La medicina contro l’overcapacity. Auto elettriche e pompe di calore?

L'attuale situazione di eccesso di offerta nel nostro mercato elettrico, che sta mettendo in ginocchio i cicli combinati a gas, potrebbe essere alleviata solo con l'elettrificazione dei consumi? Spingendo su pompe di calore e veicoli elettrici per far riprendere la domanda potremmo avere diverse ricadute positive. Ne parliamo con Pia Saraceno, presidente di Ref-e.

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Il sistema elettrico italiano, come i nostri lettori sanno bene, sta attraversando una fase molto particolare: consumi elettrici che continuano a diminuire e una situazione di overcapacity, cioè di eccesso di produzione rispetto alla domanda, nella quale gli impianti con i costi marginali più alti, i cicli combinati a gas, continuano a perdere quote di mercato e a favore delle rinnovabili.

I dati del primo trimestre 2014, che abbiamo riportato ieri lo confermano: la domanda è scesa del 3,7% rispetto allo stesso periodo del 2013 e la produzione da termoelettrico è scesa del 15%, mentre le rinnovabili pesano ormai per quasi il 40% dell’elettricità immessa in rete. Una situazione che fa preoccupare molti: ci sono decine di miliardi di investimenti in cicli combinati a gas, tra gli impianti termoelettrici i più flessibili ed efficienti, che rischiano di non essere recuperati. Una soluzione che potrebbe alleviare l’overcapacity, facendo riprendere la domanda elettrica senza compromettere l’efficienza del sistema, potrebbe essere uno spostamento dei consumi verso l’elettrico, ad esempio sostituendo caldaie a gas e mezzi a gasolio e benzina con pompe di calore ed auto elettriche.

Ne abbiamo parlato con Pia Saraceno, presidente della società di consulenza Ref-e e docente di economia dell’energia e gestione dei beni ambientali all’Università Cattolica di Milano.

Professoressa Saraceno, gli ultimi dati mostrano come la domanda elettrica continui a scendere. Quali sono i fattori dietro a questo calo e quale evoluzione prevedete per il futuro?

Il fattore principale è la caduta dei consumi dell’industria. Poi, in questa ultima fase, con la recessione che si è attenuata, hanno contato le temperature miti che hanno smussato i picchi di domanda invernali. Per quanto riguarda il futuro sono già in atto tendenze di elettrificazione dei consumi per il riscaldamento che potrebbero far pensare a una ripresa della domanda per i clienti residenziali.

Dunque la diminuzione dei consumi che abbiamo visto è legata a fattori contingenti?

No, la recessione non è un fattore contingente: nel corso di questa crisi c’è stata una grande trasformazione nel sistema produttivo italiano. L’abbandono di alcune fasi di produzione molto energy intensive è strutturale; penso ad esempio all’alluminio, alla siderurgia, ai cementifici. Questi settori in Italia non torneranno più ai livelli pre-crisi.

L’attuale overcapacity del sistema elettrico si sarebbe verificata anche senza questo calo della domanda?

Sì. Le politiche per le rinnovabili si sono sovrapposte al rinnovo e al potenziamento del parco elettrico tradizionale e hanno spiazzato queste produzioni. Naturalmente la recessione ha accentuato questo spiazzamento rendendo la situazione ancora più grave. L’eccesso di capacità ci sarebbe stato comunque, ma sarebbe forse stato più gestibile.

Stiamo assistendo a un forte calo del prezzo del MWh sul mercato elettrico. A cosa è dovuto?

Oltre la bassa richiesta, le condizioni climatiche, particolarmente in questo inverno mite e piovoso, e la riduzione del prezzo del gas. In particolare pesa il crollo del contributo delle fonti tradizionali al soddisfacimento della domanda. L’eccesso di offerta sul mercato contendibile è stato accentuato poi dall’aumento della produzione idroelettrica, dovuta alla forte piovosità di questo inverno. Il minor prezzo del gas, date le condizioni di domanda, è stato quasi interamente trasferito a valle sul prezzo finale. La forte riduzione del costo del MWh all’ingrosso si è trasferita però solo in parte a favore del consumatore, perché le rinnovabili recuperano dalla bolletta, sotto forma di oneri di sistema, i loro costi di investimento.

Il calo dei prezzi del gas ha anche alleviato la crisi delle centrali a gas?

No, la riduzione del prezzo del gas non ha impatto sulla loro competitività. Lo spazio della produzione a gas resta limitato dall’andamento della domanda e dal contributo delle rinnovabili. Un prezzo del gas più basso ha un effetto sui prezzi dell’elettricità, perché il produttore compete con costi della materia prima più bassi, ma le possibilità di recupero delle marginalità per questi impianti restano determinate dall’effettivo spazio di mercato che viene loro lasciato. Un sollievo ci potrebbe essere se ripartisse la domanda.

Diversi report pubblicati dalle grandi compagnie elettriche e dalle banche, a partire da Disruptive Challenges dell’Edison Institute, fino alle previsioni di UBS e Citicorp, avvertono utility e produttori da fonti convenzionali del rischio costituito da un futuro prossimo in cui autoconsumo e generazione distribuita da rinnovabili eroderanno ancora di più la domanda. L’Italia è tra i mercati in cui il fotovoltaico in autoconsumo ha il potenziale di sviluppo più grande. Come dovrebbero attrezzarsi utility e produttori da fossili per affrontare questo cambiamento?

È certamente una sfida, le utility devono cambiare radicalmente il loro modello di impresa. Devono diventare un produttore di servizi, di flessibilità e di assistenza al proprio parco clienti, che ha anche una sua produzione autonoma. Dal punto di vista dei produttori termoelettrici “puri” il problema invece resta: tanto più cresce l’autoconsumo tanto più lo spazio che resta per loro è limitato al contributo alla flessibilità del sistema, la fornitura di servizi di bilanciamento. Servizi che comunque sono indispensabili e i cui costi dovranno essere a carico anche dei clienti che hanno una quota crescente di autoconsumo.

Quindi lei ritiene che uno spostamento dei consumi verso l’elettricità potrebbe risolvere o attenuare i problemi di cui abbiamo parlato sopra, rendendo il sistema più efficiente?

Certo, questa è una tendenza raccomandata anche a livello comunitario e riguarda non solo i consumi domestici per il riscaldamento, laddove la competitività c’è già; pensiamo alle pompe di calore in molte zone d’Italia con clima mite, ma anche la grande opportunità per il sistema dei trasporti data dalla mobilità elettrica. Un’opportunità che coinvolge le scelte produttive anche del sistema dei trasporti e le politiche nazionali, che oggi in Italia non sono così ben definite. I costi dei veicoli elettrici in questo momento non sono ancora competitivi, ma nel lungo termine da questo versante potrebbe venire il contributo più promettente per la tenuta consumi di elettricità con beneficio per l’efficienza e l’ambiente.

Nonostante esista questa via d’uscita, o quanto meno di mitigazione del problema, i grandi dell’elettricità convenzionale sembrano più concentrati sulla difesa dello status quo, cioè sul tentativo di frenare fonti rinnovabili e autoconsumo, anziché premere perché si adottino politiche di elettrificazione dei consumi. Perché?

La liberalizzazione del mercato elettrico aveva creato delle aspettative per i nuovi entranti con produzione da fonti convenzionali che sono venute meno rapidamente, una volta che il ciclo degli investimenti si è completato. L’input venuto dall’Europa e fatto proprio dall’Italia di promuovere lo sviluppo sostenibile, ha cambiato le priorità della politica energetica. I produttori che hanno costruito nuove centrali o acquisito le quote di capacità cedute da Enel a caro prezzo si trovano ora con investimenti che non riescono a recuperare. La loro preoccupazione è comprensibile, una maggiore gradualità nello sviluppo delle fonti alternative, il cui boom è stato favorito anche da eccessivi incentivi, avrebbe dato beneficio all’intero sistema. C’è l’esigenza di contemperare ora le scelte di costruire un sistema economico sostenibile dal punto di vista ambientale ed energetico nel 2050 con una transizione ragionevole. Il soddisfacimento delle esigenze di flessibilità che il sistema avrà in misura crescente può essere ottenuto dall’apparato produttivo esistente, come quello rappresentato dalle centrali a gas. Alcune decisioni anche recenti prese a livello politico, sembrano invece poter ulteriormente limitare gli spazi per il parco produttivo a gas. Ad esempio la promozione degli accumuli come fonte di flessibilità, una tecnologia ancora abbastanza immatura che non potrà in prospettiva che ridurre il ruolo degli impianti flessibili già esistenti.

L’elettrificazione dei consumi e la diffusione delle auto elettriche, magari con tecnologia vehicle to grid, se abbinate a politiche di gestione attiva della domanda, smussando i picchi di domanda darebbero maggior equilibrio al sistema elettrico, cioè potrebbero essere considerate come una sorta di accumuli. Al pari di questi dunque potrebbero entrare in competizione con i cicli combinati a gas nel fornire servizi di flessibilità?

No, non credo. Quando parliamo di flessibilità non parliamo soltanto di picchi di domanda, quanto più che altro di supplenza di produzione in determinati momenti, di mantenimento di margini di sicurezza in termini di potenza disponibile. Il modello di funzionamento dei cicli combinati in questi ultimi anni è notevolmente cambiato, non producono più tanto nel picco diurno, quanto nel picco serale. Quindi non credo che queste evoluzioni possano provocare uno spiazzamento significativo, anche se ovviamente cambierà completamente il profilo della domanda. L’effetto principale sarebbe invece un aumento della domanda, positivo comunque anche per i futuri produttori a gas.

Oltre ad alleviare la situazione di overcapacity sul mercato elettrico, lo spostamento dei consumi verso l’elettricità potrebbe avere altre ricadute positive per il sistema-Paese?

Uno tra gli effetti è la riduzione delle emissioni di CO2, tanto più marcata quanto più il parco elettrico è “verde”. Poi c’è un incremento dell’efficienza: si pensi ad esempio a quanto più energeticamente efficiente è una pompa di calore rispetto ad una caldaia a gas.

Anche dal punto di vista della sicurezza energetica ci sarebbero dei benefici?

C’è una diminuzione della dipendenza dall’estero, ma questo riguarda in generale le rinnovabili, che sono fonti nazionali. Riducono la necessità di importare gas e di realizzare le infrastrutture per farlo. Va detto però che pongono altri problemi: abbiamo maggiori costi in termini di sicurezza, dati dagli investimenti nelle infrastrutture necessarie per la tenuta del sistema elettrico.

La nuova tariffa sperimentale per le pompe di calore potrebbe essere vista come un primo tentativo di spostare parte dei consumi dal gas all’elettricità. Quali altre misure si potrebbero introdurre?

Sul fronte delle pompe di calore, più che introdurre un incentivo, l’Autorità ha eliminato un ostacolo. Come sappiamo con la tariffazione in vigore fino ad ora, di tipo progressivo, fa pagare il kWh in proporzione più caro per volumi di consumo alti: installare una pompa di calore significava così pagare di più tutta l’energia consumata. A livello generale, ora l’Autorità vuole modificare la struttura tariffaria in modo da renderla meno progressiva. La tariffa sperimentale per le pompe di calore è il primo passo di una riforma peraltro già annunciata.

Ci sono esempi in altri paesi di politiche rivolte a promuovere l’elettrificazione dei consumi?

Va detto che negli altri paesi il problema è meno sentito, perché le tariffe elettriche non hanno la struttura progressiva che c’è in Italia. La situazioni climatiche dei diversi paesi comunque possono indurre scelte non univoche quanto agli strumenti. Per quanto riguarda la domanda per i trasporti, ci sono diverse politiche nazionali molto più decise nello spingere le auto elettriche. Ad esempio c’è il caso della Francia che è spinta in questa direzione anche dalle peculiarità del suo sistema elettrico.

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