molti paesi, dal Brasile al Sud Africa, dal Cile al Messico, le rinnovabili vengono scelte perché rappresentano la soluzione più rapida e spesso anche più economica per soddisfare la fame di energia.

Questa dinamica può essere facilitata o rallentata dalle scelte governative. La Cina che lo scorso anno ha installato più potenza rinnovabile che centrali a carbone, l’India che dopo le recenti elezioni ha deciso di puntare con decisione sulle energie verdi, l’Arabia Saudita con gli ambiziosissimi programmi solari ed eolici, gli Usa, partiti in ritardo, ma che adesso hanno accelerato con decisione sulle rinnovabili, sono solo alcuni esempi di un mondo che si sta muovendo nella giusta direzione.

In Italia, invece, prevale la chiusura, il timore. Ed è un peccato perché il ruolo di punta acquisito dal nostro paese (come ci ricorda il 49% della produzione elettrica verde di aprile) potrebbe consentire alle nostre imprese di formarsi competenze sofisticate nel campo della gestione evoluta della domanda e dell’offerta di energia da rivendere nei prossimi anni a livello internazionale.

Tornando all’Europa, le prossime scelte avranno una particolare importanza. Dal nuovo volto che uscirà dalle elezioni si capirà quale sarà il ruolo della UE in vista della conferenza mondiale sul clima del prossimo anno a Parigi e quali carte potranno essere giocate per facilitare un accordo.

A livello interno, gli obiettivi climatici che verranno definiti nei prossimi sei mesi avranno inevitabilmente ripercussioni che andranno ben oltre il comparto energetico. Toccheranno in particolare il mondo delle costruzioni e quello dei trasporti. Si capirà quale sarà l’incisività con cui si andrà alla riqualificazione profonda del patrimonio edilizio del continente (a proposito, per restare a casa nostra, cosa propone la “Roadmap 2020-50” prevista dalla Direttiva sull’efficienza? Quali obiettivi, con quali strumenti?).

Sul versante dei trasporti, anche grazie anche alle soluzioni informatiche, stanno esplodendo forme di mobilità sostenibile e flessibile prima impensabili (che le proteste neo-luddistiche dei taxisti milanesi non potranno fermare). E una coraggiosa politica europea e dei singoli paesi potrebbe portare ad un rapido sviluppo anche della trazione elettrica (sempre snobbata dalla Fiat), utile anche per stabilizzare le reti in presenza di quote crescenti di rinnovabili non programmabili.

Insomma, ci aspettano grandi cambiamenti. Sapremo cogliere le occasioni o prevarrà la logica perdente di difesa dell’esistente?

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