Solare termodinamico: l’industria italiana rischia di restare fuori dal mercato internazionale

  • 7 Maggio 2014

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Lo sviluppo dei grandi progetti di solare termodinamico che si realizzeranno in particolare in Medio Oriente nei prossimi anni rischia di vedere escluse le aziende italiane, che non riescono a realizzare impianti sul nostro territorio, indispensabili per mostrare il know-how e le competenze ai futuri investitori. L'allarme di ANEST.

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La tecnologia solare termodinamica, che ha registrato grandi progressi proprio in Italia con Carlo Rubbia ed ENEA, oggi rischia di essere a completo appannaggio di altri Paesi in quanto le nostre aziende non riescono a realizzare gli impianti sul territorio nazionale a causa di difficoltà burocratiche, lungaggini amministrative o contestazioni a livello locale.

Una grande contraddizione dal momento che gli impianti portano ricchezza e occupazione nei territori dove vengono costruiti. A titolo esemplificativo, un progetto da 50 MW occupa circa 2.000 persone nella fase costruttiva – con ricadute territoriali facilmente immaginabili – e 50 persone assunte nella fase di esercizio (almeno 25 anni), oltre l’indotto. E questo tipo di occupazione riguarda soprattutto i giovani, attratti dalle nuove tecnologie green.

Di questo e dello sviluppo della filiera industriale del solare termico si è discusso il 7 maggio a Solarexpo-The Innovation Cloud in occasione del convegno “Solare termodinamico, una ricchezza per il Paese: quali gli ostacoli?” organizzato da ANEST, Associazione Nazionale Energia Solare Termodinamica, in collaborazione con ESTELA, European Solar Thermal Electricity Association.

Istituzioni, imprese, esperti, esponenti politici, giornalisti hanno partecipato al dibattito per capire quali iniziative si possono avviare per sbloccare questa situazione e far sì che un settore innovativo di Paese possa rappresentare l’Italia all’estero nei prossimi anni, potendo competere ad armi pari con altri Paesi a tecnologie avanzate.

Nei prossimi anni sono previsti importanti investimenti, dell’ordine di diversi miliardi di dollari, in particolare in Medio Oriente, nella Penisola Arabica e in gran parte del continente Africano, per lo sviluppo di grandi e piccoli impianti solari termodinamici. Ogni investitore prima di dedicare importanti risorse a un progetto vuole vedere esempi analoghi, o anche di taglia inferiore, per poter misurare le competenze e scegliere il fornitore migliore.

E qui nasce il problema: nonostante siamo tra i padri della tecnologia, sul nostro territorio non esistono di fatto esempi di impianti solari termodinamici collegati alla rete e in produzione. E come tale non è possibile mostrare nessun impianto funzionante (al di fuori di due o tre impianti dimostrativi), in grado di misurare la qualità delle nostre realtà produttive. Il rischio concreto è che alle gare internazionali che saranno bandite nei prossimi anni partecipino solamente aziende di altri Paesi, dove impianti con tecnologie simili sono in funzione ormai da diversi anni, come ad esempio in Spagna con oltre 50 impianti per più di 2 GW.

Molte le cause dello stallo del solare termodinamico in Italia: a partire dagli iter autorizzativi particolarmente lunghi e complicati; la difficoltà per gli uffici deputati a valutare i progetti dal momento che si tratta di una tecnologia nuova; l’opposizione, molte volte pretestuosa, di alcuni soggetti locali che si scagliano contro i progetti adducendo motivazioni false e che provocano timore nella popolazione; gli articoli stampa che riportano le voci di chi si oppone senza interessarsi a quanto viene effettivamente proposto.

Tutti elementi che fanno nascere un malumore diffuso verso le iniziative e che spesso inducono i Sindaci e gli Amministratori locali a prendere posizioni contrarie senza pesare in maniera completa e oggettiva i pro e i contro dei progetti presentati, e senza considerare l’inconsistenza del pericolo di un massiccio utilizzo del territorio, come è stato in passato con il fotovoltaico, visto il tetto massimo imposto a livello ministeriale a questa tipologia di impianti (circa 300-400 MW in totale, entro il 2020).

(da Comunicato ANEST)

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