Competitività delle imprese UE, tra il mito del caro-energia e la chiave dell’innovazione

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La competitività dell’industria europea dipende più dalla sua capacità di innovare che dalla ricerca ossessiva di abbassare il prezzo dell'energia. I costi energetici per le imprese sono una quota minima sul totale. Meglio ridurre la dipendenza delle importazioni di combustibili fossili, sempre più cari, e investire in efficienza energetica. Un articolo di Luca Bergamaschi, ricercatore e blogger.

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Raccontare storie è una componete unica e straordinaria della tradizione umana. La sua potenza risiede nella capacità di influenzare le scelte che facciamo e come vediamo il mondo. Attraverso la ripetizione e l’utilizzo di un linguaggio simbolico che colpisce il nostro immaginario le storie creano una loro realtà, insieme a paure e speranze, al di là se questa realtà si basi su fatti reali o meno. La rivoluzione delloshale gas’ americano fa parte di queste storie. Ci viene raccontato che grazie alla massiccia estrazione a basso costo di gas non convezionale da scisti bituminosi le imprese americane stanno ottenenendo un tale vantaggio economico da uccidere le imprese europee.

Ma i dati economici ci mostrano l’opposto; cioè che l’esportazioni dell’industria europea rimangono forti e che l’industria sta gestendo gli aumenti dei prezzi dell’energia al meglio attraverso l’efficienza energetica. Tuttavia vi sono diversi attori della società, tra i quali associazioni industriali, Governi e media, che raccontano la storia opposta. Tutto ciò genera paure infondate, indebolisce l’impegno dell’Europa nella lotta al cambiamento climatico e aumenta la dipendenza dell’UE dai combustibili fossili. Il risultato è che se questa storia rimane senza giudizio, la capacità di innovazione, ovvero il fattore chiave per aumentare la produttività e la competitività dell’industria europea, sarà messa seriamente a repentaglio.

Secondo l’agenzia internazionale dell’energia (IEA), con la sola eccezione del settore dei petrolchimici, non vi è prova che i prezzi bassi dell’energia abbiano portato a una rinascita della produzione e un ritorno di investimenti in America. Ciò è vero anche per l’occupazione: il numero di imprese che si sono trasferite in America è trascurabile se si mette a confronto con i 6 milioni di posti di lavoro persi tra il 2000 e il 2009. Attraverso i dati del governo americano, la IEA stima che dal 2010 nel settore manufatturiero si sono creati solo 50mila posti di lavoro in confronto agli altri 500mila posti creati da investimenti di imprese estere. La Commissione Europea nota inoltre che le industrie che producono beni a forte consumo di energia nell’UE dominano ancora i mercati globali di esportazione nonostante l’aumento delle disparità dei prezzi dell’energia registrato dal 2008. Le importazioni di acciaio nell’UE sono diminuite mentre le esportazioni sono in aumento dal 2009. Una situazione simile emerge da un’analisi del Consiglio dell’Industria Chimica Europea. Lo studio mostra che tra il 2005 e il 2010, nonostante la severa recessione economica e i costi bassi del gas americano, l’industria chimica europea è cresciuta del +1,6%, mentre quella del Nord America si è ridotta del -1,4%.

Il mito dei prezzi alti dell’energia

Un’altra storia che sta popolando il dibattito riguarda gli alti prezzi dell’energia e ci dice che le ‘ambiziose’ politiche climatiche ed energetiche esistenti sono responsabili dell’aumento dei prezzi in Europa. Uno sguardo rapido ai fatti mostra che anche questa storia è più mito che realtà. Le industrie ad alta intensità energetica hanno dichiarato privatamente ai loro azionisti che il portabandiera della politica climatica europea, ovvero il sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas serra, non rappresenta una minaccia per le loro operazioni nell’UE.

Analisi della Commissione Europea supportano questa posizione: uno studio recente sui costi e prezzi dell’energia mostra che le tasse e imposte per il finanziamento delle politiche climatiche ed energetiche sono l’elemento più piccolo dei prezzi dell’energia nella maggior parte degli Stati Membri. Inoltre per la maggior parte delle imprese i costi dell’energia non sono un motivo di preoccupazione perchè rappresentano solo una quota minima dei costi totali.

In Germania, per esempio, più del 90% delle imprese manufatturiere spende meno del 2% del reddito per l’energia. Solo per alcune industrie ad alta intensità energetica, come l’industria cantieristica, chimica e dell’acciaio, i costi dell’energia superano il 6% del reddito. Tuttavia queste industrie corrispondono solo al 2% dell’economia tedesca e la maggior parte non paga gli oneri per le fonti rinnovabili attraverso ampie detrazioni fiscali. Le concessioni che il governo tedesco offre a queste industrie sono cresciute del 20% nel 2014 per un ammontare totale di 5,1 miliardi di euro.       

Ciò che in realtà sta trascinando in alto i prezzi dell’energia sono l’aumento dei prezzi globali dei combustibili fossili e la crescente dipendenza dell’UE dalle importazioni fossili. Dal 1990 a oggi i prezzi del petrolio e del carbone sono aumentati del 60 e del 35% rispettivamente, trainati dalla crescente domanda energetica delle economie emergenti. Tra il 1990 e il 2011 la domanda cinese è aumentata del 75% ed è in continua crescita. Allo stesso tempo l’Europa sta aumentando la dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili, passando dal 40% nel 1990 al 54% nel 2011. Nel 2012 l’Europa ha speso più di 500 milliardi di dollari solo per il petrolio.

Quello che serve è l’innovazione intelligente

Ciò di cui invece l’Europa ha bisogno per proteggere la competitività delle sue imprese è una storia che davvero valorizza la competitività industriale in un mondo globale in continuo affollamento e che ha fame di risorse naturali. Questa è una storia di innovazione intelligente basata su un approccio del ‘fare più con meno’ che crea nuove opportunità di business e accresce competitività e produttività delle industrie europee. Secondo la IEA, il modo migliore per proteggere l’industria dall’aumento dei prezzi dell’elettricità è attraverso una più ampia promozione dell’efficienza energetica: produrre di più diminuendo il bisogno di energia in modo da gestire e controllare i costi totali. Come mostra uno studio recente di Climate Strategies, c’è un potenziale enorme, per lo più inutilizzato, per investire nell’adozione di tecnologie che riducono il fabbisogno energetico delle imprese e migliorano l’efficienza energetica delle operazioni e degli impianti industriali esisistenti.

Tuttavia la IEA riconosce che senza un’azione mirata dei governi per incoraggiare le imprese a mobilitare gli investimenti necessari, anche quando questi si ripagano da soli, il potenziale economico per migliorare l’efficienza energetica e generare nuove entrate non sarà sfruttato. Analogalmente, l’OCSE calcola che nel caso di una robusta implementazione delle misure di efficienza energetica il profitto dei settori del ferro e dell’acciaio dell’UE aumenterà dello 0,5% nel 2035 grazie ad una migrazione della produzione dai paesi meno sviluppati verso l’Europa a fronte della riduzione dei costi di produzione. 

L’attuale politica europea orientata a fissare gli obiettivi climatici ed energetici al 2030 offre l’opportunità di guidare le imprese con successo attraverso la nuova era dell’economia sostenibile e proteggerle dai rischi che l’aumento dei costi dell’energia pone.

Per avere successo la comunità industriale europea non ha bisogno di importare la revoluzione ma di iniziare la propria.

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