Accumulo, fotovoltaico e distacco dalla rete, l’incubo delle utility Usa

Gli incubi delle utility si stanno materializzando: già nel medio periodo la "tenaglia" delle rinnovabili con l'accumulo metterà in crisi il modello della produzione elettrica centralizzata. Grazie al calo dei costi di FV e storage, tra il 2020 e il 2030 negli Usa potrebbero staccarsi dalla rete dieci milioni di utenze. Uno studio del Rocky Mountain Institute.

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I due incubi delle utility energetiche di buona parte del pianeta si stanno materializzando in un luogo inaspettato: gli Stati Uniti d’America, patria dell’energia “a basso costo” figlia dello shale gas. Il Rocky Mountain Institute, infatti, ha diffuso un rapporto, “The economics of grid defection” (allegato in basso), nel quale si dà la risposta a un semplice quesito: ossia cosa succederà al business delle utility sul medio periodo quando inizieranno a vedersi gli effetti della produzione da rinnovabili, specialmente da fotovoltaico, unita all’accumulo e magari condita da un “poco” di efficienza energetica. E ancora. Quale sarà il punto d’incontro tra convenienza economica dell’accoppiata rinnovabili/fotovoltaico, rispetto al prezzo dell’energia elettrica? Ossia quando raggiungeranno questi sistemi la grid parity, e in quale zona degli Stati Uniti? La risposta non piacerà alle utility perché la grid parity per zone molto importanti e rappresentative della nazione è, sul medio periodo, assai vicina.

Dato per assodato un aumento del 3% dei prezzi dell’elettricità (analisi che non arriva dal Rocky Mountain Institute (RMI), ma dalla U.S Energy Information Administration – EIA), alle isole Hawaii la grid parity è già una realtà, grazie agli alti costi dell’energia elettrica, ma la vera sorpresa arriva dalle due città simbolo degli Stati Uniti, Los Angeles e New York. E la Grande Mela è in pole position. Il “temuto” punto di parità, infatti, è fissato al 2025, mentre per la “città degli angeli” bisognerà aspettare sei anni: nel 2031. Per Louisville e San Antonio, rispettivamente Kentucky e Texas bisognerà attendere il 2047. E si tratta di uno scenario conservativo, perché, fanno sapere dal RMI, “le proiezioni più ottimistiche, che dipendono dal rispetto di determinati obiettivi su fotovoltaico ed efficienza, potrebbero far arrivare alla grid parity milioni di clienti residenziali e commerciali di New York e Los Angeles già in questo decennio”, cioè entro il 2020.

Si tratta di un fenomeno che sta facendo letteralmente tremare i polsi a più di un amministratore delegato sia delle utility, sia delle aziende che si occupano di trasmissione e distribuzione perché dietro la grid parity c’è l’off grid, ossia il distacco dalla rete, con la conquista della temuta “autonomia energetica” da parte di utenze domestiche e commerciali che fino a oggi erano troppo piccole per dotarsi dei sistemi di autoproduzione e per questo motivo erano il classico “parco buoi” da sfruttare a piacimento.

I possibili scenari del rapporto sono quattro. Il primo è quello di base fondato sui costi generalmente accettati dei sistemi fotovoltaici dotati d’accumulo che possono supportare il 100% dei consumi degli edifici, magari con un utilizzo occasionale di generatori diesel, ma solo per le utenze commerciali; il secondo presuppone una diminuzione dei costi dei sistemi maggiore di quanto supposto dal Dipartimento dell’energia statunitense; mentre il terzo è quello nel quale si vedono miglioramenti dal lato della domanda, inclusi gli investimenti sull’efficienza energetica e sistemi per controllare al meglio la flessibilità sui consumi.

Il quarto, il più probabile a nostro giudizio, considera l’effetto combinato dell’accelerazione tecnologica e il miglioramento sul lato della domanda. Il Rocky Mountain Institute prende come esempio lo scenario più conservativo, perché è quello che si adatta meglio alla realtà immobiliare statunitense che è molto più dinamica di quella europea (si pensi solo ai processi di demolizione-ricostruzione) e per il sistema creditizio che è maggiormente disponibile all’innovazione sul fronte economico-finanziario, riconoscendo in maniera più dinamica il delta di valore rappresentato dall’efficientamento e dalla generazione distribuita.

Secondo la ricerca tra il 2020 e il 2030 potrebbero essere interessati al distacco dalla rete a causa dell’arrivo della grid parity ben dieci milioni di utenze che darebbero l’addio definitivo a qualsiasi legame energetico, cosa che metterebbe seriamente a rischio parecchi miliardi di dollari di fatturato delle utility. E non è poco. Tutto ciò, oltretutto, senza prendere in considerazione altri fattori che potrebbero incrementare il fenomeno, come il desiderio di maggiore affidabilità nella fornitura elettrica – non bisogna dimenticare che negli Usa i black out sono più diffusi che da noi – e quello di non emettere CO2 e quindi non contribuire ai cambiamenti climatici. Per non parlare del fatto che le comunità locali potrebbero creare delle piccole reti a isola in grado di essere autosufficienti dalla rete e dare altri benefici.

Le conseguenze pratiche per le utility potrebbero essere “drammatiche” dal loro punto di vista, poiché la grid parity arriverà all’interno del tipico ciclo trentennale delle stesse, mettendone a rischio i modelli di business tradizionali. Nell’ipotesi più conservativa il rapporto afferma che i sistemi fotovoltaico più accumulo al 2024 forniranno elettricità al 20% in meno rispetto al prezzo più caro dell’elettricità fornita dalle utility, mentre nell’ipotesi più ‘aggressiva’ l’elettricità autoprodotta sarà più conveniente in tutti i casi.

Ora c’è da vedere come le utility reagiranno al fenomeno e che nuovi modelli di business adotteranno. Di sicuro la lotta, viste le prime avvisaglie in materia di capacity payment, sarà dura. Elettroni fossili contro elettroni rinnovabili e accumulati. 

Il report “The economics of grid defection” (pdf)

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