Sistema elettrico, l’impatto delle rinnovabili e la ricerca della flessibilità

Quale impatto l’impatto delle fonti rinnovabili sulla dinamica dei prezzi registrata finora e come fare in modo che la sicurezza del sistema elettrico possa diventare un bene contendibile, stimolando l’offerta di flessibilità? Un articolo di Barbetti e Marchisio di Elemens pubblicato sull'ultimo numero della rivista Qualenergia.

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Rimangono ormai pochi dubbi sul fatto che, alla fine del 2013, l’Italia raggiungerà – e supererà – con ben sette anni di anticipo la barriera dei 100 TWh prodotti da fonti rinnovabili che, nel 2010, il Piano d’Azione Nazionale (l’unico documento relativo al percorso di crescita delle rinnovabili ufficialmente trasmesso alla Commissione Europea nell’ambito del pacchetto 20-20-20) aveva individuato come obiettivo da raggiungere al 2020. Se a questo uniamo la situazione di piena recessione che sta investendo l’economia italiana, e di conseguenza la domanda elettrica, ci troviamo di fronte a un sistema elettrico nazionale dominato dalle fonti rinnovabili e, tra queste, le non programmabili rappresentano ormai un pilastro dell’offerta elettrica italiana: nel corso del primo semestre, esse hanno coperto dal 9,2% di gennaio al 15% di maggio.

Per lo stesso periodo il PUN, d’altra parte, ha registrato una riduzione di circa il 22% rispetto al primo semestre 2012: ciò è stato dovuto non solo alla minore domanda residua (definita come differenza tra domanda di energia elettrica e produzione da fonti rinnovabili), ma anche alla progressiva tendenza dei produttori a gas a sganciarsi dagli onerosi take or pay di lungo periodo per approvvigionarsi al mercato spot del gas – i cui valori sono ormai allineati ai prezzi delle altre piazze europee.

Rappresentando l’impatto delle fonti rinnovabili sulla dinamica dei prezzi possiamo osservare nella figura 1 che, in termini relativi (percentuale di penetrazione delle rinnovabili non programmabili sui volumi acquistati sul Mercato del Giorno Prima), il PUN medio mostra una decrescita costante a partire da una copertura da parte delle fonti non programmabili della domanda del Mercato del Giorno Prima pari al 15%, penetrazione che si è verificata per più di un quarto dell’orizzonte temporale osservato.

In media, per la prima metà del 2013 un incremento dell’1% della penetrazione delle FER su MGP ha prodotto una diminuzione di circa 1,04 €/MWh del PUN. Osservando una giornata media su MGP, le fonti non programmabili – guidate dal fotovoltaico – mostrano l’impatto più alto sul PUN nel corso delle ore centrali della giornata, dalle 8 alle 16 (figura 2). Rispetto alle ore con una quota di rinnovabili non programmabili inferiore al 10%, in media il PUN è inferiore di 7,7 €/MWh (-12%) con FER tra il 10 e il 20%, e di 26,2 €/MWh (-39%) nelle ore centrali della giornata con FER oltre il 20% della domanda, mostrando un elevato impatto sui prezzi.

Il ruolo ancora crescente delle FER, enfatizzato dalla continua riduzione della domanda, colpisce il tasso di marginalità che le diverse fonti e tecnologie hanno sul mercato nel corso della giornata. I cicli combinati (CCGT) continuano a mantenere il primato di tecnologia marginale e approfittano del picco serale di domanda – meno influenzato dalle FER con particolare riferimento al fotovoltaico – ove gli impianti CCGT formano il prezzo dal 60 al 70% del tempo, accrescendo i prezzi per attuare la cosiddetta “night recovery”: in particolare, quando la marginalità dei CCGT è superiore al 60%, il PUN orario medio è superiore alla media del PUN sulle 24 ore.

Tuttavia, quando il prezzo scende sotto 50 €/MWh la tecnologia CCGT perde il suo primato (figura 3): il carbone (comprendendo anche gli impianti a olio-carbone) diviene la fonte principale in termini di marginalità per prezzi compresi tra 30 e 50 €/MWh, mentre con prezzi inferiori a 30 €/MWh è l’energia importata a determinare il prezzo come fonte marginale per più ore rispetto alle altre tecnologie e fonti. Per un quarto delle ore, il CCGT non è più la principale tecnologia nella determinazione del prezzo del mercato elettrico.

Questo minor ruolo del CCGT nella determinazione dei prezzi si riflette dal differenziale tra il prezzo medio marginale CCGT e il PUN (figura 4) che, nel secondo trimestre 2013 a eccezione di maggio, è cresciuto del 10% rispetto allo spread registrato nel corso dei primi tre mesi del 2013. In giugno, tale differenziale ha raggiunto 7,4 €/MWh (11,6% del prezzo medio marginale CCGT).

Più che dal mero confronto tra i prezzi nelle ore con bassa e alta penetrazione delle fonti rinnovabili, a parer di chi scrive è maggiormente corretto individuare e isolare in questo “spread” l’impatto positivo per i consumatori delle fonti rinnovabili sui mercati elettrici.

In passato, essendo la tecnologia CCGT dominante nella determinazione del prezzo marginale, tale differenza era poco significativa e la sola spinta recessiva della domanda così come si è verificata avrebbe imposto una maggiore concorrenzialità tra gli impianti marginali ma non sarebbe stato sufficiente a “scalzare” i cicli combinati. Le fonti rinnovabili invece – rendendo apprezzabile l’effetto di spiazzamento della generazione a gas e spingendo a una maggiore marginalità carbone e import – hanno generato un effetto deflattivo dei prezzi stimabile tra 3 e 7 €/MWh per il primo semestre 2013.

La maggior penetrazione delle fonti rinnovabili ha dunque modificato la natura del mix di generazione nazionale.

Vi è infatti sempre maggior produzione da impianti che – a fronte di un elevato rapporto tra costo di costruzione e costi di esercizio fissi e variabili – sono caratterizzati da minori, se non quasi nulli, costi marginali di produzione e pertanto godono di priorità nell’ordine economico delle risorse che il mercato elettrico (basato sul system marginal price) seleziona per soddisfare la richiesta di energia.

Il concetto di capital intensity – indicatore del rapporto tra capitale necessario alla produzione e costi di esercizio – può quindi aiutarci a comprendere la recente evoluzione dell’assetto di produzione di energia elettrica in Italia.

Chiaramente, ogni tecnologia e fonte è caratterizzata da un’intensità di capitale diversa: gli impianti tipicamente baseload (carbone e nucleare) e gli impianti a fonte rinnovabile (a esclusione della biomassa) sono caratterizzati da un indice elevato di capital intensity. Ponderando l’indice di ogni fonte e tecnologia per la relativa produzione italiana, è possibile ottenere un indice sintetico di capital intensity che descrive il mix produttivo nazionale e la sua tendenza evolutiva, che in figura 5 è messo a confronto con il turnover annuale del Mercato del Giorno Prima (dato dalla somma del prodotto fra prezzi e volumi per ogni ora dell’anno).

Da questi dati è possibile trarre qualche considerazione:

  • a partire dal 2007 la capital intensity della produzione elettrica nazionale è cresciuta costantemente, con un’accelerazione nell’arco dell’ultimo triennio;
  • nel 2009 lo shock della domanda dovuto alla crisi economica ha provocato un crollo del turnover del Mercato del Giorno Prima;
  • tra il 2010 e il 2012, la lieve crescita del turnover è stata guidata dalla crescita del costo di approvvigionamento del gas: la stagnazione della domanda e la crescita della generazione a carbone e, soprattutto, da fonti rinnovabili ha contribuito a rendere questo trend meno accentuato;
  • con il 2013 (dato annuale stimato) ancora caratterizzato da minore domanda e maggiore penetrazione delle fonti rinnovabili, assistiamo a una secca contrazione del turnover MGP principalmente dovuto allo sganciamento dei CCGT dagli oneri take or pay a favore di un mercato spot del gas allineato ai prezzi europei.

Questo nuovo assetto del mix di generazione nazionale – molto sbilanciato su produzioni capital intensive – pone interrogativi importanti sulla sua adeguatezza a fronte delle necessità del settore elettrico. In un possibile scenario di domanda di energia stagnante e di ulteriore crescita – sebbene a tassi ben più contenuti – delle fonti non programmabili, il livello generale dei prezzi del mercato elettrico potrebbe abbassarsi ancora. Tuttavia, ciò comporterebbe un ruolo sempre più compresso dei cicli combinati costringendo, per esempio, la generazione a carbone – per sua natura baseload – a una flessibilità probabilmente eccessiva e da compensare con una maggiore modulazione dell’import.

D’altra parte, il rischio di “congelamento” di parte degli impianti a ciclo combinato potrebbe concentrare il potere di mercato e provocare una situazione di contemporanea assenza di segnali per lo sviluppo di nuovi investimenti e scarsità di risorse per il mantenimento della sicurezza di sistema.

Sembrano pertanto cambiare le nuove esigenze del mercato elettrico: da necessità di “energia” (ampiamente soddisfatta, soprattutto nell’attuale fase recessiva della domanda) a necessità di “capacità” disponibile e pronta a intervenire per il mantenimento della sicurezza di sistema. Per questo motivo, i meccanismi di capacity payment appaiono di sempre maggior rilievo negli orientamenti del Regolatore. In verità, già nel 2011 l’Autorità per l’Energia ha espresso una posizione molto netta nelle premesse alla Delibera 98/11 che ha delineato i criteri e le condizioni per la disciplina del sistema di remunerazione della disponibilità di capacità produttiva, affermando che:

  • il mercato elettrico si è dimostrato uno strumento inefficiente e inefficace di coordinamento delle scelte di investimento dei produttori in capacità produttiva e delle scelte di investimento di Terna in capacità di trasporto;
  • le stime degli operatori sul valore dell’investimento in capacità produttiva sono basate su informazioni incomplete e frammentarie inducendoli a sottodimensionare gli investimenti;
  • la non recuperabilità del costo di investimento uscendo dal settore elettrico costituisce una potenziale barriera all’entrata di nuovi operatori;
  • la rigidità della domanda provoca un’estrema volatilità dei prezzi sul mercato elettrico e dei servizi di dispacciamento che incrementa ulteriormente il livello di rischio per gli investitori;
  • per avversione al rischio, i consumatori desiderano approvvigionarsi attraverso accordi di lungo termine, a scapito di fonti e tecnologie meno soggette ai costi variabili (quindi, aggiungiamo noi, quelle tendenzialmente caratterizzate da una maggiore capital intensity);
  • a fronte della crescita delle fonti rinnovabili, della rinuncia al nucleare e della realizzazione dei sistemi di accumulo da parte dei gestori della rete, il principale strumento idoneo a risolvere i problemi descritti è dunque un sistema centralizzato di remunerazione della disponibilità di capacità produttiva.

Di fatto, da almeno un paio d’anni l’Autorità stessa ha sentenziato il fallimento del mercato elettrico come modello in sé per adeguare la capacità produttiva alle necessità del sistema e, in assenza di un forte intervento regolatorio che accentri poteri pianificatori di capacità e remunerazione, il rischio di scarsità di sicurezza di sistema non sembra altrimenti affrontabile.

Appare con tutta evidenza che i segnali di prezzo, sia del mercato elettrico a pronti sia del mercato dei servizi di dispacciamento, siano assai poveri di informazioni rilevanti per gli investitori. In effetti, gli accadimenti degli ultimi anni ci dicono che per tutte le fonti il driver principale di investimento è stato quello autorizzativo (gli impianti sono stati realizzati non dove serviva ma dove era possibile), e che, per le fonti rinnovabili nello specifico, la sequela di errori nel disegno dei meccanismi di incentivazione ha fortemente distorto i segnali di mercato. Inoltre, dal lato dei consumatori, il PUN ha perso il suo valore di strumento di equità diventando un incentivo per gli enti locali nel bloccare lo sviluppo di fondamentali opere di rete: la tenace opposizione al potenziamento della connessione Sorgente-Rizziconi da parte dell’amministrazione siciliana lo dimostra da diversi anni.

Regolazione chiama regolazione, sembra essere quindi la morale della storia recente del nostro sistema elettrico, e così si sta gradualmente strutturando un modello di capacity market che affianchi il Mercato del Giorno Prima e il Mercato dei Servizi di Dispacciamento, finalizzato a mantenere l’adeguatezza del sistema elettrico nel lungo periodo, in attesa del recupero della domanda sufficiente a riassorbire l’overcapacity. Tuttavia, la mera remunerazione dei costi fissi degli impianti CCGT attraverso un corrispettivo ad hoc a fronte di una costante messa a disposizione della capacità su MGP e MSD sembra non affrontare la vera necessità di un sistema elettrico così fortemente influenzato dalle fonti rinnovabili non programmabili: la flessibilità.

Attualmente, il Mercato dei Servizi di Dispacciamento – lo strumento cardine per il bilanciamento in sicurezza del sistema – è l’approdo per molti impianti a ciclo combinato che, offrendo modulazione, riescono a recuperare parte dei margini persi su MGP. Questo mercato però ha caratteristiche di complessità non indifferenti: i segnali di prezzo sono scarsamente stabili e interpretabili, e solo alcuni impianti appaiono godere di un potere di mercato particolarmente significativo dovuto al proprio posizionamento fisico sulla rete di trasmissione.

È pertanto un mercato che, a differenza di altri, non è in grado di fornire informazioni sufficientemente complete per indirizzare investimenti a correzione di specifiche esigenze di sistema, e l’assetto che si è consolidato non appare possa essere sostanzialmente modificato anche in presenza di impianti CCGT con Capacità Disponibile di Produzione (così si definiscono gli impianti che godranno del capacity payment).

Le questioni che dunque rimangono ancora aperte sono: come fare in modo che la “sicurezza di sistema” possa diventare un bene contendibile, stimolando l’offerta di flessibilità? Come, quindi, rendere maggiormente intelligibili i segnali di MSD da parte degli operatori? Cos’è possibile richiedere alle fonti rinnovabili?

A quest’ultima domanda, l’Autorità sembra darci una prima risposta con l’avvio della consultazione sulla fornitura dei servizi di dispacciamento da parte degli impianti a fonte rinnovabile. Se a questo strumento si affiancasse la possibilità di aggregare sotto forma Virtual Power Plant un portafoglio bilanciato di tante unità rinnovabili anche di fonte diversa (come già accade in Germania, per esempio), forse scopriremmo che buona parte delle risorse necessarie per gestire questa fase di transizione del sistema elettrico sono già disponibili.

L’articolo è stato pubblicato sul n.5/2013 della rivista bimestrale Qualenergia, con il titolo “Impatto rinnovabile”

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