Le bioenergie in Italia, tra impianti a filiera corta e prospettive del biometano

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Tra le bioenergie in Italia nel 2013 sono cresciuti soprattutto le biomasse agroforestali e il biogas agricolo. In entrambi i settori impianti più piccoli e legati alla filiera. Buona la prospettiva per il biometano, frenata da alcuni aspetti normativi ancora da definire. La fotografia del comparto nel nuovo report dell'Energy&Strategy Group.

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Il mercato italiano delle bioenergie – per effetto dei cambiamenti introdotti con il decreto Rinnovabili Elettriche del luglio 2012 – lo scorso anno ha mostrato di muoversi a velocità diverse: crescita positiva per biogas agricolo e biomasse agroforestali, stallo per gli inceneritori e gli impianti a oli vegetali. Intanto – grazie ai nuovi incentivi messi in campo dal relativo decreto del dicembre 2013 – si aprono nuove prospettive per la filiera del biometano, ossia il biogas raffinato in modo da poter essere immesso in rete o utilizzato nei trasporti. E’ questa la fotografia del settore italiano delle biomasse che emerge dall’ultima edizione del “Report Rinnovabili Elettriche Non Fotovoltaiche” dell’Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano, rapporto che sarà presentato domani a Milano ma che QualEnergia.it ha potuto sfogliare in anteprima.

Il DM 6 luglio 2012 sulle Rinnovabili Elettriche Non Fotovoltaiche classifica le biomasse in più gruppi a seconda della loro tipologia, ma essenzialmente distingue tra biomasse che provengono dal mondo dei «rifiuti» e biomasse derivanti dalla produzione «agricola-forestale». In generale nel 2013 ci sono state moltissime richieste per l’accesso ai Registri, riservati a impianti di medio-piccole dimensioni e uno scarso interesse sia per quanto riguarda i Rifacimenti (una sola richiesta pervenuta), che, più in generale, per gli impianti alimentati a RSU.

Le biomasse agroforestali – si legge – hanno fatto registrare numerose nuove installazioni soprattutto grazie agli impianti di piccole dimensioni, sotto ai 2 MW, e alcuni interventi di rifacimento su grandi impianti. Per ragioni tecnologiche e di efficienze di conversione energetiche ottenibili – spiegano dall’ Energy & Strategy Group – gli impianti che maggiormente si sono diffusi sono essenzialmente di due tipi: i piccoli impianti con potenza di circa 1 MW elettrico che principalmente sfruttano la tecnologia ORC (Organic Rankine Cycle) e che bene si adattano a contesti locali dove è possibile valorizzare la biomassa presente in loco, oppure i grandi impianti con potenze maggiori di 8 MW elettrici principalmente destinati alla produzione elettrica su grande scala. I piccoli impianti a biomasse agroforestali – nota il report – sono di più recente diffusione e possono essere convenienti (IRR superiori al 6%) se, da un lato, grazie anche alla filiera corta sono in grado di ottenere prezzi di acquisto della biomassa tra i 45 e i 55 €/ton e, dall’altro, sono in grado di vendere tutta l’energia prodotta non solo elettrica, ma anche termica.

Anche il biogas agricolo, nonostante un rallentamento delle installazioni dopo il record raggiunto negli anni scorsi, rimane in crescita soprattutto grazie alle soluzioni di piccola taglia. A seguito dell’introduzione del DM 6 luglio 2012, la taglia media degli impianti di recente sviluppo si è più che dimezzata rispetto all’impianto standard da 999 kW realizzato fino al 2012. La filiera si è consolidata negli ultimi anni con gli operatori che ora stanno riorganizzando la loro offerta di prodotti per seguire i nuovi sistemi di incentivazione. Alcuni operatori stranieri sono usciti dal mercato italiano per focalizzarsi su mercati esteri più redditizi.

Il rallentamento del settore del biogas potrebbe essere, almeno in parte, compensato dall’affermarsi della filiera dell’upgrading del biogas a biometano, alla quale il decreto 5 dicembre 2013 apre buone prospettive, introducendo incentivi per il biometano immesso in rete, usato per la cogenerazione o venduto come carburante per i trasporti. In Italia, a fine 2013, non erano ancora presenti impianti di upgrading, ma in Europa già alcuni Paesi hanno scommesso su queste tecnologie. Complessivamente nel Mondo sono in funzione oltre 340 impianti di upgrading e i Paesi di riferimento sono la Germania e la Svezia.

Il decreto approvato – fanno notare dall’ E&S Group – lascia tuttavia alcune questioni ancora da definire con decreti attuativi successivi o con decisioni a livello comunitario-europeo. In particolare è necessario che: sia data la definizione di FORSU (Frazione Organica Rifiuti Solidi Urban); si faccia chiarezza sul valore dei certificati di immissione in consumo di biocarburanti; si decida chi deve sostenere eventuali costi di immissione in rete del biometano prodotto (proprietario della rete vs proprietario dell’impianto).

Il mercato italiano che si delineerà avrà caratteristiche fortemente determinate dalla normativa. Infatti sono stati privilegiati, da un lato, l’utilizzo di FORSU (che finora non era stato molto sfruttato dalla filiera del biogas per la produzione elettrica) e, dall’altro, la realizzazione di nuove stazioni per la vendita diretta del biometano.

Diventa quindi fondamentale -avvertono gli autori del report – la gestione delle materie prime e la capacità di riuscire a distribuire il biometano prodotto. Sembrano quindi essere favorite le utility e le ex municipalizzate che gestiscono la raccolta e il trattamento dei rifiuti (FORSU) e che, spesso, dispongono anche di un parco veicoli offrendo servizi di trasporto pubblico.

 

 

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