L’idrocarburo che piace tanto al Ministro

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L’Italia non prevede l’estrazione di shale gas sul territorio nazionale. Ce lo fa sapere il Ministro dello Sviluppo Economico, Flavio Zanonato. C’è da crederci? Alcune richieste di società del settore creano dubbi in questo senso. Resta per il MiSE la necessità di rilanciare la produzione nazionale di petrolio e gas tradizionale. Intanto Scaroni fa capire che questa è la linea, ma serve anche il fracking.

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L’Italia non considera affatto l’estrazione di gas scisti, lo shale gas, la cui procedura estrattiva può avere pesanti impatti ambientali che vanno dalla contaminazione delle falde acquifere all’innesco di terremoti di lieve entità. C’è da crederci?

Una nota dell’ufficio stampa del Ministero dello Sviluppo economico uscita oggi smentisce alcune agenzie pubblicate precedentemente con dichiarazioni del Ministro che sembrerebbero a favore del fracking: “In merito ai lanci di agenzia provenienti da Bruxelles che attribuiscono al ministro Flavio Zanonato la disponibilità a una produzione interna di shale gas, si precisa che, come stabilito dalla Strategia energetica nazionale e come affermato dal ministro stesso in Parlamento, il suo sfruttamento non è mai stato preso in considerazione”, dice la nota del dicastero di via Veneto che prosegue spiegando che Zanonato, nel suo ‘interloquire’ con la stampa aveva affermato invece che era “necessario rilanciare la produzione nazionale di petrolio e gas tradizionale, avendo comunque il MiSE recentemente ridotto e meglio definito le aree marine di possibile estrazione”.

Su questo ultimo aspetto avevamo comunque parlato di un mezzo bluff del Ministero (Qualenergia.it Trivelle nei mari italiani e la retorica ambientalista di Zanonato).

Il ministro Zanonato, ci diceva la nota di cui sopra, si è limitato finora a valutare che l’importazione di shale gas dagli Usa e da altri Paesi può essere presa in considerazione solo come opportunità.

Ma davvero in Italia lo sfruttamento dello shale gas “non è mai stato preso in considerazione”? Scartabellando sulla richieste di istanze presentate al Ministero dello Sviluppo Economico e sottoposte al CIRM (Commissione per gli Idrocarburi e le Risorse Minerarie) non sembrerebbe. Si può infatti notare che rimane aperta un’istanza di permesso di esplorazione della società Exploenergy di San Donato Milanese, presentata il 14 marzo 2012. Di questa istanza aveva anche parlato BresciaOggi a dicembre 2012. Obiettivo della domanda al MiSE è eseguire sondaggi e perforazioni su un’area di 289 kmq compresi tra Brescia, Orzinuovi e Bagnolo (vedi mappa). Molte associazioni ambientaliste e amministrazioni locali hanno il timore ‘aggiuntivo’ che il progetto riguardi attività di fracking alla ricerca di shale gas. Abbiamo provato a contattare la società, ma risponde solo una segreteria telefonica.

La possibilità del fracking sembra essere stata esclusa dalla Regione Lombardia che lo scorso 6 settembre, dopo la comunicazione del parere favorevole del CIRM del 15 febbraio 2013, aveva confermato la richiesta di una Valutazione di impatto ambientale. L’assessore regionale all’Ambiente, Energia e Sviluppo sostenibile, Claudia Maria Terzi, aveva dichiarato che “a seguito di una attenta analisi dell’istanza da parte dei tecnici di Regione Lombardia sono emerse alcune criticità. Le aree comprese all’interno del perimetro del permesso di ricerca ricadono in gran parte all’interno delle zone vincolate, quali aree naturali e protette, siti Sic-Zps, alvei e corsi d’acqua tutelati, complessi archeologici. Inoltre, benché siano escluse attività di fracking alla ricerca di shale gas, nella zona il rischio sismico è medio-elevato”. Al momento anche una eventuale perforazione di un pozzo esplorativo non appare immediata. La comunità del bresciano resta però in allarme.

Al di là della questione shale gas, non c’è dubbio che la grande attenzione riservata da questo ministro, come del resto dai suoi ex, agli idrocarburi e agli interessi dei grandi gruppi del settore sia evidente. D’altra parte lo stesso Zanonato ha più volte confermato la sua politica di continuità rispetto alla Strategia Energetica Nazionale, approvata nel marzo 2013 da un Governo dimissionario ai suoi ultimi giorni di vita, che prevede il raddoppio della produzione nazionale di idrocarburi.

Guarda caso, puntuale, dopo il ‘fraintendimento’ del Ministro con la stampa (non certo il primo) spunta una dichiarazione di Paolo Scaroni, l’amministratore delegato di Eni, su Radio Rai 1. Si parla di prezzi dell’energia e del gap produttivo-economico dell’Europa rispetto ad altre aree mondiali. Scaroni ha la sua ricetta: “La cosa più logica che viene in mente di fare è far sì che anche l’Europa viva la rivoluzione dello shale gas che è all’origine dell’abbassamento dei costi degli Stati Uniti”. Una spruzzatina di dubbio ce l’ha però anche l’Ad Eni. “Questo – aggiunge – suscita non poche polemiche, anche giustificate per la verità, dal punto di vista ambientale, ma alternative non ne vedo perché altrimenti ‘abbracceremo’ la Russia che è l’unico fornitore in grado di darci la quantità di gas di cui necessitiamo ai prezzi che ci permetterebbero di essere competitivi”. I problemi ambientali derivanti dall’estrazione dello shale gas? Basta accettarli, come hanno fatto negli States, ha detto; “in Europa solo l’Inghilterra e qualche paese dell’Est ha sposato l’estrazione come un modo naturale per produrre energia. Sicuramente, dato che l’Europa è molto più popolata degli Stati Uniti, ogni attività invasiva è peggio sopportata che là”.

Questo è l’amministratore delegato della partecipata statale che ogni due per tre ci massacra ipocritamente con le sue pubblicità televisive piene zeppe di energia solare, eolico e futuro pulito. Neanche una goccia di petrolio.

Tanto per confermare da che parte va l’azienda, e forse il Governo, ricordiamo che Eni ha firmato un accordo con la società Quicksilver Resources per valutare, esplorare e sviluppare congiuntamente giacimenti di olio non convenzionale (shale oil) su terraferma negli Stati Uniti. Eni parteciperà con la quota del 50% in un’area di 21.246 ettari detenuta da Quicksilver nella Leon Valley, nel Texas occidentale. Per acquisire il 50% dell’area detenuta da Quicksilver, Eni investirà fino a 52 milioni di dollari, che  rappresentano il 100% dei costi di perforazione, completamento e prospezioni sismiche. Gli investimenti successivi saranno ripartiti in modo paritario tra Eni e Quicksilver.

Il Ministro Zanonato ora sa da che parte tira l’aria.

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