Bolletta, invece di colpire le rinnovabili rendiamo il sistema più efficiente

Se il mercato elettrico fosse gestito in modo efficiente, gli utenti potrebbero beneficiare da subito di una buona parte dei 23 €/MWh di riduzione del PUN (prezzo unico nazionale) che si sono avuti anche grazie alle energie rinnovabili. Un valore che corrisponde proprio al 10% di sconto in bolletta promesso dal premier Renzi. Un intervento di Dario Di Santo, direttore generale di FIRE.

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In questi giorni il dibattito è acceso sulle misure che il Governo ha ventilato per ridurre del 10% la bolletta delle Pmi (si vedano le slide MiSE che abbiamo pubblicato ieri, ndr). In primis a lasciare perplessi è lo “spalma-incentivi” obbligatorio, misura retroattiva che – come sottolineato da diversi interventi anche su queste pagine – causerebbe difficoltà a un numero di soggetti ipotizzabile fra le migliaia e le decine di migliaia e un’ulteriore perdita di credibilità per il legislatore, a fronte di benefici discutibili. In questo contesto può essere utile chiedersi se l’unico problema siano gli oneri di sistema, visto che si parla sempre di questa componente.

Il grafico sotto mostra l’andamento delle diverse voci che compongono la bolletta dal 2004 ad oggi. Considerando i valori in vigore ad aprile 2014, al costo finale per l’utente (190 €/MWh) contribuiscono: il costo dell’energia (componente PE, 71 €/MWh); il costo del dispacciamento (14 €/MWh, che sommato a PE dà la componente PED, 86 €/MWh); la componente di commercializzazione (8 €/MWh); le tariffe di trasporto e distribuzione (30 €/MWh); gli oneri di sistema (41 €/MWh); le imposte (8 €/MWh); l’IVA (17 €/MWh).

Un primo elemento su cui porre attenzione è che la componente PE ha un valore superiore di 25 €/MWh rispetto al PUN, il prezzo unico nazionale di Borsa dell’energia elettrica, un distacco imbarazzante.

Il grafico mostra tra l’altro come questa differenza (area gialla) esista a partire dal 2009, perché in precedenza PE e PUN tendevano, correttamente, a sovrapporsi. Vero è che 4-7 €/MWh sono dovuti al fatto che il profilo di consumo del residenziale è concentrato nella giornata, quando il prezzo dell’energia è leggermente più alto, ma anche togliendo questo contributo rimangono 18-21 €/MWh su cui converrebbe concentrare l’attenzione prima di pensare agli oneri di sistema, i quali in realtà degli effetti positivi li stanno portando. Del resto anche le altre componenti di prezzo presentano tutte valori che sarebbe interessante potere ridurre.

Se il mercato elettrico fosse gestito in modo efficiente, infatti, gli utenti potrebbero beneficiare da subito di una buona parte dei 23 €/MWh di riduzione del PUN che si sono avuti da dicembre 2013 ad oggi e che sono stati causati in buona parte proprio dalla crescente presenza delle rinnovabili nel nostro mix produttivo. Un valore che, nemmeno a farlo apposta, corrisponde proprio al 10% di sconto in bolletta promesso da Renzi.

Quello elettrico è un sistema complesso, e ognuno può immaginare soluzioni differenti ai problemi esistenti, ma concentrarsi solo su una voce e su politiche redistributive non appare saggio. Piuttosto che ricorrere a politiche retroattive sarebbe meglio un bond dedicato e mirato a spalmarne il costo su più anni, che non avrebbe conseguenze sui produttori di energia rinnovabile. I costi aggiuntivi legati alla gestione di una misura di questo tipo e alla remunerazione dei sottoscrittori suggeriscono comunque un’accorta analisi costi-benefici.

Sul fronte delle proposte legislative, tagliare il costo della bolletta è di per sé lodevole, ma risulta di reale vantaggio per il Paese solo se collegato a interventi strutturali che consentano di ridurre i costi della generazione e della distribuzione dell’energia. La politica sugli sconti in bolletta finora promossa si è invece caratterizzata per l’idea di trasferire alcuni costi da una categoria di soggetti a un’altra, con dei dubbi benefici sistemici. Anche perché lo sconto riduce l’interesse all’efficienza energetica.

Volendo fare due conti su questo aspetto, è facile verificare che il beneficio riconducibile allo spalma-incentivi corrisponderebbe a un taglio nell’ordine del 5% degli oneri di sistema, che a loro volta per le PMI e le famiglie hanno un’incidenza di circa il 20%. Dunque si parla dell’1% di sconto in bolletta. Se si considera che solo 3.000 aziende su un totale di 425.000 imprese manifatturiere presentano un costo dell’energia superiore al 3% del fatturato (per consumi superiori ai 2 GWh), si deduce che per la stragrande maggioranza delle PMI, destinatarie dell’intervento governativo, il vantaggio non arriverà all’1 per mille di beneficio sui costi aziendali. Francamente poco per giustificare una misura retroattiva.

Il futuro dell’Italia, vista la sua dipendenza energetica dall’estero superiore all’80%, dovrebbe passare per una sempre maggiore diffusione dell’efficienza energetica e delle fonti rinnovabili. Soluzioni che, rispetto agli sconti in bolletta, hanno il vantaggio di movimentare la filiera dei servizi e dell’industria, di dare occupazione e di portare vantaggi ambientali e sociali (riduzione delle esternalità negative).

Con tutti i soldi spesi sulle rinnovabili elettriche, e sul fotovoltaico in particolare, la cosa più sciocca da fare e non sostenerne oggi la crescita, per far sì che gli oneri di sistema siano effettivamente stati un investimento.

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