Trivelle in vista nei mari italiani. Il dossier del WWF

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L’operazione verità del WWF porta a galla il rischio trivellazioni per l’estrazione degli idrocarburi nel Golfo di Taranto, nel Mar Ionio e nel Canale di Sicilia. Il WWF chiede al Governo di abbandonare la Strategia Energetica Nazionale, che prevedeva il raddoppio della produzione nazionale di idrocarburi. Il Dossier del WWF.

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Dopo aver colonizzato tutto l’Adriatico, il rischio perforazioni per l’estrazione degli idrocarburi non cessa per il Golfo di Taranto, il Mar Ionio e il Canale di Sicilia e si estende ad un’area di mare, grande quanto la Corsica, tra la Sardegna e le Baleari. Questo è quanto emerge dalla “operazione verità” del WWF sulla mappa delle trivellazioni nei nostri mari. Le indagini sono partite dopo che, il 4 settembre scorso, il ministro per lo sviluppo economico (Mise) Zanonato ha annunciato di avere tolto, con il Decreto Ministeriale del 9/8/2013, 116.000 kmq di aree marine aperte ai petrolieri.

Nel dossier “Trivelle in vista”, il WWF Italia denuncia che – come  QualEnergia.it aveva fatto notare in Trivelle nei mari italiani e la retorica ambientalista di Zanonato – il decreto ministeriale del Mise non fa che delimitare la nuova mappa delle aree di interdizione a 12 miglia dalle aree costiere e marine protette e dalle linee di costa, ma contempla l’effetto sanatoria  per tutti i procedimenti in corso al 29 giugno 2010 dell’art. 35 del “decreto sviluppo” del 2012 (dl 83/2012) né presenta un calcolo di quanti Kmq sono di fatto già interessati da istanze, permessi di ricerca e concessioni di coltivazione di idrocarburi pur ricadendo nelle zone oggi interdette.

Zone di pregio marine e costiere continuano quindi a subire la minaccia della roulette russa del pesante rischio di inquinamento marino derivante dalle attività di routine (come l’uso dell’air gun e di fanghi e fluidi perforanti durante le attività di ricerca e perforazione e rilascio delle acque di produzione) e al rischio di incidente per le piattaforme offhsore (come ha dimostrato l’incidente alla piattaforma Deepwater Horizon  del 2010 nel Golfo del Messico).

Il WWF ricorda che, ad esempio, pur ricadendo nelle aree interdette dal DM 9/2013 sono del tutto valide l’istanza di coltivazione Ombrina Mare (a 6 km dall’istituendo parco della Costa Teatina in Abruzzo) della Medoil Gas, e il permesso di ricerca del AUDAX di ben 657 kmq a Pantelleria nel Canale di Sicilia (area di grande pregio naturalistico dove si registra anche un’intensa attività vulcanica sottomarina). Sono fatte salve anche le 8 istanze di permesso di ricerca della già martoriata baia storica di Taranto.

Ad oggi, secondo quanto documentato nel dossier, sono attive nei Mari italiani: 3 istanze di permesso di prospezione (in un’area di 30.810 kmq), 31 istanze di permesso di ricerca (in un’area di circa 14.546 kmq), 22 permessi di ricerca (in un’area di circa  7.826 kmq), 10 Istanze di coltivazione (in un’area di circa  1.037 kmq), 67 concessioni di coltivazione (che occupano un area pari a 9.025 kmq) con 396 pozzi produttivi in mare di cui  335  a gas e 61 a petrolio. 104 sono le piattaforme di produzione,  8 sono le piattaforme di supporto alla produzione, 2 unità galleggianti di stoccaggio temporaneo -FSO Floating Storage Offloading-, e 1 unità galleggiante di stoccaggio trasbordo e produzione – FPSO Floating Production Storage Offloading ( Vedi la “Mappa dei mari italiani a rischio di trivellazione offshore, pdf”).

Per uscire da questa situazione il WWF chiede al Governo di abbandonare la Strategia Energetica Nazionale, approvata nel marzo 2013 da un Governo dimissionario ai suoi ultimi giorni di vita, che prevedeva l’irrealistico raddoppio della produzione nazionale di idrocarburi, e di avviare una Roadmap per la decarbonizzazione per il futuro economico ed ecologico del Paese. E’ noto infatti che il gioco non vale la candela. Da stime ufficiali, sulla base dei dati forniti dallo stesso Ministero per lo Sviluppo economico, nei nostri fondali marini ci sono 10,3 milioni di tonnellate di petrolio di riserve certe che, stando ai consumi attuali, coprirebbero il fabbisogno nazionale per sole 7 settimane. Non solo, anche attingendo al petrolio presente nel sottosuolo, concentrato soprattutto in Basilicata, il totale delle riserve certe nel nostro Paese verrebbe consumato in appena 13 mesi.

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