Efficienza energetica: la direttiva Ecodesign e quelle opportunità non colte

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La direttiva Ecodisegn nata per migliorare l'efficienza energetica dei prodotti che hanno a che fare con l'energia ha portato a risparmi consistenti a costo zero per governi e cittadini. Tuttavia un report spiega come gli strumenti della Commissione Europea in questo campo siano impostati piuttosto male e come questo strumento potrebbe fare molto di più.

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La direttiva Ecodesign (2009/125/EC), che si occupa dell’efficienza energetica di tutte le apparecchiature che hanno a che fare con l’energia, è uno dei provvedimento normativi europei di maggiore ambizione ed efficacia per la lotta ai cambiamenti climatici. Nata con l’obiettivo di risparmiare al 2020 il 12% del consumo elettrico europeo del 2009 (tagliando così 330 TWh), con le sole misure approvate nel 2013 ha assicurato risparmi energetici pari al 15% degli obiettivi del pacchetto 20-20-20. Il tutto a costo zero per i governi e, cosa non secondaria, per i cittadini.

La direttiva, assieme alla più conosciuta direttiva sull’etichetta energetica o Ecolabel (2010/30/EU), svolge il ruolo sostanziale di “obbligo all’evoluzione energetica” e si propone di stimolare la ricerca del mondo aziendale nel campo dell’efficienza energetica e dei consumi finali di tutti i dispositivi energy-related. Ricadono nel campo di applicazione della direttiva oggetti di uso comune come le lampadine e i trasformatori dei nostri pc portatili e oggetti molto meno quotidiani come impianti di climatizzazione centralizzati o motori elettrici.

Da anni in seno alla Commissione Europea è in corso un dibattito sul futuro della norma: dovrà occuparsi anche di tutto quello che ha a che fare con l’energia, pur non consumandone direttamente, come ad esempio finestre e coibentanti? Dovrà fondere i propri criteri con quelli della direttiva Ecolabel? E, se sì, con quali criteri fondanti?

La campagna Coolproducts, promossa da numerose associazioni ecologiste europee con lo scopo di promuovere e sostenere la direttiva Ecodesign, ha recentemente pubblicato un documento (allegato in basso) che dimostra come gli strumenti della Commissione Europea in questo campo siano ad oggi impostati piuttosto male e suggerisce alcune politiche utili per aggiustare il tiro.

Basato sull’analisi di cinque importanti prodotti per i quali è disponibile una buona base di dati comparativi (lavatrici, frigoriferi, asciugatrici, lavastoviglie e televisori) l’analisi dimostra che la direttiva avrebbe potuto ottenere risparmi energetici quasi doppi rispetto a quelli messi in campo con le misure adottate, se solo avesse affinato meglio gli strumenti di analisi di mercato.

Attualmente, infatti, la Ecodesign crea politiche di prodotto di medio e lungo termine che al momento dell’entrata in vigore a volte sono già obsolete rispetto alle tecnologie esistenti, e ciò, nel duro scontro in atto in Europa sulle politiche energetiche e sui costi dell’energia è un lusso che non ci si può permettere.

Per questo la prevista revisione della direttiva dovrà essere un momento chiave per mettere a punto sistemi di regolamentazione dell’efficienza molto più adatti alla rapida evoluzione tecnologica e in grado di cogliere quelli che in inglese si definiscono “low hanging fruits”, ovvero sia i risparmi più “facili”.

Il tema della revisione gira attorno a questioni tecniche, e non potrebbe essere diversamente: il cuore della direttiva, infatti, è una formula matematica, quella del minor costo per ciclo di vita (LLCC, Least Life Cycle Cost). La formula compara i costi necessari per migliorare un prodotto energeticamente con i risparmi energetici ottenuti durante la vita utile del prodotto e fa in modo che i primi non siano mai superiori ai secondi. Il LLCC ha, certamente, i suoi pro e i suoi contro, ma la sua precisione matematica e la natura quantitativa dello strumento hanno consentito di portare al risultato molte discussioni politiche interne al gruppo di lavoro Ecodesign e hanno reso nel contempo il processo decisionale molto più trasparente.

I critici, dal canto loro, fanno notare che lo strumento è debole sul fronte dell’elettronica, dove la correlazione tra prezzo ed efficienza energetica è molto più labile e che il focus esclusivo sui benefici per l’utente finale potrebbero minare alcuni benefici sociali più ampli, come ad esempio gli impatti sulla salute umana e il minore consumo di risorse per la produzione.

La partita principale comunque è quella legata all’aumento dell’efficienza nell’approvazione delle norme di implementazione delle direttiva, che riguardano anche le revisioni periodiche degli standard dei prodotti già normati. A parte il 2013, anno particolarmente prolifico, ci sono stati anni in cui il lavoro è andato molto a rilento, con grande danno dei possibili risparmi.

Per il futuro il documento di Coolproducts evidenzia due rischi principali: quello di non promuovere adeguatamente l’integrazione di diverse politiche ambientali (su prodotto, energia, acqua, sostanze tossiche) e quella di prendere decisioni basate su dati obsoleti che non consentono di anticipare le tendenze di mercato.

Alla fine, quindi, dovrà essere ancora il minor costo per ciclo di vita a decidere le politiche industriali europee nel futuro? Comparando i risultati europei con quelli ottenuti in altre parti del mondo con altri sistemi, il rapporto evidenzia come la formula LLCC, eccessivamente conservatrice, sia alla base dei mancati risparmi potenziali con relativa perdita di tutti i benefici ambientali che avrebbero comportato e come altre strade siano possibili. Da tempo, infatti, Cina e Australia hanno inaugurato percorsi molto più efficaci ed ambiziosi.

Il documento di Coolproducts “Fine tuning the Ecodesign engine” (pdf)

 

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