FV. Cinesi competitivi per le economie di scala, non per costo del lavoro e aiuti statali

A rendere competitivo il FV cinese non è tanto il basso costo del lavoro, né gli aiuti di Stato, ma la scala di produzione e il tipo di filiera. Anche in Occidente si potrebbe arrivare a produrre a prezzi low-cost. Lo dimostra uno studio NREL-MIT. La morale? Per sostenere le industrie nazionali meglio investire in ricerca che imporre dazi.

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A rendere competitivo il fotovoltaico cinese non è tanto il basso costo del lavoro, né gli aiuti di Stato, bensì la scala di produzione e il tipo di filiera. Dunque, anche in Occidente si potrebbe arrivare a produrre ai prezzi low-cost del made in China.

A sostenerlo è uno studio finanziato dal Dipartimento per l’Energia Usa e realizzato da ricercatori di NREL e MIT, dal titolo Assessing the Drivers of Regional Trends in Solar Photovoltaic Manufacturing”, e finanziato dal Clean Energy Manufacturing Initiative, del DoE (pubblicato su Energy & Environmental Science). Il rapporto esamina appunto i motivi che hanno reso la Cina egemone nell’industria del fotovoltaico.

Il team di ricercatori che lo ha realizzato è partito da modelli di costo verificati nelle aziende per calcolare il prezzo minimo sostenibile, minimum sustainable price (MSP) per moduli fotovoltaici al silicio monocristallino costruiti negli Usa o in Cina, definito come il prezzo più basso al quale un produttore può vendere garantendo agli investitori i ritorni che questi si aspettano. Partendo da questo concetto si è indagato su cosa porta un’impresa di scala globale a decidere dove stabilire i suoi impianti produttivi.

Prezzi di trasporto esclusi, tenendo conto dei costi di tutta la filiera, dal wafer al modulo, si è stimato che i produttori cinesi in quanto a MSP abbiano un vantaggio del 23% rispetto a quelli basati negli Usa. Un margine dovuto per la maggior parte alle migliori economie di scala dei produttori asiatici.

La conclusione cui si arriva è appunto che il vantaggio cinese deriva dalla dimensione dei cicli produttivi, che portano a ottenere sulla filiera un’efficienza tale da abbassare i costi di produzione a livelli che in questi anni hanno permesso all’industria cinese di sbaragliare la concorrenza. Giocano dunque un ruolo ‘trascurabile’ il basso costo del lavoro e gli aiuti che Pechino dà alle aziende domestiche del FV; cioè quei sussidi che secondo l’UE e Washington sono contrari alle regole WTO e che hanno portato ai contenziosi commericali che conosciamo.

Interessante soprattutto quanto di conseguenza ipotizzano gli autori: con opportuni miglioramenti del ciclo produttivo e la messa in atto di economie di scala, anche nel resto del mondo si potrebbero raggiungere costi di produzione come quelli cinesi, spianando così la via per un fotovoltaico competitivo con le fonti convenzionali anche senza incentivi.

“La nostra analisi mostra che gli investimenti in ricerca e sviluppo sono essenziali non solo per per permettere la diffusione più ampia possibile del fotovoltaico senza incentivi, ma anche per livellare i fattori che influenzano la competitività a livello regionale, creando così nuove opportunità per i produttori americani”, spiega uno degli autori, Alan Goodrich del NREL.

Per attirare investimenti di capitali nell’industria Usa del fotovoltaico, servono tecnologie innovative che abbassino i prezzi, avvicinando il FV alla grid parity. “Il ‘Santo Graal‘ è un modulo innovativo con alta efficienza, basso costo dei materiali, processi produttivi efficienti e scalabili e affidabilità assoluta – commenta un altro degli autori, Tonio Buonassisi – i moduli FV che si possono acquistare oggi hanno alcuni di questi attributi, ma mai tutti assieme”.

Insomma, ciò che emergere tra le righe del report MIT-NREL è che, per far sì che il fotovoltaico americano o europeo regga la competizione con quello cinese, sembra più saggio investire in ricerca e sviluppo che imbarcarsi in guerre commerciali. In questo modo il cammino del fotovoltaico verso la competitività con le altre fonti verrebbe accelerato, stimolando una più rapida crescita della domanda che gioverebbe sia ai produttori cinesi che a quelli occidentali. Dazi e barriere commerciali, al contrario, non fanno che frenare lo sviluppo di questa tecnologia.

Lo studio su Energy & Environmental Science

 

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