Minieolico, le opportunità e l’ostacolo del credito

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Con tempi di rientro dell'investimento che si aggirano sui 6-9 anni il minieolico è un investimento molto interessante. Eppure questa tecnologia incontra ancora difficoltà nell'accesso al credito. Come risolvere il problema? Ne parliamo con Carlo Buonfrate, presidente del CPEM, il consorzio produttori energia minieolica.

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Il minieolico con gli incentivi attuali è una tecnologia economicamente molto interessante: con tempi di rientro dell’investimento di 6-9 anni – inclusi i costi di un finanziamento al 100% per 10 anni con tassi del 5-6% – installare un impianto può portare entrate di 6-8mila euro all’anno per i primi 10 anni e 30-35mila euro all’anno dall’undicesimo anno in poi. Una fonte di entrate ideale ad esempio per integrare il bilancio di un’azienda agricola. In Sardegna, grazie ad un fondo di garanzia regionale, gli agricoltori che vogliano fare questo investimento hanno vita relativamente semplice, ma nel resto del paese l’accesso al credito per i progetti di minieolico resta un problema e a reperire i capitali con facilità sono solo iniziative speculative, con fondi di investimento alle spalle. Ne parliamo con Carlo Buonfrate, presidente del CPEM, il consorzio produttori energia minieolica, che proprio su “Finanziare il minieolico” organizza un convegno che si terrà domani a Bolzano (vedi programma qui, pdf).

Il minieolico sembra essere una delle tecnologie uscita meglio dall’ultima riforma degli incentivi alle rinnovabili elettriche. Come sta andando il settore?

I numeri sono in crescita. Parliamo di almeno 25 MW installati: il dato del GSE è sottostimato perché non tiene conto degli impianti installati ma che ancora non hanno avuto accesso agli incentivi. L’accelerazione è arrivata negli ultimi due anni: non esistono statistiche precise sulla materia, ma nell’ultimo anno possiamo stimare che siano stati installati 10 MW, un po’ meno nel precedente e ancora meno nel 2011.

Quali sono i prezzi attuali, che ventosità serve per installare una macchina e che tempi di rietro dell’investimento si possono prevedere?

Premettendo che ci sono margini di riduzione dei prezzi, attraverso la standardizzazione dei componenti, al momento per un impianto da 60 kW, chiavi in mano, si spendono tra i 180mila ai 230 mila euro. Per quanto riguarda la ventosità servono almeno 1.800 -1.900 ore equivalenti l’anno. In quanto a tempi di rientro dell’investimento, a seconda della ventosità e dei costi, si va in genere dai 6 ai 9 anni.

Con questi valori interessanti non c’è il rischio di vedere installare veri e propri parchi minieolici per massimizzare i guadagni, snaturando così questa fonte che andrebbe a sostituirsi al grande eolico, invece di integrarsi in un’ottica di generazione distribuita?

Sì, stiamo registrando un fenomeno di speculazione. Il minieolico è una tecnologia votata alla generazione distribuita, invece, appunto, si stanno facendo campi con decine di macchine concentrate in un sito. Questo crea difficoltà di inserimento dal punto di vista ambientale e potrebbe danneggiare l’immagine di una tecnologia che nasce per integrarsi bene sul territorio. Stiamo cercando di contrastare il fenomeno, premendo per la detassazione dei ricavi da minieolico nelle aziende agricole.

In che modo?

Un’azienda agricola che oggi produca energia da fotovoltaico o da fonti forestali, per quel che riguarda i redditi che ottiene da questi impianti, è esente dalla tassazione ordinaria. Questa esenzione però al momento non vale per il minieolico. Come associazione, assieme al coordinamento FREE del quale facciamo parte, e in collaborazione con Confagricoltura, stiamo cercando di far estendere questa politica di detassazione anche al minieolico, in modo che i ricavi che ne derivano siano considerati reddito agrario e quindi, ai sensi dell’articolo 2135 del Codice civile, risultino esenti da tasse. Questo dovrebbe accorciare di circa un anno – un anno e mezzo i tempi di rientro dell’investimento e dovrebbe dare una spinta al minieolico installato presso le aziende agricole e, dunque, in qualche modo contrastare quella vampata di speculazione che sta assalendo il settore. L’obiettivo è che le rinnovabili di piccola taglia possano integrare il reddito degli agricoltori, per far sì che non siano costretti ad abbandonare le terre.

Veniamo all’argomento al centro del convegno di domani: come è la situazione in quanto ad accesso al credito?

Al di là delle azioni speculative, che appoggiandosi spesso a fondi di private equity hanno meno difficoltà a reperire i capitali, accedere al credito per impianti minieolici è piuttosto difficoltoso in questo momento. Noi abbiamo avviato da più di un anno una campagna di formazione e di sensibilizzazione, assieme ad alcuni advisor delle banche, per cercare di spingere i nostri associati e tutto il mondo del minieolico a darsi delle regole.

Ad esempio per arrivare ad avere macchine certificate?

Esattamente: sicurezza, certificazione delle macchine e delle loro curve di potenza. Il cammino non è facile, perché si tratta di operazioni costose, non sempre sostenibili da aziende che spesso hanno pochi anni di vita; ma ci si deve arrivare, partendo intanto dal rigore industriale che dovrà portare al rispetto di standard per ottenere le certificazioni. E’ un’azione importante anche per permettere alle nostre aziende di competere sui mercati internazionali. Anche prima di arrivare a un sistema di certificazione diffuso, si dovrebbe fare in modo che standard minimi vengano rispettati. Compito delle banche è fare in modo che, quando certi requisiti in fatto di credito e di progetto ci sono, si possa arrivare in maniera semplificata all’approvazione dei finanziamenti. Questo è il lavoro che stiamo facendo assieme ad intermediari dei principali istituti di credito.

E che risultati state ottenendo?

A dire il vero il percorso non è agevole: alla prudenza delle banche, scottate dal passato boom del fotovoltaico durante il quale si è finanziato a volte con troppa facilità, si somma la rarefazione del credito di questo periodo. A questo si aggiunga che il minieolico ha maggiori complicazioni intrinseche rispetto ad altre fonti come il già citato FV, ad esempio la necessità di misurazioni anemometriche preventive. Il risultato è che gli istituti di credito sono molto selettivi sui progetti e spesso chiedono in cambio consistenti garanzie integrative. Il nostro scopo è appunto fare sì che il minieolico venga finanziato in maniera più semplice e su base project o semi-project, cioè senza che vengano richieste garanzie integrative.

Tra gli ostacoli che frenano la diffusione del minieolico ci sono appunto i costi delle misure anemometriche sul campo, che le banche spesso richiedono per finanziare un progetto ma che costano anche un paio di decine di migliaia di euro. Come si può rimuovere questa barriera?

Una questione chiave è l’accettabilità da parte delle banche di analisi indirette e non fatte sul campo, la cosiddetta re-analisi. Ne stiamo discutendo da un anno, esistono istituti certificati che garantiscono l’affidabilità dei dati, sono le banche che devono esporsi e accettarli. E’ una strada inevitabile per il settore, perché, specie per installare una macchina singola, il costo di una misurazione sul campo è insostenibile: si va dai 15mila ai 25mila euro.

Quali altre idee ci sono per facilitare l’accesso al credito del minieolico?

Una buona pratica interessante ci viene ad esempio dalla Regione Sardegna. A luglio è stato siglato un accordo tra Banco di Sardegna, Sfirs che è la società finanziaria della Regione, e il mondo dell’agricoltura per creare un fondo garanzia 7 milioni di euro al fine di realizzazione impianti minieolici da installare presso imprese agricole. Il fondo garantisce finanziamenti al 100% a 10 anni con tasso variabile del 5-6%, per impianti eolici fino a 60 kW. La garanzia della Regione interviene fino all’ottenimento dell’incentivo da parte del GSE, dopo di che il rischio resta in capo alla banca, Si stima di poterne realizzare in questo modo circa 2-300 installazioni. Il reddito che deriverebbe agli agricoltori, al netto dei costi del finanziamento e di gestione, dovrebbe essere di 6-8mila euro all’anno per i primi 10 anni e 30-35mila euro all’anno dall’undicesimo anno in poi. Una misura pensata anche per aiutare l’agricoltura regionale che è in profonda sofferenza: le imprese agricole sarde si sono più o meno dimezzate nel corso del 2012.

 

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