Dumping FV, Cina colpevole ma accordo al sicuro

Trapelati, via stampa, i risultati di una delle due indagini della Commissione europea, in corso da nove mesi: è ora provato che l'industria cinese del fotovoltaico ha ricevuto da Pechino aiuti illegali. Non sembra però che le nuove conclusioni mettano a rischio l'accordo raggiunto a fine luglio: restano i prezzi minimi e i tetti, criticati su più fronti.

ADV
image_pdfimage_print

Nella disputa commerciale Ue-Cina sul fotovoltaico arrivano nuovi sviluppi, che però sembra non porteranno conseguenze tali da modificare l’accordo cui si è arrivati a fine luglio. In questi giorni infatti sulla stampa sono trapelate le conclusioni di una delle due indagini della Commissione europea, in corso da 9 mesi: è ora provato che l’industria cinese del fotovoltaico ha ricevuto da Pechino aiuti illegali.

I produttori cinesi di moduli al silicio cristallino, celle e wafer – si spiega – hanno infranto le regole WTO usufruendo di finanziamenti agevolati, sgravi fiscali, agevolazioni sull’acquisto delle materie prime e dell’elettricità, finanziamenti per aumentare la capacità produttiva fino, fondi di garanzia, aiuti diretti e altro ancora. “Ci sono indicazioni chiare che politiche governative (cinesi, ndr) influenzano le decisioni delle banche in merito ai finanziamenti alle aziende del solare”, riferisce a Reuter una fonte vicina agli investigatori europei. Gli aiuti pubblici secondo la Commissione arriverebbero a pesare per l’11% del prezzo finale dei moduli FV cinesi.

Non sembra però che questo possa portare a nuovi dazi: la Commissione – pur rifiutando di commentare le conclusioni dell’indagine (che avrebbero dovuto rimanere riservate e che sono già state inviate a Pechino e alle parti coinvolte) ha assicurato che non ci saranno conseguenze per l’accordo raggiunto a fine luglio; affermazione che non è piaciuta alla coalizione protezionista Eu- ProSun, che vorrebbe che alle nuove evidenze seguissero azioni concrete.

La situazione resta dunque quella definita con il compromesso di fine luglio, della quale su questa pagine avevamo parlato a ridosso del raggiungimento dell’accordo. Pechino e l’Ue hanno concordato per le importazioni di prodotti made in China prezzi minimi e tetti sui volumi importati: 0,56 euro per watt, e 7 GW di tetto per i moduli; 0,29 euro/watt e 2.3 GW per le celle; 0,66 euro a pezzo e 1 GW di tetto alle importazioni per i wafer. Solo le aziende che non accettano queste condizioni dovranno pagare dazi che in media sono del 47,6%.

Una soluzione che non piace né ai protezionisti, né a chi si batte contro le barriere doganali. Secondo Eu Prosun i prezzi minimi sono al di sotto dei costi di produzione cinesi e i tetti sull’import sono troppo alti. L’unico prezzo minimo accettabile secondo la coalizione di industrie europee è quello che era già stato stabilito nell’ambito dell’indagine antidumping. Cioè il prezzo fatto normalmente dai cinesi con una maggiorazione che va dal 47% al 67% in base ai singoli casi. Qualunque prezzo diverso non “rimuoverà il pregiudizio e il danno provocato dal dumping cinese” e, di conseguenza, “non interromperà la drammatica catena di fallimenti delle aziende del fotovoltaico alla quale stiamo assistendo da ormai due anni”.

Speculare la delusione di Afase, la coalizione contraria ai dazi: ritiene che i prezzi minimi siano troppo alti e che non farebbero “che accelerare quello che abbiamo visto nei mesi scorsi: la distruzione di una significativa quantità di posti di lavoro lungo tutta la filiera dell’energia solare”, compromettendo lo sviluppo di questa fonte sia su tetto che in parchi a terra in diversi mercati europei, primi fra tutti quelli che hanno visto tagli agli incentivi.

Cosa succederà? Secondo quanto spiega a PV Magazine Karl-Heinz Remmers, CEO di Solarpraxis AG, molto critico nei confronti dell’accordo, molti progetti concepiti per moduli con prezzi nel range dei 40 centesimi per watt saranno bloccati. IHS prevede che, anche in conseguenza dell’accordo, il mercato europeo del fotovoltaico si riduca ulteriormente di 1 – 1,5 GW, con l’import di moduli cinesi in calo dai 12,8 GW del 2012 a 8,5 GW previsti per il 2013.

A inizio 2013 i moduli cinesi in Europa venivano venduti a prezzi tra gli 0,37 e gli 0,42 euro/watt, fa notare Martin Schachinger di pvXchange, resta dunque un buco nel mercato, che però potrebbe essere colmato da produttori taiwanesi o indiani. E le aziende cinesi? Se spostare la produzione di celle in Europa per i cinesi resta fuori questione, è possibile che alcune aziende decidano di realizzare moduli nel vecchio continente con celle importate dalla madrepatria.

Segui QualEnergia.it  anche su e

ADV
×