Petrolio, il declino non erode i profitti delle big oil company

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Ripercorrendo la recente storia del petrolio dalla metà del Novecento, scopriamo che anche nella fase del suo declino, nel decennio 2002-2011 le ‘big five oil companies’ hanno accumulato negli Stati Uniti profitti per 1000 miliardi di dollari, beneficiando peraltro di enormi sussidi ed esenzioni economiche, spesso a carico del contribuente.

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A quaranta anni dall’embargo OPEC nei confronti dei paesi occidentali, in primo luogo degli USA, si può storicizzare l’evoluzione del settore petrolifero e stabilire che quell’evento ne rappresentò un punto di svolta irreversibile. Lo studio di alcuni parametri fondamentali di mercato consente di seguire senza approssimazioni il corso dell’età del petrolio, individuandone il culmine nel 1973, l’anno della grande crisi.

Fino a ottobre di quell’anno il consumo globale di petrolio era cresciuto rapidamente dal 1945, e aveva raggiunto livelli tali da azzerare sostanzialmente la spare capacity del settore (capacità produttiva non utilizzata). La quota di mercato (market share) del greggio nel mix energetico complessivo toccava il record assoluto del 48%. L’irrompere dell’embargo per cause geopolitiche giunse tuttavia anche a certificare la non sostenibilità industriale di un tale sbilanciamento e ne accelerò il superamento.

Gli effetti immediati sul mercato – triplicazione del prezzo del barile (in dollari 2012, vedi grafico sotto) e crollo dei consumi mondiali – si sono poi consolidati in una nuova fase. Dal 1973 e progressivamente fino a oggi il market share del petrolio si è infatti ridotto fino al 33% del 2012, presentando un chiarissimo picco che segnala un cambiamento strutturale di primo ordine. Non si riscontra un comportamento simile per nessun’altra fonte energetica, fossile o meno.

Questa perdita di quote di mercato è avvenuta in modo differenziato per i vari settori di utilizzazione, nei quali la sostituzione a vantaggio delle fonti in competizione con il barile sempre più costoso ha seguito la regola economica del minor costo per applicazione specifica. Allo stato attuale il petrolio conserva ancora una sorta di monopolio nei trasporti, mentre il suo market share nella generazione elettrica si è ridotto a un esiguo 4% (era il 22% nel 1973); la situazione del settore residenziale/commerciale rimane intermedia tra i due estremi con una quota di mercato attuale del 22% (rispetto al 45% del 1973).

Si può avvalorare la tesi del tramonto del petrolio? L’epoca del petrolio a buon mercato si è senz’altro conclusa. Ce lo segnala inequivocabilmente il corso del prezzo del barile (vedi grafico sopra). Dalla fine degli anni Novanta del XX secolo è infatti cominciata l’impennata necessaria allo sviluppo di risorse petrolifere più costose. L’espansione attuale della produzione di petrolio statunitense dai giacimenti shale/tight oil (vedi grafico) è stata resa possibile dalla stabilizzazione del prezzo sopra la soglia dei 90 dollari al barile (vedi grafico sotto).

Queste risorse sono costituite da rocce serbatoio non convenzionali (per caratteristiche di porosità e permeabilità), prevalentemente argillose (shale formations) o prevalentemente siltose (tight formations), che contengono petrolio leggero. La possibilità di un loro sfruttamento, peraltro gravata da rilevanti criticità ambientali, si è concretizzata negli USA quando si sono affermate le condizioni economiche per l’applicazione della tecnologia necessaria all’estrazione: numerosi pozzi orizzontali profondi e fratturazione idraulica.

Dal punto di vista dell’industria petrolifera, e senza considerare i costi ambientali dei cambiamenti climatici, lo sfruttamento di altre risorse non convenzionali (oil sands e giacimenti artici) richiederebbe un ulteriore incremento del prezzo del barile: intorno e al di sopra dei 120 $ (vedi grafico sopra).

Ma è giunto al termine anche il periodo del petrolio egemone. Per la prima volta nella storia delle fonti energetiche, il quadro mondiale dell’energia primaria non sarà dominato da una fonte, come è avvenuto prima con il carbone e poi col petrolio. Anche gli outlook delle major oil company lo confermano. Nel prossimo futuro (2030), è prevista una sostanziale equivalenza delle tre fonti fossili nel mix energetico globale (petrolio, carbone e gas, ognuno circa al 27% di market share, BP World Energy Outlook 2013). È atteso inoltre il sorpasso imminente del carbone sul petrolio, seppure di lieve entità e per il breve periodo che precede il raggiungimento della convergenza.

Con le rinnovabili in crescita percentuale in assoluto di maggiori proporzioni secondo ogni scenario, anche se con un tasso non individuabile inequivocabilmente perché condizionato dal vigore delle politiche di sostegno alla green economy che saranno messe in atto, il nuovo panorama energetico presenterà dunque l’inedita condizione di un mercato a quote sostanzialmente distribuite.

Questo contesto di transizione, acclarato dalla saturazione della crescita di produzione mondiale del greggio convenzionale (vedi grafico sotto), non ha impedito alle grandi compagnie petrolifere (big oil company) di realizzare ingenti profitti negli ultimi anni.

Negli Stati Uniti le cinque maggiori compagnie (big five oil companies: BP, Chevron, ConocoPhillips, ExxonMobil e Shell) hanno accumulato profitti per 1000 miliardi di dollari nel decennio 2002-2011, continuando peraltro a beneficiare di ingiustificati sussidi e anacronistiche esenzioni dall’obbligo di corresponsione di royalties (in particolare riguardo le produzioni offshore del Golfo del Messico) per complessivi 4 miliardi di dollari annui circa.

A carico del contribuente e in danno di un efficiente funzionamento del mercato energetico, l’elargizione di questi vantaggi fiscali rappresenta anche il frutto di una pesante azione di lobbying esercitata dalle compagnie petrolifere con consistente impegno economico (circa 100 milioni di dollari nel biennio 2011-12) sui membri del Congresso statunitense. Iniziativa che risulta particolarmente efficace sui rappresentanti repubblicani (E.J. Markey Report: Oil Companies Pocketing Billions of Dollars in Free Drilling. Natural resources – Committe Democrats, 2013).

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