Protocollo di Kyoto, l’Italia ancora lontana dall’obiettivo

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L’Italia non è in linea con il proprio obiettivo di riduzione delle emissioni, soprattutto perché non ha fornito adeguate informazioni sull’utilizzo dei meccanismi flessibili. Ora dovrà acquistare crediti di carbonio o permessi di emissione. Non poteva evitare prima questa investendo la stessa quantità di risorse in progetti nazionali?

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Ogni anno l’Agenzia europea per l’ambiente (AEA) fornisce un quadro sui progressi dell’Europa circa gli obiettivi di politica energetica. In ottobre è stata pubblicata l’edizione 2013 del rapporto “Trends and projections in Europe 2013 – Tracking progress towards Europe’s climate and energy tar-gets until 2020” che qui viene presentato in forma sintetica, limitatamente agli obiettivi assunti nell’ambito del Protocollo di Kyoto (2008-2012), con una particolare attenzione all’Italia.

Il rapporto dell’AEA integra la relazione annuale della Commissione, del Parlamento e del Consiglio europei relativa al progresso dell’Unione Europea (UE) verso gli obiettivi prefissati. Con la pubblicazione delle stime al 2012 delle emissioni di gas climalteranti da parte dell’AEA e di 18 Stati membri, si rendono disponibili, per la prima volta, i dati completi sulle emissioni di gas climalteranti inerenti il primo periodo di impegno del Protocollo di Kyoto (2008-2012) che permettono una più accurata valutazione, un’analisi più completa dell’Ets (Emissions trading scheme) e dei settori non-Ets per il periodo 2008-2012.

La UE-15 ha un obiettivo comune da raggiungere – in termini di riduzione delle emissioni climalteranti (-8% rispetto al 1990) – nell’ambito dell’accordo denominato burden sharing, da raggiungersi con impegni differenziati tra i vari Stati membri. Altri 11 Stati membri (tutti tranne Cipro e Malta), Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera hanno obiettivi individuali di limitazione e riduzione delle emissioni di gas climalteranti nell’ambito del Protocollo.

Ognuno di questi obiettivi corrisponde a limiti di emissione che non devono essere superati per il periodo 2008-2012. Per raggiungere i propri obiettivi, i Paesi devono quindi bilanciare le proprie emissioni con la quantità dei permessi/crediti di emissione a loro disposizione. Tale equilibrio può essere raggiunto limitando o riducendo le proprie emissioni a livello nazionale e aumentando la capacità di assorbimento dell’anidride carbonica da parte degli ecosistemi agroforestali, o anche attraverso l’utilizzo dei meccanismi flessibili consentiti dal Protocollo di Kyoto che permettono l’acquisto di crediti di emissione da altri Paesi, sia industrializzati (Joint implementation) che in via di sviluppo (Clean development mechanism).

Lo schema Ets fu introdotto per aiutare gli Stati membri a raggiungere i propri obiettivi fissati dal Protocollo di Kyoto e, al contempo, raggiungere i livelli di riduzione delle emissioni nella maniera più efficiente ed economica possibile. Attraverso l’assegnazione di quote legate ai crediti di emissione disponibili per il periodo 2008-2012, ciascun obiettivo nazionale è stato poi suddiviso distinguendo i settori coperti dallo schema Ets da quelli che ne sono al di fuori, come i trasporti, l’edilizia, l’agricoltura e i rifiuti. I partecipanti allo schema Ets sono obbligati a bilanciare le proprie emissioni con la quantità di quote (allowances) a disposizione e coloro che si trovano in una situazione di deficit di quote possono acquistarne da coloro che ne dispongono in surplus, oppure fare ricorso, in misura limitata, ai permessi di emissioni derivanti dai meccanismi flessibili del Protocollo.

Nella UE-15, il tetto complessivo dell’Ets, ovvero la quantità massima di emissioni consentite dai principali impianti industriali emissivi nel periodo 2008-2012, è stata del 9% inferiore ai livelli del 2005, mentre i settori non-Ets hanno avuto un bilancio del 4% inferiore ai livelli del 2005.

In Austria, Danimarca, Italia, Lussemburgo, Spagna e Liechtenstein le esigenze di riduzione delle emissioni nei settori non-Ets sono state superiori al 15% rispetto ai livelli del 2005. Per tutti questi Paesi, gli obiettivi di riduzione delle emissioni dai settori non-Ets per il periodo 2008-2012 sono stati relativamente più impegnativi rispetto a quelli dei settori Ets.

Lo schema Ets riguarda le emissioni di CO2 provenienti dal settore energetico, così come la maggior parte di quelle provenienti dagli impianti industriali. Durante questo secondo periodo di trading nell’ambito dell’Ets, coincidente con il primo periodo di impegno del Protocollo di Kyoto, sono state circa 11.500 le installazioni coinvolte in trenta Paesi (i 27 della UE, Islanda, Liechtenstein e Norvegia). Nel loro insieme, questi impianti hanno prodotto circa 1,9 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno, il 41% delle emissioni di gas serra della UE.

Le emissioni di CO2 prodotte dal trasporto aereo sono state incluse nell’Ets solo a partire dal 2012.

Le emissioni nel periodo 2008-2012 sono state influenzate da variazioni del mix di combustibile nella produzione di elettricità, un maggior utilizzo di fonti rinnovabili e una minore produzione nei settori industriali causata dalla crisi economica. Il veloce utilizzo di crediti di carbonio tra il 2008 e il 2012 e gli effetti della crisi economica hanno provocato un surplus di circa 1,8 miliardi di quote. Le emissioni derivanti dai settori Ets si sono ridotte al di sotto dei tetti massimi consentiti nella maggior parte degli Stati membri, mentre il raggiungimento degli obiettivi fissati per il settore non-Ets è apparso più difficile. La recessione, non prevista al tempo in cui furono stabiliti i tetti dell’Ets per il 2008-2012, ha fatto calare le emissioni nel comparto Ets più che in altri settori.

L’obiettivo di riduzione delle emissioni dell’8% sarà rispettato dalla UE-15. La riduzione media è stata del 12,2% e, in termini quantitativi, si è superato l’obiettivo di circa 236 MtCO2 annue. Anche nel settore non-Ets, le emissioni si sono ridotte, superando l’obiettivo di circa 95 MtCO2 annue.

Per quanto riguarda i cosiddetti carbon sink, si stima (dati 2008-2011) un contributo pari a 64 MtCO2 annue. L’utilizzo dei meccanismi flessibili per nove Stati membri della UE-15 è stimato a 81 MtCO2 annue. Di questi nove Stati membri, otto hanno presentato informazioni circostanziate sull’allocazione delle risorse finanziarie da utilizzare, pari a circa 2,3 miliardi di euro nel quinquennio di riferimento. L’unico Paese che non ha presentato informazioni chiare sulla disponibilità delle risorse finanziarie da utilizzare è l’Italia che, insieme al Lussemburgo, è l’unico Paese ove l’utilizzo dei meccanismi flessibili non sarà comunque sufficiente per colmare il gap rilevato.

Quasi tutti i Paesi europei con un obiettivo individuale di riduzione o limitazione delle emissioni di gas serra nell’ambito del Protocollo risultano in linea nel raggiungimento dei propri obiettivi. Sei Stati della UE-15 (Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Svezia e Regno Unito), tutti gli undici Paesi della UE-13 (adesione post 2004) con un obiettivo quantificato nell’ambito del Protocollo di Kyoto, insieme a Islanda e Norvegia sono in linea per il raggiungimento dei propri obiettivi con l’utilizzo di sole attività domestiche. Se si prendono in considerazioni anche le attività carbon sink, altri tre Paesi della UE-15 (Irlanda, Portogallo e Slovenia) risultano in linea con i rispettivi obiettivi.

Nove Stati membri e il Liechtenstein avevano originariamente dato maggiore enfasi nella riduzione delle emissioni nei settori non-Ets (con il 2005 come base di riferimento), ove le azioni per ridurre le emissioni domestiche sono in generale più costose rispetto ai settori Ets. Entro la fine del primo periodo di impegno (con carbon sink), risulta ancora da colmare un divario nel settore non-Ets per Austria, Belgio, Danimarca, Liechtenstein, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Spagna e Svizzera.

Tutti questi Paesi, visto che eventuali surplus nei settori Ets non possono essere utilizzati per compensare i ritardi nei settori non-Ets (escludendo la

possibilità di utilizzare le restanti allowances per le riserve dei nuovi entranti), dovranno necessariamente colmare il divario con il ricorso ai meccanismi flessibili. Tra questi, Belgio, Italia, Liechtenstein, Olanda e Svizzera dovranno anche acquistare permessi di emissione dal mercato internazionale per raggiungere i rispettivi obiettivi nazionali. Austria, Liechtenstein, Lussemburgo e Spagna sono i Paesi che registrano i gap più elevati, che intendono colmare acquistando significative quantità (tra il 13 e il 20% delle proprie emissioni di riferimento nell’anno base) di crediti di carbonio a livello nazionale, paragonati a una media dell’1,9% per la UE-15. Tra questi Paesi, Italia, Lussemburgo e Spagna sono quelli che risaltano maggiormente a causa delle loro specifiche peculiarità.

L’Italia viene considerato un Paese non in linea con il proprio obiettivo di riduzione delle emissioni, principalmente a causa del fatto che non ha fornito adeguate informazioni sulle proprie intenzioni di utilizzo dei meccanismi flessibili.

Nel 2012 la media delle emissioni nazionali nei settori non-Ets è stata più alta, rispetto al corrispondente obiettivo da raggiungere, di circa 22,5 MtCO2/anno. Questo divario non è attualmente compensato dagli assorbimenti attesi dalle attività agro-forestali (stimati in 16,8 MtCO2/anno) e dalla quantità di crediti di carbonio che il Governo italiano ha previsto di contabilizzare nell’ambito dei meccanismi flessibili (2 MtCO2/anno). Tutto ciò porta l’Italia a un gap annuale di 3,7 MtCO2/anno, che nel quinquennio di riferimento assomma in totale a 18,5 MtCO2.

Inoltre, il nostro Paese non ha fissato una soglia sull’utilizzo dei meccanismi flessibili nella propria strategia nazionale sui cambiamenti climatici, eccetto quella relativa all’attuazione del principio di supplementarietà che viene considerata già superiore alla quantità di crediti necessari per il raggiungimento dell’obiettivo di Kyoto; nello specifico, sulla base dell’ultimo Piano nazionale per la riduzione delle emissioni di gas climalteranti approvato dal Comitato interministeriale per la pianificazione economica (delibera CIPE n. 17/2013 dell’8 Marzo 2013), entro il 30 novembre 2013 il Ministero dell’Ambiente italiano trasmetterà al CIPE le possibili opzioni per raggiungere l’obiettivo di Kyoto con particolare riferimento al portafoglio di AAUs/ERUs/CERs, cioè le diverse tipologie di crediti di carbonio/permessi di emissione del Protocollo di Kyoto, con le relative risorse finanziarie necessarie per l’acquisto.

Molti sono dell’opinione che tali acquisti si sarebbero potuti evitare, magari investendo la stessa quantità di risorse in progetti a livello nazionale; ma non ora, nel 2013: ciò andava fatto prima, con una pianificazione e una strategia sui cambiamenti climatici più concreta e mirata. Ma al di là di ciò rimane anche il fatto, come sottolinea l’AEA, che ancora non si sa come il Governo italiano intenda finanziare tale operazione di acquisto.

Nell’ambito dei settori Ets l’Italia ha deciso di ridurre le proprie emissioni di 30 MtCO2 rispetto ai livelli del 2005, pari a una diminuzione del 13%. Ciò ha comportato un ammontare delle emissioni permesse di 281 MtCO2/anno, che corrisponde a una riduzione necessaria di 61 MtCO2/anno rispetto al 2005 (-18%) nei settori non-Ets. Le riduzioni effettivamente raggiunte sono state 39 MtCO2 in entrambi i settori (Ets e non-Ets), sempre rispetto alle emissioni del 2005. Ciò ha creato un surplus di 9 MtCO2 nel settore Ets e un gap di 23 MtCO2 in quello non-Ets. Entrambi gli obiettivi di riduzione nei due settori risultavano impegnativi in termini relativi, ma l’obiettivo nel settore non-Ets è risultato comunque essere più difficile da raggiungere.

In definitiva, l’ammontare dei crediti necessari per il nostro Paese per risultare in linea con gli obiettivi di Kyoto rappresenterebbe solo l’1,1% delle emissioni nell’anno base (circa 5,7 MtCO2/anno) ma nonostante ciò, come già ricordato, l’Italia rimane l’unico degli Stati membri della UE-15 che intendono utilizzare i meccanismi flessibili a non aver fornito alcuna informazione sulla quantità di crediti che intende acquistare, né sulle risorse finanziarie stanziate per tale scopo.

Nella Tabella 1 (clicca per ingradire), estratta dal rapporto dell’AEA, una sintesi quantitativa della situazione del nostro Paese nei confronti dell’obiettivo di Kyoto ancora, purtroppo, lontano dall’essere raggiunto.

L’articolo è stato pubblicato sul n.5/2013 della rivista bimestrale QualEnergia, con il titolo “Troppa CO2 nel Belpaese”

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