Clima-Energia e obiettivi europei 2030. La battaglia politica, istituzionale e industriale

Come dovranno essere impostati gli obiettivi europei su clima ed energia al 2030? Lo scontro è a 360 gradi con posizioni contrapposte anche a livello dei singoli governi e all'interno della Commissione. Il coordinamento FREE chiede al presidente del Consiglio, Enrico Letta, che l’Italia punti su distinti obiettivi vincolanti al 2030 anche per l’efficienza energetica e le rinnovabili e non solo per la riduzione delle emissioni di CO2.

ADV
image_pdfimage_print

Quale sarà il futuro energetico e climatico dell’Unione Europea? Quale sarà la rotta da perseguire e dunque gli obiettivi? Su queste priorità negli ultimi giorni sono emerse posizioni contrapposte anche all’interno delle stesse compagini governative dei Paesi Membri. Alla lettera dei nove ministri dell’industria e dell’energia (Zanonato incluso), secondo la quale la competitività delle imprese sarebbe danneggiata dalle politiche UE su clima ed energia, che si riflettono sui costi dell’elettricità, ha fatto seguito una missiva di 13 ministri dell’Ambiente europei di tutt’altro tenore.

Il disaccordo emerge quindi anche tra i nostri ministeri dello Sviluppo Economico e dell’Ambiente. Cosa dicono i ministri dell’Ambiente nella loro lettera? In sintesi che bisogna puntare su politiche ambiziose per energia e clima al 2030, riformare il mercato europeo delle emissioni (ETS) e assicurare che l’UE sia in grado di offrire un target importante di riduzione di CO2 sul tavolo dei negoziati Onu sul clima del 2014. I tredici firmatari, incluso il ministro Andrea Orlando, puntano alla “green growth”, alla crescita verde, che generi innovazione e nuova occupazione, evitando i costi futuri connessi ai cambiamenti climatici e alla scarsa sicurezza energetica e all’elevata dipendenza dall’importazione di combustibili fossili dell’Ue.

Insomma una ricetta diametralmente opposta a quella degli altri ministri succitati: la competitività delle economie (anche sul fronte dell’export delle tecnologie low carbon e per la realizzazione di nuove infrastrutture energetiche) – dicono quelli dell’Ambiente – si raggiunge proprio con un cambio di paradigma su clima ed energia, con obiettivi certi e ambiziosi, da indicare in tempi rapidi. Oltre al ministro dell’ambiente italiano, firmano questa lettera i ministri di Gran Bretagna (Davey), Germania (Altmaier), Francia (Martin), Spagna (Cañete), Olanda, Belgio, Portogallo, Svezia, Danimarca, Finlandia, Slovenia ed Estonia. 

Ricordiamo che il Ministero dello Sviluppo Economico, lo scorso luglio aveva l’intenzione di proporre a Bruxelles un unico obiettivo legato alla CO2 per il 2030, invece di target distinti sui tre fronti: efficienza energetica, fonti rinnovabili ed emissioni. Per il MiSe lo scopo è di rendere l’obiettivo da raggiungere più flessibile, eliminando le rigidità che derivano dalla necessità di centrare tutti e tre gli obiettivi vincolanti senza poter sfruttare al meglio le caratteristiche di ciascun sistema energetico ed economico nazionale.

Una proposta (che vede invece contrario il nostro ministro dell’Ambiente) che era stata ventilata anche a livello UE con il Libro verde (A 2030 framework for climate and energy policies – pdf), con grande preoccupazione dei settori ambientalisti e del comparto delle energie pulite. Nel Libro Verde Si parla infatti esplicitamente di “necessari compromessi tra gli obiettivi di competitività, sicurezza dell’approvvigionamento energetico e sostenibilità” e si sottolinea la necessità di “consentire lo sfruttamento delle risorse interne di petrolio e gas, convenzionali e non convenzionali, in condizioni ambientalmente sicure”.

Una nuova posizione, quella europea, che sembrerebbe abbandonare quella di una transizione “abbastanza spinta” e che darebbe peraltro la possibilità di avvantaggiare le fonti convenzionali con meno emissioni, come nucleare e gas. Una scelta inoltre che piacerebbe a Paesi come la Gran Bretagna, che, per sostituire le sue attuali centrali atomiche, pensano di incentivare la loro costruzione, magari con l’avallo della stessa Unione Europea.

Su questo fronte netta è la contrapposizione degli operatori dei settori coinvolti. Quegli stessi operatori che, oggi, sotto l’egida del Coordinamento FREE (coordinamento delle associazioni delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica), ha stigmatizzano la presa di posizione dei nove ministri dell’industria. Tra le righe si legge nel comunicato che quella lettera, del tutto inusuale a livello istituzionale, sia stata eterodiretta dalle recenti posizioni dei top manager delle grandi aziende energetiche europee (Eni ed Enel, inclusi). Questi nove ministri, a dire di FREE, avrebbero in pratica contraddetto “venti anni di politica energetico-ambientale europea”. Un approccio il loro, continua il comunicato, che “non solo mette a repentaglio lo sforzo più serio finora attuato per contrastare il cambiamento climatico, ma, quel che è più grave, in nome della sacrosanta salvaguardia dell’industria del nostro continente chiede di sacrificare il futuro della medesima, che risiede proprio nella sua riconversione ‘green’”. Per questo motivo la posizione del coordinamento delle associazioni del comparto dell’energia pulita chiede esplicitamente al presidente del Consiglio Enrico Letta di confermare che la linea politica del Governo italiano sia a favore di chiari obiettivi vincolanti al 2030 anche per l’efficienza energetica e le rinnovabili e non solo per la riduzione delle emissioni di CO2.

Una posizione che meno di anno fa veniva presa anche da importanti industrie europee, come Siemens, Schneider, Philips e Whirlpool, con una lettera alla Commissaria europea per l’azione per il clima, Connie Hedegaard, in cui si chiedevano appunto obiettivi vincolanti al 2030 anche per l’efficienza e le rinnovabili.

Dunque la battaglia è aperta sul fronte politico, istituzionale e industriale. I grandi dell’energia e le grandi imprese europee, causa la crisi, la concorrenza asiatica e l’erosione dei loro profitti, trovano il loro capro espiatorio nelle politiche contro il global warming e i costi di una possibile transizione energetica. Un approccio retrivo, e non sorprende che la loro ‘mano armata’ sia rappresentata da una parte di quella politica, non solo italiana, incapace di progettare un futuro fondato su nuove basi, ma che resta ancorata a modelli di crescita ormai condannati dai fatti, dai dati economici e dalle evidenze ambientali sempre più drammatiche. I “pozzi” (atmosfera, acque e terreni), come scrivevano nel 1972 gli studiosi del MIT in ‘The Limit of Growth’, tendono a saturarsi ogni anno di più. Alla stanca Europa non resta ormai che un ruolo: diventare il frontrunner di un nuovo modello economico ed energetico. Per farlo bisognerà però prima capire i propri errori (con una nuova classe dirigente e politica?). E al momento la cosa non sembra per niente scontata.

Molti analisti hanno ricordato che servono obiettivi climatici ed energetici europei di medio termine coerenti con la traiettoria di riduzione delle emissioni di gas-serra di almeno il 95% al 2050, con una condivisione degli impegni a livello nazionale. Il tempo stringe ma c’è chi mette le briglie al cambiamento.

Segui QualEnergia.it  anche su e

ADV
×